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30/06/2013

Attenzione! Problemi di liquidità in Cina

Tensioni improvvise sul mercato cinese. La banca centrale blocca i pagamenti interbancari, mentre numerosi bancomat da qualche giorno non erogano più denaro contante.

Una mossa “anti-mercato”, ma benedetta dal mercato? Com'è possibile?

Il governatore della Banca Centrale cinese (Pboc) ha deciso di bloccare per 24 ore i pagamenti interbancari in tutto il paese. La misura è tesa a “congelare” la corsa mostruosa del tasso interbancario interno (il tasso a cui le banche si prestano quotidianamente soldi per far fronte a liquidità insufficiente per determinate operazioni), che ha raggiunto il livello pericolosissimo del 30% (in luogo del 3% che costituiva la normalità sul mercato cinese).

Il tentativo del governatore punta a tranquillizzare, per quanto possibile, gli operatori circa un possibile – e in qualche modo atteso, ormai – credit crunch cinese.

Zhou Xiaochuan ha dichiarato la notte scorsa che, nonostante la politica monetaria sia perfettamente in linea con le stime di crescita e di inflazione della banca centrale, la Pboc si assicurerà che vi sia la liquidità necessaria a far fronte ai crediti in circolazione.

L’indice azionario di Shanghai ha virato solo a quel punto verso una chiusura positiva. Non a tutti questa decisione è sembrata però sufficiente, visto che non è per il momento previsto alcun ulteriore allentamento monetario per stimolare l’economia. “Tuttavia, la sola indicazione di voler salvaguardare il sistema bancario della seconda economia mondiale, la quale era passata allo scrutinio degli analisti nel corso delle ultime settimane, ha avuto un effetto positivo sui mercati”.

La misura sembra soprattutto orientata, però, a ridurre l'influenza dello "shadow banking" (società che si comportano come banche, ma senza sottostare agli stessi controlli), che negli ultimi tempi ha raggiunto livelli pericolosi. Come si può vedere dal  grafico qui riprodotto:

Ma le difficoltà non riguardano ormai soltanto i rapporti interbancari. Da circa una settimana sia gli sportelli bancari che molti bancomat hanno smesso di fornire contante in Cina. Nessuno sembra avere informazioni precise su fino a quando potrà durare quest’improvvisa carenza di liquidità.

“La prima banca a bloccare gli sportelli è stata la Icbc, la più grossa banca commerciale statale cinese, e poi, in alcuni giorni, la stessa Bank of China”. Alcuni comunicati bancari “hanno cercato di dire agli utenti che le difficoltà di questi giorni provengono da un upgrade informatico, ma nessuno dà credito a questa spiegazione. Quello che appare evidente è che il credit crunch che colpisce le banche cinesi è la tappa più seria che si sia avuta finora in quella che era stata una scaramuccia solo verbale: il governo centrale – e in particolare il nuovo premier Li Keqiang – da mesi dice alle banche di restringere il credito, senza risultati. Così, ecco che il credito si sarebbe improvvisamente bloccato, e la decisione di alcune banche commerciali di non erogare più nemmeno contante è il gesto supremo con cui esprimono tutto il loro disappunto nei confronti della Banca centrale. Che continua invece a richiedere che cessino i prestiti pericolosi e che i conti siano rimessi in ordine”.

Fonti: agenzie e http://www.waroncash.org

Qui di seguito un'utile ricostruzione delle tappe della crisi finanziaria nel nuovo millennio.

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Cina, in arrivo la crisi fotocopia? 
Andrea Baranes, Sbilanciamoci.info

"La Cina spaventa in mercati", "La Cina affonda le Borse". Notizie sempre più allarmanti, legate a un rallentamento della produzione industriale del gigante asiatico. Ma perché un tale rallentamento dovrebbe "affondare" le Borse di tutto il mondo? Sicuri che per la finanza globale non ci siano motivazioni più profonde in arrivo dal lontano oriente, che giustificano le attuali preoccupazioni?

Nel 2001 scoppia negli Usa la bolla dei titoli delle imprese tecnologiche. Negli anni precedenti il valore delle società informatiche cresceva senza sosta, e più cresceva più risparmiatori vedevano la possibilità di realizzare alti profitti, e quindi compravano. L'aumento della domanda di titoli spingeva il prezzo verso l'alto, e l'aumento del prezzo sosteneva l'aumento della domanda. Una classica bolla finanziaria che si auto-alimenta.

Nel 2001, con i prezzi enormemente sopravvalutati, qualcuno inizia a vendere e parte il processo inverso. Le vendite significano un aumento di offerta di titoli, il che fa scendere i prezzi, il che a sua volta porta altri risparmiatori a disfarsi dei titoli. Scoppia la bolla finanziaria, panico sui mercati ed effetto valanga tra vendite e crollo dei prezzi.
Per uscirne la Fed, la banca centrale statunitense, taglia drasticamente i tassi, il che equivale a immettere liquidità nel sistema economico: diventa più facile prendere soldi in prestito e indebitarsi, ad esempio per contrarre un mutuo sulla casa. Il sistema delle cartolarizzazioni permette a banche e intermediari di concedere mutui a tutti, ignorando i rischi. Un passaggio fondamentale consiste nel fatto che le banche cedono i mutui a società che si comportano come banche ma non devono sottostare alle regole e ai controlli previsti per il sistema bancario. È il cosiddetto "sistema bancario ombra" - shadow banking system - fatto di società registrate nei peggiori paradisi fiscali del pianeta e che consente ai grandi gruppi bancari di spostare fuori bilancio prestiti e mutui eccessivamente rischiosi. L'aumento di domanda delle case spinge al rialzo i prezzi, e dà il via alla bolla immobiliare.

Nel 2007 la bolla scoppia. I prezzi delle case crollano, i mutuatari subprime non riescono più a restituire i prestiti contratti. La crisi immobiliare si trasforma rapidamente in una crisi finanziaria e di fiducia. Nessuno sa dove siano le perdite, nessuno si fida più di nessun altro, e le banche non si prestano più denaro tra di loro. In condizioni normali le banche si prestano continuamente denaro a vicenda nel circuito interbancario, per bilanciare eccessi o mancanze momentanee di liquidità. Prestiti che spesso vengono erogati e restituiti da un giorno all'altro, e per questo chiamati overnight. Il tasso overnight, ovvero il tasso di interesse a cui le banche sono disposte a prestarsi i soldi l'una l'altra, è un indice fondamentale per misurare la fiducia sul mercato finanziario. Con lo scoppio della bolla dei subprime, questo tasso va alle stelle, non solo negli Usa ma in tutto il mondo. Si blocca l'intero sistema, e devono intervenire gli Stati con giganteschi piani di salvataggio per evitarne il completo collasso.

Esplode la peggiore crisi degli ultimi decenni, con una fortissima recessione che dura ancora oggi e conseguente crollo dei consumi, in particolare nelle economie occidentali. Le ripercussioni colpiscono i paesi che esportano verso Usa ed Europa, quindi in primo luogo la Cina, diventata la nuova fabbrica del mondo. Per uscire dalle difficoltà legate al calo delle esportazioni, la Cina decide di puntare sul mercato interno. Il partito tollera, se non addirittura sostiene, i primi scioperi e le richieste di aumenti salariali, in modo da aumentare il potere d'acquisto dei lavoratori e metterli cosi in condizione di aumentare i consumi. Ma è un processo lungo. Per sostenere la domanda interna si punta sull'edilizia. Incentivi e facilitazioni per costruire e comprare casa. Il prezzo delle case inizia a salire. Il fenomeno viene amplificato non solo dai crediti facili erogati dalle banche cinesi, ma anche da tutta una serie di società finanziarie più o meno legali e più o meno informali, che sul territorio erogano prestiti ai cittadini. Società che di fatto si comportano come banche, ma che non devono sottostare alle regole e ai controlli previsti per il sistema bancario. Avete una sensazione di dejà-vu?

Il prezzo delle case sale velocemente, troppo velocemente per la limitata capacità di acquisto dei cinesi. E si è costruito troppo, c'è un eccesso di offerta di case e i prezzi rischiano di crollare. Le società informali che avevano erogato prestiti a cittadini che non sono in grado di rimborsarli si trovano in difficoltà, e le difficoltà passano rapidamente al sistema bancario cinese. Il 20 giugno 2013 Forbes titola "panico cinese: l'overnight tocca il 25%", sottolineando come lo stesso tasso era intorno al 7% solo pochi giorni prima. Sembra che le banche del gigante asiatico non si fidino più l'una dell'altra, il mercato interbancario è congelato.

Ricapitolando: politiche di indebitamento e "soldi facili" che non portano a uno sviluppo dell'economia reale, ma a una bolla speculativa, a causa di un mercato dominato da logiche finanziarie e di brevissimo termine; assenza di regole e controlli e sviluppo di un sistema finanziario pseudo-legale; scoppio della bolla; crollo della fiducia sui mercati finanziari.

Cosa succederà ora? Difficile dirlo. L'articolo presenta delle semplificazioni eccessive, la Cina del 2013 non è gli Usa del 2007, i dati macroeconomici dei due paesi, a partire dalla bilancia dei pagamenti, sono estremamente differenti, così come la situazione politica e via discorrendo. Rimangono però delle somiglianze impressionanti. Prima tra tutte, che con ogni probabilità le difficoltà non sono legate al rallentamento della produzione industriale. È invece l'ennesima dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che l'attuale sistema finanziario è inefficiente, inefficace e totalmente fuori controllo. Non è più uno strumento al servizio dell'economia ma un fardello insopportabile per l'insieme della società. Cina 2013 e Usa 2007 sono sicuramente due situazioni molto diverse, ma rimane un minimo comune denominatore. Come sosteneva Mark Twain oltre un secolo fa, la storia non si ripete ma spesso fa rima.

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Turchia. Torna a riempirsi piazza Taksim

Non si è fatto intimidire il movimento di protesta turco. Stasera piazza Taksim ha cominciato a riempirsi di gente un po' alla volta al calare della sera. La polizia ha preso a schierarsi ai limiti della piazza.
Migliaia di manifestanti  sono di nuovo confluiti pacificamente verso Taksim, luogo simbolo a Istanbul della rivolta delle ultime settimane, nonostante la forze presenza di agenti antisommossa, per chiedere le dimissioni del premier Recep Tayyip Erdogan. I manifestanti denunciano anche la decisione di una corte di Ankara che ha lasciato a piede libero un agente accusato di avere ucciso con una pallottola alla testa un dimostrante.

Un lungo cordone di agenti antisommossa, appoggiati da blindati e cannoni ad acqua, impedisce ai manifestanti in arrivo da Istiklal, la strada icona della Istanbul turistica, l'accesso al centro di Taksim. I manifestanti gridano 'Tayyip Istifa' (Tayyip dimissioni'). Manifestazioni parallele sono in corso ad Ankara e in altre città del paese. Nella capitale, secondo testimonianze sulle reti sociali, ci sono stati incidenti con la polizia, che ha effettuato alcuni arresti.

Nel pomeriggio, su via Istiklal, c'era stata un'altra manifestazione per denunciare la morte ieri nel villaggio curdo di Lyce, vicino a Diyarbakir, di un manifestante colpito da uno sparo di un gendarme turco. I dimostranti contestavano un progetto di ampliamento di una base militare nel villaggio di Lyce. La morte del manifestante ha provocato una impennata della tensione con la comunità curda (circa il 20% della popolazione della Turchia). Manifestazioni sono previste anche domani in diverse città del paese.

Si è appreso inoltre che il governo turco sta analizzando il traffico Twitter, Facebook e di altri social media, per individuare ed arrestare le menti delle proteste contro il premier Recep Tayyip Erdogan, ad un mese dal loro inizio come una protesta ambientalista in difesa di un parco di Istanbul. Lo ha reso noto il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni, Binali Yildirim, che ha chiesto ai social network di collaborare se vogliono continuare ad operare in Turchia.
La ricerca dei leader delle proteste ha portato all'identificazione di 35 nomi forniti all'autorità giudiziaria, secondo il quotidiano Aksam. A lanciare l'attacco a Twitter è stato sin dai primi giorni della protesta lo stesso Erdogan che l'ha definito "un minaccia" alla Turchia.

E' la prova definitiva che la Rete non è affatto un "luogo libero", ma anche un setaccio a disposizione dei governi per selezionare - con molta poca fatica - gli oppositori. Se per caso non vi fossero bastate le rivelazioni di Snoweden...


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Il "decreto del fare" a pezzi ambiente e lavoro

Dà un po’ l’impressione di un dejà vu questo “Decreto del fare” (DL 69/2013), l’ennesimo cavallo di Troia  che porta in pancia l’ennesimo tentativo di revisione delle norme in materia di sicurezza del lavoro. Come in un remake di un pessimo film ci troviamo davanti un testo quasi identico a quello già cassato ai tempi del così detto “Decreto semplificazioni bis”, che il  governo  Monti aveva già provato a propinarci lo scorso autunno (ai tempi il tentativo fu fermato dalla campagna promossa dal Rls Marco Bazzoni).

Oggi come allora la controriforma si nasconde all’interno di in un decreto omnibus, ammantato dalla retorica della salvezza della patria dal baratro della crisi (chi vi si oppone è, ovviamente, un traditore del sacro suolo). Oggi come allora viene  promossa da un governo a sostegno bipartisan, come a ribadire la sudditanza che lega gran parte dell’arco politico a Confindustria. Come dicevo, il testo – nella parte che riguarda la sicurezza del lavoro – è quasi uguale a quello  del settembre 2012. Del resto Confindustria l’ha scritto e non l’ha mai cambiato.
Mi spiace ripetermi, ma visto che si parla degli stessi  provvedimenti ribadisco gran parte della sintesi che ne feci allora:

  • Riduzione (ops… volevo dire “semplificazione”) dell’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria per i lavoratori che prestano la loro opera in azienda per meno di 51 giorni lavorativi nell’anno solare. Come se la pericolosità di un lavoro diventasse automaticamente minore per i lavoratori precari, e non fosse invece il contrario !!!  Non solo il buon senso, ma anche le statistiche (vedi qui e qui) dimostrano che i continui cambi di mestiere e luogo di lavoro non permettono mai di maturare sufficiente esperienza nella mansione, aumentando la probabilità di infortunio. Quanto alla sorveglianza sanitaria, essa andrebbe approfondita, e non “semplificata”, vista l’esposizione del lavoratore precario a rischi sanitari sempre mutevoli.
  • Possibilità di sostituire il documento di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI) negli appalti con la nomina di un preposto. E’ un modo per scaricare le responsabilità sul povero culo di un dipendente, mentre la redazione del DUVRI responsabilizza i datori di lavoro.
  • Esenzione dall’obbligo del DUVRI per gli appalti non superiori ai dieci uomini-giorno (in precedenza il decreto 81/08 concedeva una franchigia per max due giorni), perché evidentemente i rischi iniziano dall’undicesimo.
  • Identificazione di settori di attività a basso rischio, a cui verrebbe estesa la possibilità di autocertificare la valutazione dei rischi. Così la sicurezza si risolve nella firma di un foglietto.
  • “Modelli semplificati” per la redazione dei  piani di sicurezza nei cantieri (ovvero la loro definitiva trasformazione in fuffa  standard prestampata).
  • Abrogazione del comma che prevede la possibilità dell’organo di vigilanza di richiedere informazioni e prescrivere modifiche entro 30 giorni dalla notifica relativa alla costruzione e realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali.
  • Conferma sostanziale del processo di privatizzazione delle verifiche sugli impianti.
  • Le inchieste sugli infortuni gravi o mortali non più condotte d’ufficio dalla Direzione territoriale del lavoro, ma solo su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell’INAIL. Mettiamo caso che crepi uno senza parenti, o si tratti di un lavoratore immigrato con i parenti lontani. L’infortunato è morto, superstiti non ce ne sono, l’Inail se ne frega tanto non c’è più nessuno da risarcire… e si può allegramente fare a meno dell’inchiesta! Tra l’altro si prevede che agli adempimenti (cioè all’indagine della Direzione territoriale del lavoro) si provveda “con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori  oneri a carico della finanza pubblica”.  Il che, in tempi di tagli selvaggi al pubblico impiego e alle dotazioni dei pubblici uffici, assesta un altro colpo alla possibilità di accertamento delle responsabilità degli infortuni. Si subordina, in pratica, il diritto ad avere giustizia ai vincoli della spending review.
Come unica differenza rispetto all’ipotesi di Monti & Fornero, non si prevede più la possibilità di autocertificare l’avvenuta valutazione dei rischi per le aziende fino a 50 dipendenti. Ma non temete. Prima o poi torneranno alla carica!

In compenso ci sono delle altre chicche in materia di antincendio e di normativa ambientale, e di regolarità contributiva.

Si mette mano al DPR 151/11 laddove prevede che le attività a rischio di incendio medio e alto richiedano al Comando dei  Vigili del fuoco l’esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni, o le modifiche di quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio. Il “Decreto del fare” le esenta da questo onere “qualora già in possesso di titoli abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità”. In pratica dopo aver  ottenuto un primo titolo abilitativo si possono mutare completamente le condizioni di sicurezza senza rendere conto a nessuno (per intenderci, stiamo parlando di attività che vanno dalla produzione di gas infiammabili alle scuole, dai distributori di carburante fino agli alberghi e agli ospedali).

A livello ambientale, viene completamente riscritto l’art.243 del D.Lgs. 152/96 sulle acque di falda contaminate. La nuova stesura  suona così:  “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di contenimento della diffusione della contaminazione ….”.  In pratica ne discende che: se la contaminazione delle falde non genera direttamente un rischio sanitario (magari per la lontananza di insediamenti e attività antropiche), ma si limita all’inquinamento ambientale, ce ne freghiamo. Ma comunque, anche in presenza di un rischio per gli umani, l’eliminazione della fonte della contaminazione (e il conseguente diritto costituzionale alla salute) viene subordinata alle compatibilità economiche.

Infine, veniamo al DURC, il documento di regolarità contributiva necessario per  accedere agli appalti pubblici e riceverne i pagamenti.  Già così com’è, esso non attesta che un’azienda paga i contributi e non tiene lavoratori in nero, ma che non è mai stata beccata dagli uffici ispettivi di Inps, Inail, o DPL. Vi assicuro che fra le due cose c’è una certa differenza (conoscendo l’aleatorietà dei controlli in materia). Il “Decreto del fare” allunga la validità del DURC a 180 giorni, per cui se un appaltatore viene beccato dagli uffici ispettivi il committente pubblico potrà accorgersene anche sei mesi dopo. Nel caso poi questo succeda, la ditta non verrà più esclusa dall’appalto per il venir meno dei requisiti, ma gli verrà decurtato dal pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza. In pratica assumere in nero o evadere Inps, Inail e Cassa Edile non gli comporta più nessuna sanzione credibile all’interno dell’appalto.

Mi fermo qui, anche se probabilmente un’analisi più approfondita potrebbe riservare altre sorprese nel testo di stò decreto che verrà confermato a fine agosto. A meno che una forte reazione non glielo ricacci di nuovo indietro.

L'Egitto in piazza contro Morsi

In migliaia si stanno radunando in diverse città egiziane per la manifestazione contro Morsi e il suo regime indetta dalle opposizioni, nel primo anniversario della salita al potere del governo islamista.

Al Cairo migliaia di persone si sono ritrovate di fronte al palazzo presidenziale e in Piazza Tahrir. Intanto la campagna Tamarod ha annunciato la raccolta di 22 milioni di firme che chiedono le dimissioni del presidente, elezioni anticipate e una nuova Carta Costituzionale. Morsi è intervenuto, mettendo in dubbio la validità delle firme: alle elezioni presidenziali votarono per i Fratelli Musulmani almeno 13 milioni di egiziani.

La manifestazione di oggi è stata preceduta da scontri e sit-in in tutto l'Egitto: venerdì ad Alessandria tre persone sono state uccise, tra loro un cittadino americano, mentre ieri a Suez un ordigno è esploso durante una manifestazione.

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29/06/2013

E' morta Margherita Hack


In questi anni, Margherita Hack non ha mai fatto mancare la sua firma su tutti gli appelli alla mobilitazione sulle questioni sociali, politiche e civili.
Qualche perplessità aveva suscitato la sua posizione non ostile all'energia nucleare. La scienziata in quel caso aveva vinto sulla militante. Ma chi si misura con la scienza non può che fare i conti con tutte le contraddizioni e le verifiche che ne derivano.

Ciao Margherita, la tua terra ti sarà certamente lieve

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The Man In Me



Un grande film spesso passa anche per una colonna sonora della madonna.

S&P: "la recessione italiana va peggio del previsto"

Cominciamo a essere stanchi di aver ragione... Abbiamo sempre detto, infatti, che la situazione economica del paese era molto peggiore di quanto dicevano le cifre propagandate da governo, Bce, Fmi, Banca d'Italia, ecc. Niente. AL massimo ci arrivava l'accusa di essere "catastrofisti" o addirittura di portare sfiga. Non sarebbe niente di grave, a prenderla con filosofia; in fondo Cassandra è destinata a restare inascoltata.
Ma qui stiamo parlando delle condizioni di vita di alcune decine di milioni di persone e quindi il cerchio ben poco magico tra visione esatta del degrado e "rassicurazioni" governative va spezzato. Spezzando questo governo e l'infame compromesso politico che lo sostiene...

Al dunque. Dice Standard & Poor's che l'economia italiana è nei guai e ci resterà a lungo. Anzi, andrà sempre peggio. Il Pil 2013 calerà dell'1,9% e non più dell'1,4% precedentemente previsto (il governo aveva detto -0,5%, poi "corretto" a -0,9). La recessione, aggiunge S&P, «persisterà probabilmente nei prossimi trimestri». Ma non preoccupatevi, prova a rassicurare, per il 2014 la stima di Pil è stata addirittura innalzata: dal +0,4% al +0,5%. Non è ben chiaro come sia possibile, né come si faccia a essere contenti di "crescere" dello 0,4 dopo avere accumulato tre anni di segni "meno" (ricordiamo che, rispetto al 2007, il Pil italiano è sotto ormai dell'8%). Ma questo alle agenzie di rating non interessa: basta che possano collocare un segno "più" in certo arco temporale, in modo da indicare al capitale speculativo come orizzontarsi.

S&P si attende anche un continuo calo della domanda interna per consumi; non compensata più dall'export ("deludente"), anche perché i prodotti "tipici" dell'industria italiana - "lusso" a parte - si trovano davanti a una concorrenza globale molto più agguerrita).

Anche nel caso della Germania le cose non vanno benissimo (indebolendo il resto d'Europa a colpi di "rigore" i crucchi han finito per tagliare il ramo su cui erano comodamente seduti): le stime per il Pil 2013 di Berlino sono state abbassate da +0,8% a +0,4%.

I dati macroeconomici recenti «suggeriscono che la recessione probabilmente persisterà nei prossimi trimestri. Ci aspettiamo che la domanda per consumi continui a contrarsi con un calo del 3% quest'anno (dopo il -4% del 2012), mentre ci attendiamo che la performance italiana nell'export continuerà ad essere deludente, con un aumento dello 0,5% nel 2013».

S&P sottolinea che l'economia dell'Eurozona «è ancora intrappolata nella sua seconda recessione in cinque anni, ma i dati recenti mostrano che il fondo potrebbe esser stato toccato nel secondo trimestre del 2013». Una speranza, più che un "consuntivo".

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Manovra d'autunno in vista. Prime pesanti "indiscrezioni"

Tagli di spesa e tasse. I governi da qualche anno a questa parte non sanno - e non possono sapere, visto che la Troika comanda - pensare ad altro. 11 miliardi (almeno) da trovare per Natale.

Per una volta lasciamo la parola a chi di conti economici, in teoria, dovrebbe sapere qualcosa.

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Ecco il maxi piano taglia spese e tasse d'autunno

Undici miliardi per ridurre Iva, Imu, Tares e altre imposte che tanto pesano su famiglie e imprese, in un paese, il nostro, in cui la pressione fiscale percepita ha toccato picchi del 53%.

Dalle indiscrezioni sul maxi piano taglia tasse d'autunno del governo Letta, riportate da La Stampa, l'esecutivo di large intese sembra orientato ad apportare "una sforbiciata alla giungla delle agevolazioni fiscali e agli incentivi alle imprese".

Ma non solo: previsto anche "un trasloco di qualche bene meno essenziale dall’aliquota Iva agevolata del 4 a quella ordinaria del 21%; un frullato di Imu, Tares e Irpef comunale per alleggerire l’imposizione fiscale su chi non ha redditi alti e non possiede case di lusso".

"Il tutto condito dalla speranza che il gettito fiscale, dopo mesi di fiacca, prenda a risalire, spinto da pagamenti dei debiti della Pa e dalle spese per le ristrutturazioni edilizie favorite da incentivi ed ecobonus", si legge nell'articolo a firma Paolo Russo.

La copertura del rinvio dell'Iva non e' nulla rispetto agli 11 miliardi che il governo Letta dovra' rastrellare e garantire in bilancio".

Se queste sono le misure del "piano d'autunno", i sindacati potrebbero sentirsi accontentati, sebbene solo in parte. Nella spending review parte seconda si profilano tagli all'Iva per i beni non essenziali, ai tributi comunali, cosi' come riduzione di spese nella pubblica amministrazione e agevolazioni fiscali. La Cisl aveva chiesto l'eliminazione degli enti inutili e si era invece opposta ai "tagli lineari".

"Per noi la riforma fiscale rimane la madre di tutte le riforme, il peso fiscale sui redditi da lavoro e da pensione è ormai insostenibile". Lo ha affermato il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, intervenendo su Radio1 Rai.

Alleggerire la pressione fiscale o attuare politiche che servano a creare posti di lavoro? Dovendo scegliere, la maggioranza degli italiani (52%) preferirebbe diminuire le tasse. È quanto emerge da un sondaggio realizzato dall'Istituto Swg in esclusiva per Agorà, su Rai Tre.

Nel dettaglio, opterebbero per la diminuzione delle tasse due elettori su tre di centrodestra e il 58 percento del Movimento 5 Stelle. A pensarla diversamente è oltre la metà dell'elettorato del centrosinistra (61%), secondo cui è invece prioritaria la creazione di nuovi posti di lavoro.

"Il centrodestra - ha osservato Roberto Weber, presidente Swg - è un po' più in sintonia con il suo elettorato rispetto al centrosinistra".

da WallStreetItalia

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Abbastanza mosci quelli che se ne intendono.

SID. Il "Grande Fratello" da oggi c'è e ci spia

La lotta all'evasione è una cosa seria, ma la schedatura di massa dell'intera società, forse lo è anche di più. Quando le buone cause nascondono in pancia le vere minacce alla democrazia. 

Da domani finiremo tutti dentro il Sid. L'acronimo non corrisponde più ai servizi segreti dell'epoca delle stragi di stato ma a Sistema di Interscambio dei Dati, una nuova arma nelle mani del Fisco che potrà controllare la vita dei contribuenti passando attraverso conti correnti bancari, libretti postali e gestioni finanziarie.
Da domani il rapporto tra il Fisco, gli istituti di credito e le Poste cambia di direzione: fino ad oggi erano gli investigatori dell'Agenzia delle Entrate a dover chiedere alle banche le
verifiche, dopo l'avvio formale di un accertamento. Adesso invece, saranno direttamente e automaticamente le banche e le Poste ad inviare i dati al cervellone dell'Agenzia delle Entrate, dove verranno incrociati con le altre informazioni di cui il Fisco già dispone. Questo ferreo controllo va ad aggiungersi al controllo già in vigore sull'uso dei contanti sopra i 500 euro e alla imposizione - nei fatti - di essere titolari di un conto bancario o di una carta di credito per poter ricevere lo stipendio o la pensione.
Da lunedì prossimo, il Sid sarà operativo dopo che è stato messo a punto un sistema completamente automatizzato di trasmissione dei dati, che, almeno formalmente, ha dovuto tenere conto delle prescrizioni dell'Autorità garante della privacy.
L'Authority, infatti, è stata perentoria nell'indicare come gestire le informazioni che arriveranno a “Serpico”, il grande cervellone del “Servizio per i contribuenti”. Ma, come noto, tra una legge e le circolari attuative spesso ci si "perde", non ci si capisce, si equivoca, si "interpreta".
I dati che entro il 31 ottobre dovranno essere comunicati all'Anagrafe tributaria riguardano i conti correnti bancari, i conti deposito, i titoli azionari posseduti, gli investimenti finanziari dei clienti, compresi quelli effettuati con le società assicurative, e i rapporti con le fiduciarie. Poi toccherà a Serpico, il vero Grande Fratello,  incrociare i dati bancari con quelli delle utenze telefoniche o idriche, con l'acquisto di un'automobile o di un'abitazione e soprattutto con le dichiarazioni dei redditi.
Così niente di tutti noi resterà mai più anonimo. Sarà poi un algoritmo a selezionare all'interno di Serpico le eventuali dissonanze dei contribuenti e ad inviarle i dati agli agenti dell'Agenzia delle entrate, che così potranno lavorare su un elenco di potenziali evasori, ma, nei fatti avranno disposizione vita, morte, miracoli e quant'altro di tutti i cittadini.
Il Direttore dell'Agenzia delle Entrate, Befera, l'uomo che fino all'ultimo ha difeso le vessazioni di Equitalia,  ha assicurato che saranno presi in considerazione soltanto scostamenti tra reddito e spese che superano il 20% di quanto dichiarato, mantenendo ferme così le regole del redditometro. Una volta che il Serpico avrà individuato uno scostamento tra quanto speso e dichiarato o qualche altra anomalia, i funzionari dell'Agenzia delle entrate chiameranno a rapporto il contribuente che dovrà spiegare cosa è accaduto e fornire una giustificazione.
Insomma una sorta di società-Matrix nella quale viene da chiedersi se gli agenti del Fisco che faranno i controlli busseranno educatamente alla porta o entreranno facendo i buchi dal soffitto come nel geniale film "Brasil" di Terry Gillian oppure sfondandole come in 1984.
Occorre ammettere che Orwell è incappato in una seria toppata collocando il Grande Fratello in un sistema simile alla ex Urss, esso non poteva che realizzarsi in occidente.

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Australia, il boomerang laburista

di Mario Lombardo

Con un'altra discutibile manovra politica avvenuta dietro le spalle degli elettori, il Partito Laburista australiano (ALP) ha operato questa settimana un nuovo clamoroso cambio alla propria guida e a quella del governo del paese. Il primo ministro Julia Gillard è stata infatti estromessa dalla leadership del più antico partito dell’Australia per essere sostituita dal suo immediato predecessore, Kevin Rudd, nel tentativo di evitare un quasi certo tracollo nelle elezioni generali previste per il prossimo mese di settembre.

Il ribaltone al vertice del partito di maggioranza relativa a Canberra è andato in scena nella serata di mercoledì, con i parlamentari laburisti che hanno votato con un margine di 57 a 45 a favore di Rudd. L’avvicendamento indica la messa in moto di potenti forze dietro le quinte della politica australiana, dal momento che lo stesso Rudd aveva visto fallire nettamente due tentativi di riconquistare la leadership del suo partito a inizio 2012 e nel marzo di quest’anno.

Il governo Gillard, d’altra parte, risulta enormemente impopolare tra gli elettori e il primo capo di un esecutivo australiano di sesso femminile continua a suscitare una forte avversione proprio per il ruolo avuto nel blitz che tre anni fa la portò al potere al posto di Rudd. Secondo alcuni recenti sondaggi, nelle elezioni previste tra meno di tre mesi il Partito Laburista faticherebbe addirittura ad ottenere 30 seggi sui 150 totali della Camera dei Rappresentanti.

Il reinsediamento di Kevin Rudd è dovuto perciò ad una residua simpatia nei suoi confronti per le modalità con le quali venne estromesso dalla carica di primo ministro, nonché per avere suscitato qualche speranza di cambiamento dopo le elezioni del 2007. In quell’occasione, Rudd e i laburisti avevano beneficiato del profondo malcontento popolare per le politiche messe in atto dal governo liberale di John Howard, alimentando aspettative per una svolta progressista che non sarebbe però mai arrivata.

In ogni caso, dopo la scelta del nuovo leader da parte della delegazione parlamentare del Labor, nella mattinata di giovedì Rudd ha frettolosamente giurato anche come nuovo primo ministro di fronte al Governatore Generale dell’Australia, Quentin Bryce, senza nemmeno ottenere un voto di fiducia in Parlamento. Questa manovra è apparsa quanto meno discutibile, soprattutto alla luce del fatto che i laburisti sono alla guida di un governo di minoranza che si è retto finora grazie all’appoggio esterno di due deputati indipendenti, i quali, oltretutto, avevano inizialmente espresso qualche dubbio sulla loro intenzione di appoggiare un eventuale nuovo governo Rudd.

Il loro sostegno alla fine garantito al nuovo premier, assieme alla garanzia offerta dal leader del Partito Liberale di opposizione, Tony Abbott, di non procedere con una mozione di sfiducia, hanno comunque assicurato la nascita dell’Esecutivo, confermando il desiderio diffuso tra gli ambienti di potere australiano di evitare una crisi costituzionale in un momento di grande inquietudine sul fronte politico.

Il ritorno da protagonista di Kevin Rudd sulla scena politica australiana appare particolarmente singolare alla luce delle ragioni che avevano portato alla sua rimozione con un golpe interno al Partito Laburista nel 2010. Rudd, per cominciare, si era esposto alle accese critiche della comunità degli affari indigena - soprattutto della potente lobby dell’industria estrattiva, vale a dire la spina dorsale dell’economia del paese - a causa di un’odiata “supertassa” sui profitti di colossi come Rio Tinto o BHP Billiton. Dopo una campagna di discredito nei confronti dell’iniziativa promossa da Rudd, la tassa sarebbe stata approvata sotto la gestione Gillard ma in una forma decisamente più attenuata.

La caduta di Rudd nel 2010, inoltre, era stata dovuta anche a questioni di politica internazionale e alle manovre silenziose degli Stati Uniti per favorire la rimozione di un capo di governo alleato che aveva manifestato in più occasioni la volontà di mediare per giungere ad un accomodamento pacifico tra gli interessi di Washington e Pechino nel continente asiatico. Questa inclinazione tutt’altro che anti-americana di Kevin Rudd andava a scontrarsi con la cosiddetta “svolta” asiatica decisa dall’amministrazione Obama fin dal 2009 e che prevede il contenimento ad ogni costo dell’espansionismo cinese, da ottenere con mezzi economici e diplomatici ma anche militari.

Dopo l’uscita di scena di Rudd grazie all’opera di quelle che un cablo dell’ambasciata USA a Canberra pubblicato da WikiLeaks avrebbe descritto come “fonti protette” all’interno del Labor, la partnership strategica tra i due paesi è decollata, con il presidente Obama che a fine 2011 ha finalmente visitato il paese alleato, annunciando il dispiegamento di alcune centinaia di soldati americani in territorio australiano.

Queste ed altre preoccupazioni nei confronti di Rudd sembrano però essere state ora messe da parte, almeno momentaneamente, per cercare di dare qualche chance al Partito Laburista in vista delle elezioni e di scelte complicate che verranno richieste al prossimo governo in concomitanza con un evidente rallentamento dell’economia australiana. Questo partito, d’altra parte, ha dimostrato negli ultimi anni di sapere garantire l’implementazione relativamente indolore di politiche impopolari richieste dalle élite economiche e finanziarie australiane e internazionali, grazie soprattutto ai tradizionali legami con le organizzazioni sindacali e al sostegno di lavoratori e classe media.

Alcuni dei protagonisti della sua deposizione nel 2010 - a cominciare dal deputato irriducibilmente filo-americano Bill Shorten - si sono perciò adoperati questa settimana per riportare Rudd al potere, con ogni probabilità dopo il via libera degli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato americano, dopo il voto di mercoledì, ha così espresso la propria sostanziale approvazione, manifestando la volontà di mantenere un rapporto di collaborazione privilegiato con qualsiasi futuro governo australiano.

Rudd, da parte sua, dopo il ritorno alla guida dell’esecutivo ha rapidamente abbandonato la retorica dei giorni precedenti, sostituendo la promessa di abbandonare la strada dell’austerity con l’appello al business australiano per gettare le basi di una collaborazione con il governo, in vista di “decisioni difficili per il futuro della nostra economia”.

Il percorso del nuovo governo appare però complicato da molti fattori, a cominciare dalla risicata maggioranza in Parlamento e dalle profonde divisioni nel Partito Laburista. Numerosi ministri del governo Gillard hanno già rassegnato le proprie dimissioni giovedì, tra cui quello del Tesoro, del Commercio, dell’Agricoltura, delle Comunicazioni e del Cambiamento Climatico. Altri autorevoli membri del partito, tra cui il ministro della Difesa Stephen Smith e la stessa Gillard, hanno invece annunciato di non essere intenzionati a candidarsi nelle prossime elezioni.

Il Labor australiano, infine, anche con una nuova e meno screditata leadership difficilmente riuscirà ad evitare un’altra sonora sconfitta nel voto del 14 settembre prossimo dopo le batoste patite nelle recenti elezioni per il rinnovo di alcuni parlamenti statali. Il tracollo nel gradimento del partito tra le classi più disagiate è infatti dovuto proprio alle anti-democratiche manovre interne che hanno caratterizzato i cambi al vertice in questi anni e, ancor più, alla continua rinuncia anche alla parvenza di politiche progressiste, come, appunto, ha già fatto intravedere anche il redivivo neo-premier Kevin Rudd.

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Epopee piddine in salsa australiana. A dimostrazione che la sinistra liberale è una merda in tutto il mondo.

Italia. La scuola nel deserto

Hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato istruzione. La massima di Tacito si può ben applicare alla demolizione del sistema formativo nel nostro paese.Tagli feroci e pochissimi investimenti, pochi laureati e diplomati, stipendi bassissimi ed età avanzata degli insegnanti. E' così da quindici anni e non si vede alcuna controtendenza.


L'ultimo rapporto internazionale  dell'Ocse, “Education at a glance” (Uno sguardo sull'educazione) mette a confronto i 34 Paesi aderenti all'Ocse.  Il Rapporto 2013 conferma un'allarmante sintesi della situazione italiana rispetto al resto del mondo industrializzato. Nel nostro Paese gli investimenti nell'istruzione sono fermi praticamente dal 1995, i diplomati e i laureati sono un gruppo sociale sempre più ridotto, gli insegnanti tra i più anziani e i peggio pagati del mondo economicamente sviluppato.

Nell'ultimo biennio, sull'onda della crisi e del furore rigorista contro la spesa pubblica, ben 15 Paesi hanno effettuato tagli alla spesa per l'istruzione. Ma sono solo cinque i paesi che spendono meno del 5% del PIL in istruzione: Repubblica Ceca, Ungheria, Italia (4,7%, con tagli del 5% tra il 2011 e il 2012 e del 7% sul periodo 2008-2010), Russia e Slovacchia.
In Ungheria, Islanda e Italia, la diminuzione degli investimenti nella scuola è stata ancora maggiore della stessa diminuzione del PIL dovuta alla recessione.
Negli ultimi quindici anni (dal 1995 al 2010) l'Italia è di fatto il paese peggiore per gli investimenti nell'istruzione. Nel 2011 la percentuale dei laureati italiani è stata la terz'ultima in area Ocse, con il 15%: peggio hanno fatto solo la Turchia e il Brasile.
Appena prima di Spagna, Portogallo, Brasile, Messico e Turchia, l'Italia ha anche un esiguo numero di diplomati, il 56% nella fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni. In Germania, tanto per fare un confronto, la percentuale dei diplomati è l'86%.
Le retribuzioni degli insegnanti confermano poi dati decisamente desolanti. Nel 2011, lo stipendio iniziale di un insegnante era pari a un lordo di 17.651 euro nella scuola dell'infanzia e primaria, e 19.028 euro nella secondaria (Germania: 34.328). Dopo 15 anni di carriera, l'Italia paga 21.325 euro lordi nella primaria e a fine carriera 25.951, mentre nella secondaria si arriva a 23.236 euro dopo 15 anni di carriera, e 28.499 a fine carriera (in Spagna sono 27.666 dopo 15 anni e 33.670 a fine carriera; Germania: 41.750 e 45.531). Peggio dell'Italia c'è solo la Grecia (massacrata dai diktat della Troika) e la Slovenia (in via di spolpamento per l'ingresso nell'Eurozona).

Infine nella scuola non si assume e non si fa spazio per nuove generazioni di insegnanti. Infatti gli insegnanti italiani sono i più anziani: nel 2011, il 47,6% nella scuola primaria, il 61% nella secondaria inferiore e il 62,5% nella secondaria superiore aveva più di 50 anni.

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Una popolazione ignorante si controlla e bastona più facilmente.

Strage di Ustica. Ex maresciallo dell'Aeronautica "rivela" il segreto di Pulcinella

“Quando sarà, io me ne voglio andare con la coscienza a posto. Perché se lassù incontrerò anche uno solo di quegli ottantuno poveretti che stavano sull'aereo, non voglio che mi sputi in faccia”, a parlare è Giulio Linguante, maresciallo dell'Aeronautica Militare, intervistato dall'Huffington Post.

Il maresciallo Liguanti nel 1980 era in forza al reparto del Sios Aeronautica nell'aeroporto di Bari. Dopo 33 anni di silenzio l' anziano maresciallo dell'Aeronautica ha svelato al giornalista dell’Huffington Post Andrea Purgatori quello che in molti sospettavano: il Mig libico ritrovato sulla Sila il 18 luglio era caduto molto prima, la stessa sera del DC9 dell'Itavia, il 27 giugno 1980. Purgatori ha speso almeno trenta anni della sua attività di giornalista nel tentativo di far emergere la verità sulla strage di Ustica.
Il maresciallo Liguanti racconta:
“Arrivai sulla Sila la notte del 18 luglio, insieme a un altro sottufficiale di Bari. È caduto un aereo libico e a Roma vogliono sapere, ci dissero. Era tardi, andammo a dormire in una caserma dei carabinieri. La mattina dopo, mentre preparavo la macchina per raggiungere Castelsilano, arrivò un appuntato che aveva appena partecipato alla sepoltura del pilota del Mig23. Era stravolto, ci mancava poco che vomitasse. Puzza che non ci si può stare vicino, diceva. Strano, pensai. Io ne ho visti di morti. E anche se fa caldo, dopo appena un giorno nessun cadavere è ridotto a quel modo”.

Il Mig23 si era schiantato contro un costone di roccia a strapiombo su una pietraia. Per raggiungerlo, il maresciallo camminò per chilometri in mezzo a un bosco. “Da lontano pareva un camion ribaltato, con le ruote in aria. Era grosso e praticamente intatto. Tanto che quando dopo un mese lo portarono via, dovettero spezzare le ali. Altra cosa strana, perché un caccia che va dritto contro un muro di roccia normalmente finisce in pezzi. Poi vidi dei buchi sulla coda, fori di cannoncino. Capii subito che di quella faccenda dei fori era meglio non parlare”.

Intorno alla carcassa del Mig23, ricorda ancora Linguante, “c'erano rottami sparsi ovunque. Anche se appena arrivammo la cloche era già sparita, e chissà chi e quando se l'era portata via”. Sul posto, secondo Linguante, arrivò anche Duane “Dewey” Clarridge, capo della Cia a Roma. “L'ho portato io a vedere l'aereo. È rimasto un paio d'ore. Gli avevo organizzato anche un panino e una bottiglia d'acqua. Ha solo bevuto, il panino me lo sono mangiato io alla sua salute”. “Dopo un mese passato in quel posto, mi fu chiaro che quell'aereo non era caduto il giorno in cui avevano detto di averlo ritrovato”, aggiunge il maresciallo.
Andrea Purgatori, una vita al Corriere della Sera e autore della più inquietante controinchiesta sulla strage di Ustica rammenta a tutti che “Gheddafi a quel tempo era il nemico numero uno dell’Occidente. Di americani e francesi, soprattutto. Mentre noi ci flirtavamo, un po’ per minaccia e molto per interesse. Tanto da salvargli la vita parecchie volte. Forse pure quella notte in cui avrebbe dovuto fare la fine che toccò al DC9 Itavia. La stessa notte e nello stesso cielo in cui volò quel pilota libico ai comandi del Mig23 che forse era di scorta al colonnello, che sfuggì al missile che colpì l'aereo di linea italiano ma poi venne inseguito e precipitò sulla Sila”.
Un’ipotesi, quella sul Mig23, avvalorata dal racconto dell’anziano maresciallo: “Era caduto molto prima, - racconta Linguante - la stessa sera della strage di Ustica, era stato colpito e tutto quello che vedevo davanti ai miei occhi era solo una messinscena. Io sono fiero di avere servito l'Aeronautica, ma mi vergogno delle bugie che sono state dette da alcuni miei superiori. Ho una coscienza e me la devo tenere pulita fino alla fine. Per me e per i miei figli. Costi quel che costi”.
Gheddafi è stato ucciso. Numerosissimi testimoni chiave sulla strage di Ustica sono "morti". Il maresciallo Liguanti, in vecchiaia, ha atteso molto per rivelare quello che - come direbbe Pasolini - molti sapevano ma non avevano le prove per dimostrarlo. A trentatré anni dalla strage a chi si chiederà conto per quella strage?

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A me questi fieri servitori dello stato che dopo 30 anni se ne escono rivelando il segreto di Pulcinella di turno fanno solo schifo, ma se ne andassero tutti a fanculo.
Il caro maresciallo, se ha davvero tanto a cuore la propria coscienza, non poteva dirle vent'anni fa o anche prima ste cose???
Ste dichiarazioni fanno il paio con quelle di Imposimato che in merito ai nostri anni di piombo tirava fuori la direzione del Bilderberg.

28/06/2013

Portogallo. Oggi il quarto sciopero generale contro la Troika

E’ il quarto sciopero generale in due anni contro i devastanti diktat antisociali dell’Unione Europea e della Bce. Fermi soprattutto i trasporti.

In Portogallo i sindacati hanno convocato oggi uno sciopero generale di 24 ore per protestare contro la micidiale politica di austerità che ha aggravato la crisi economica. Il problema infatti sono le condizioni imposte dalla Troika Ue,Bce, Fmi attraverso un prestito obbligato di 78 miliardi di euro imposto al Portogallo come “salvataggio”.
I sindacati sperano che il quarto sciopero generale in due anni costringa il governo ad alleggerire l'austerity, che ha prodotto un boom della disoccupazione e aumento enorme delle imposte.
Oggi i treni sono bloccati, così come la metro e i servizi di traghetto a Lisbona. Molte linee di bus sono ferme. Diversi municipi hanno chiuso per oggi gli uffici, e nell'Algarve si sono fermati anche i pescherecci. Possibili cancellazioni e ritardi di voli aerei.
La coalizione di centrodestra in Parlamento non pare che abbia intenzione di cambiare politica. Ma il Portogallo è comunque alle prese con crescenti problemi finanziari, con i rendimenti dei titoli sul debito pubblico che sono aumentati fortemente nelle ultime settimane, gettando un'ombra sul progetto di ricorrere nuovamente ai mercati per finanziare il deficit di bilancio.
“Tutto quello che si cerca di imporre mira ad accumulare i profitti del capitale finanziario, a saccheggiare le risorse nazionali, nel momento stesso in cui il Paese affonda sempre di più. Il Governo PSD/CDS opera a margine e contro la Costituzione della Repubblica. Di questo governo e di questa politica non se ne può più” - denuncia il Partito Comunista Portoghese in un comunicato di sostegno allo sciopero – “Ogni giorno che passa è sempre più evidente l'urgenza di interrompere questa china verso il disastro economico e sociale. Sono necessarie e non più rinviabili le dimissioni del Governo, lo svolgimento di elezioni anticipate per l'Assemblea della Repubblica, il rigetto del Patto di Aggressione e la rottura con la politica di destra. E' possibile concretizzare una politica e un governo patriottici e di sinistra.Lo Sciopero Generale del 27 giugno è l'occasione per dire Basta”.


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Cosa prevede il "decreto carceri"? Una scheda descrittiva

Parziale marcia indietro rispetto alle politiche "chiudi e butta la chiave". Non per cultura progressista, ma per semplice crisi economica e manca di soldi per costruire nuove carceri, si riscopre la "legge Gozzini".


Tm News, 26 giugno 2013

Previsione di "misure dirette ad incidere strutturalmente sui flussi carcerari", agendo in una duplice direzione: quella degli ingressi in carcere e quella delle uscite dalla detenzione.

E "rafforzamento delle opportunità trattamentali per i detenuti meno pericolosi", che costituiscono la maggioranza. Sono i due fronti della cosiddetta "deflazione carceraria" cui tende il decreto legge recante "disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena" varato oggi dal Consiglio dei ministri. Ecco, in dettaglio, che cosa prevede il testo.

Modifica dell'art. 656 c.p.p.

L'obiettivo è riservare l'immediata incarcerazione ai soli condannati in via definitiva nei cui confronti vi sia una particolare necessità del ricorso alla più grave forma detentiva. Stante il particolare allarme sociale suscitato dal delitto di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori di 14 anni, tale tipologia di reato è stata inserita nel catalogo di quelli più gravi, cui l'ordinamento penitenziario connette un regime particolarmente gravoso, l'articolo 4 bis. Nei confronti degli altri condannati si è intervenuti sulla cosiddetta "liberazione anticipata", istituto che premia con una riduzione di pena, pari a 45 giorni per ciascun semestre, il detenuto che tiene una condotta regolare in carcere e partecipa fattivamente al trattamento rieducativo. Il decreto prevede la possibilità che il pm, prima di emettere l'ordine di carcerazione, verifichi se vi siano le condizioni per concedere la liberazione anticipata e investa, in caso di valutazione positiva, il giudice competente della relativa decisione.

In questo modo, il condannato potrà attendere "da libero" la decisione del tribunale di sorveglianza sulla sua richiesta di misura alternativa. Inoltre, per le donne madri ed i soggetti portatori di gravi patologie viene contemplata l'opportunità di accedere alla detenzione domiciliare, peraltro già prevista dalle norme vigenti, senza dover passare attraverso il carcere, quantomeno nei casi in cui debba essere espiata una pena non superiore ai 4 anni. In pratica, al passaggio in giudicato della sentenza, ove il condannato debba espiare una pena non superiore ai 2 anni (4 anni se donna incinta o con prole sotto i dieci anni, o se gravemente ammalato) il pubblico ministero sospenderà l'esecuzione della pena dandogli la possibilità di chiedere, dalla libertà, una misura alternativa al carcere, che spetterà al tribunale di sorveglianza eventualmente concedere. Ove invece si tratti di autori di gravi reati o di soggetti in concreto pericolosi, ovvero sottoposti a custodia cautelare in carcere, questa possibilità non sarà offerta ed il condannato resterà in carcere fino a quando il tribunale di sorveglianza non ritenga, sulla base di una valutazione da svolgere su ogni caso specifico, che egli possa uscire in misura alternativa.

Lavoro di pubblica utilità

Viene ampliata la possibilità per il giudice di ricorrere, al momento della condanna, ad una soluzione alternativa al carcere, costituita dal lavoro di pubblica utilità. Tale misura, prevista per i soggetti dipendenti dall'alcol o dagli stupefacenti, fino ad oggi poteva essere disposta per i soli delitti meno gravi in materia di droga, mentre in prospettiva potrà essere disposta per tutti i reati commessi da tale categoria di soggetti, salvo che si tratti delle violazioni più gravi della legge penale previste dall'articolo 407, comma 2, lett. a), del codice di procedura penale.

Misure alternative

Nella duplice prospettiva di ridurre i flussi in entrata ma anche di incrementare le possibilità di uscita dal carcere, si collocano le modifiche che prevedono l'estensione degli spazi di applicabilità di alcune misure alternative per determinate categorie di soggetti, che in passato erano invece esclusi, come i recidivi per piccoli reati. La preclusione si caratterizzava per una assoluta astrattezza, impedendo l'accesso alle misure, in particolare la detenzione domiciliare cosiddetta generica (ovvero sotto i 2 anni di pena), anche nei casi in cui i soggetti avevano commesso reati di modesto allarme sociale e magari in un lontano passato. L'eliminazione di tali automatismi consentirà al tribunale (o al magistrato) di sorveglianza di svolgere una valutazione in concreto, sulla base di elementi di giudizio forniti dagli organi di polizia e del servizio sociale del ministero della Giustizia. Nei confronti dei condannati per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario viene mantenuto il divieto di concessione di questa particolare forma di detenzione domiciliare.

Misure incidenti sul trattamento rieducativo

Al fine di alleggerire le tensioni che, in specie nel periodo estivo, possono più facilmente innescarsi sia tra i detenuti sia nei confronti del personale penitenziario, il provvedimento estende la possibilità di accesso ai permessi premio per i soggetti recidivi e prevede l'estensione dell'istituto del cosiddetto lavoro all'esterno anche al lavoro di pubblica utilità.

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Solite cose fatte alla carlona. In prima battuta bisognerebbe mettere mano al codice penale che condanna al carcere una marea di reati che sarebbe più sensato (e produttivo, anche economicamente) punire con la sanzione pecuniaria, senza contare il fatto che reati come l'immigrazione clandestina e la detenzione di sostanze stupefacenti andrebbero ripensati per mondarli dalla dose inaudita di arretratezza, ignoranza e razzismo che li compone.

Pacchi e cacciaballe sul lavoro

Le promesse del governo sulla lotta alla disoccupazione giovanile? Per tre quarti propaganda, per il resto "staffetta generazionale" con assunzione di giovani pagati poco al posto di padri e madri.


A ben guardare sulla stampa, le uniche soddisfazioni visibili per i provvedimenti del governo sul lavoro, a parte che da Letta stesso, vengono da Berlusconi e dai gruppi dirigenti di CGIL CISL UIL.

Berlusconi è andato da Letta e poi dal Capo dello Stato, il quale evidentemente non ha problemi a ricevere frequentemente un pluri condannato per reati gravissimi, e ha espresso pieno sostegno al governo e al suo operato.

Se evidentemente così il capo del PDL cerca di far dimenticare i devastanti guai con la giustizia, i gruppi dirigenti di CGIL CISL UIL mostrano ancora una volta di aver dimenticato cosa deve dire e fare un sindacato in momenti come questi. In Portogallo oggi si sciopera contro l'austerità, qui da noi i leader dei grandi sindacati approvano misure ridicole che stanno alle politiche di austerità come una ciliegina vecchia su una torta andata a male.

Il provvedimento del governo non riduce di una sola unità l'ammontare complessivo della disoccupazione, ma semplicemente la ridistribuisce in piccola quota.

Il ministro Giovannini, che come ex capo dell'ISTAT sa come far ballare i numeri davanti a mass media ottusi e bendisposti, ha detto che questa misura ridurrà del 2% la disoccupazione giovanile sotto i trent'anni e subito il suo annuncio è stato rilanciato come un fatto enorme.

Facciamo un piccolo conto. Il governo ha annunciato che con i suoi provvedimenti ci saranno 200.000 assunzioni di giovani. Se questo fosse vero e, come dice Giovannini, corrispondesse ad un calo del 2% dell'ammontare complessivo della disoccupazione giovanile, vorrebbe dire che questa assomma a ben 10 milioni di persone, un numero forse superiore a tutta la popolazione tra i 18 e i 30 anni...

Evidentemente non è così e Giovannini ci dice tra le righe, dove i mass media di regime non guardano e non fanno guardare, che la riduzione della disoccupazione giovanile sarà molto inferiore alle assunzioni previste, diciamo a spanne attorno a un decimo di quanto affermato (ovvero lo 0,2%).

Quindi la disoccupazione giovanile viene ridotta (forse) di 20.000 persone. È le altre 180.000? Ammesso che si verifichino tutte quelle previste, esse saranno chiaramente assunzioni di giovani che non riducono la disoccupazione perché le aziende avevano già programmato di farle.

Tito Boeri su La Repubblica afferma che le attuali assunzioni di giovani sono 120.000 al mese. Il programma del governo è scaglionato su 4 anni...

Quindi i soldi pubblici andranno soprattutto a quelle medie e grandi aziende che vanno meglio di altre e che avevano comunque bisogno di assumere. Un puro regalo.

Ma i 20.000 di Giovannini? Bè temo che a quelli corrispondano altrettanti licenziamenti per lavoratrici e lavoratori di altre fasce di età.

Non bisogna mai dimenticare infatti che tutti gli indicatori economici dicono che la disoccupazione complessiva aumenterà. Quindi i posti di lavoro che si perdono sono di più di quelli che si creano e se si incentivano le assunzioni per una certa fascia di età, ovviamente altre generazioni vengono licenziate di più.

In concreto avremo aziende che si libereranno delle e dei dipendenti con più di 50 anni per assumere giovani che pagano con un salario molto basso e sui quali sono sgravate dai contributi. E siccome si va in pensione a 70 anni e ci sono già schiere di esodati, è chiaro che le aziende licenzieranno per assumere.

È la famosa "staffetta generazionale", condannata da quella associazione sovversiva che è l'Organizzazione del lavoro delle Nazioni Unite. Perché, afferma l'ILO, in realtà distrugge lavoro buono e reddito.

Quindi la sostanza è che le misure del governo daranno qualche piccolo risultato nella direzione voluta solo se verranno licenziati padri e madri per far posto ai figli.

In una condizione di crisi e recessione ci sono solo due modi per ridurre davvero la disoccupazione. Il primo e fare investimenti che creino lavoro aggiuntivo, il secondo è quello di ridurre l'orario tra gli occupati per redistribuire il lavoro tra più persone.

Il governo rifiuta entrambe queste vie nel nome dell'austerità europea, e dunque può solo tirare la coperta sempre più stretta da un lato o dall'altro, aumentando la precarietà e la disoccupazione complessiva.

Non è un caso che il piano giovani sia accompagnato dalla davvero notevole impresa di essere riusciti a peggiorare la legge Fornero, agevolando ancor di più le assunzioni a termine e senza controllo.

Le ricette sul lavoro del governo Letta sono dunque le solite misure liberiste che si adottano in tutta Europa, con fallimento progressivo. Il paese che da più anni governa il mercato del lavoro con pacchetti di misure come quelle appena decise è la Spagna: l'unico grande stato europeo con una disoccupazione complessiva e giovanile superiore alla nostra.

Quindi queste misure falliranno e sprecheranno, come tutte le politiche del lavoro degli ultimi venti anni che ora sono ben sintetizzate da un governo che raccoglie il fallimento della destra e quello del centrosinistra.

Del resto questa sintesi fallimentare non si esprime solo sul lavoro. Su tutto il governo delle larghe intese o rinvia, o vende fumo, o fa il gioco delle tre carte.

Si rinvia l'IVA e intanto si aumentano le tasse qua e là. Si vota una pausa di riflessione parlamentare sugli F 35 e la si fa coincidere con una pausa dei lavori prevista dal contratto di acquisto degli aerei, che viene confermato.

Si rinvia, si confezionano pacchi mediatici, si cacciano balle con la faccia seria e rigorosa.

Forse la soddisfazione di Berlusconi è più di fondo: se lui è al tramonto, la sua eredità culturale e politica si consolida nel regime delle larghe intese.

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Il fantasma dei militari sull’Egitto diviso

Tamarod - i ribelli - preparano i quattro e forse più giorni di protesta contro il presidente Mursi partendo dalla data simbolo del 30 giugno: un anno di potere diventato amarissimo per lui e la Fratellanza Musulmana.
 
La quale rintuzza e appronta oggi un venerdì di preghiera e sostegno che può portare a mille la tensione com’è accaduto a Mansoura, delta del Nilo, con scontri fra fazioni, morti e tanti feriti. Dal 7 dicembre 2012, quando nei dintorni della dimora presidenziale di Al-Ittihadiyah le piazza laica e islamica si presero prima a pugni e poi a fucilate tutto è diventato più difficile per il governo e per l’Egitto. Il filo, già teso, fra le spinte prodotte dalla Confraternita salita al potere e gli altri poteri del Paese - Forze Armate e Magistratura su tutti - si spezzava definitivamente col varo della nuova Costituzione e il conseguente decreto presidenziale che l’ha resa esecutiva. I partiti islamici acceleravano, è vero, ma gli avversari frenavano boicottando l’Assemblea Costituente, a loro dire troppo orientata verso una “Coranizzazione” del Paese con punte in odor di Sh’aria. Su quest’importantissimo passo della vita nazionale che voleva archiviare l’era Mubarak s’è concentrato per mesi il braccio di ferro fra islamisti e laici, sia quelli sinceramente innovatori sia i nostalgici del vecchio regime che avevano contrapposto Shafiq a Mursi.
E se un anno fa le aspettative di cambiamento, pur marcate dalle prediche delle eminenze musulmane vicine alla Fratellanza, erano diffuse fra la popolazione, il feeling che aveva segnato il successo elettorale dei partiti della Libertà e Giustizia e Al-Nour è gradualmente scemato. Colpa dei nervi tuttora scoperti che riguardano investimenti, distribuzione di risorse solo ipotizzate, lavoro e sicurezza. Mursi da neo eletto ha compiuto una doppia mossa che controbatteva le scelte del potere giudiziario giunto a sciogliere un’Assemblea del Popolo dove i deputati islamici vantavano un’amplissima maggioranza. I magistrati offrivano un’interpretazione retroattiva delle norme elettorali e questo scaldò non poco gli animi. Il presidente riunì ai primi di luglio 2012 quel Parlamento, aprendo una diatriba di potere. Lui e la Suprema Corte si rimpallavano accuse d’ingerenza. La seconda mossa fu meno lacerante: pensionamento anticipato per due pezzi da novanta della lobby militare, Tantawi e Anan. L’iniziativa non dispiacque all’intera Tahrir anche laica che dipingeva i due graduati come spettri macchiati del sangue dei martiri della Rivoluzione del 25 gennaio. Certi osservatori sostennero che sulla gerarchia prescelta, guidata dal generale El-Sissi, si consumava una specie di compromesso fra la nuova leadership e una forza inamovibile nella vita politica del Paese.
Nel conflitto in corso fra il cosiddetto Fronte di Salvezza Nazionale, dallo scorso inverno pronto a chiedere le dimissioni di Mursi forte d’una valanga di firme raccolte (si parla addirittura di 15 milioni), l’esercito s’è posto in disparte tranne che nei ricorrenti momenti di tensioni e violenze che intimoriscono la componente silenziosa, quella che non parteggia e non s’espone. Si tratta di ceti benestanti dei quartieri residenziali del Cairo, di professionisti e commercianti desiderosi della sicurezza ma non lontani dalla crisi, visto che la difficile situazione economica mette in ginocchio le loro stesse attività. Proprio dalla capitale, in cui sono attesi rinnovati cortei e contestazioni, giungono notizie di movimenti di truppe e mezzi. Non solo blindati e file di carri ma anche di caccia in volo. E se attivisti nazionalisti auspicano con alcuni striscioni attaccati alle lamiere grigioverdi che l’esercito stia col popolo, la cronaca registra anche una manifestazione sotto il ministero della Difesa che ha chiesto un ritorno dei militari alla guida del Paese. Il fantasma del Consiglio Supremo delle Forze Armate che solo un anno fa lasciava il posto a un presidente eletto liberamente. Già, ma lo lasciava davvero?

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La "manovrina" del governo su lavoro e Iva

Molte misurette, tante promesse, una sola certezza: non c'è un euro e lo Stato ai tempi della Troika "accompagna" le decisione delle imprese. E basta...
 

C'è una logica nella seconda lenzuolata di provvedimenti calata ieri dal governo? A dispetto delle apparenze e della realtà molto confusionaria, sì. É una logica deriva da una convinzione apodittica, o meglio da disposizioni sovranazionali indiscutibili: il futuro del lavoro in Italia sarà “povero”. Per contenuti e competenze, ovviamente per salari e garanzie, per capacità di consumo e dignità delle persone. Non è nemmeno una logica “nascosta”, anche se non sbandierata. Prendiamo questo passaggio che spiega le misure chiamate “a favore dell'occupazione giovanile”: Nel Mezzogiorno vi sono 1.250.000 giovani (15-29 anni) che non studiano né lavorano, più che nell’intero Centro Nord. Un giovane meridionale su 3 oggi non studia né lavora. I giovani diplomati del Sud hanno nel 2012 un tasso di occupazione del 31% e i giovani laureati del 49%; tassi entrambi di circa 15 punti inferiori rispetto al resto del paese; la durata media della ricerca della prima occupazione supera i tre anni. Al tempo stesso cresce sensibilmente al Sud la partecipazione al mercato del lavoro, segno sia di assoluta necessità di impiego in moltissime famiglie, sia di esplicita volontà di contribuire al rilancio del paese. Come ricorda la Banca d’Italia, “l’offerta di lavoro cresce più rapidamente nelle regioni in cui l’aumento della disoccupazione è più marcato”. Possiamo sostituire Marx alla Banca d'Italia e la frase non cambia: l'alta disoccupazione è considerata una condizione favorevole allo sviluppo dell'occupazione. Ovvero, la presenza di un numeroso “esercito salariale di riserva” consente di tenere i salari indecentemente bassi e quindi “favorisce” l'investimento privato o, più semplicemente, il passaggio dal lavoro nero a quello “precario legale” e da quest'ultimo al contratto “a tempo indeterminato”. Riavvolgendo il nastro degli ultimi venti anni di “riforme del mercato del lavoro” (dal “pacchetto Treu" a oggi), possiamo agevolmente constatare come la precarietà contrattuale sia stata voluta e mirata a raggiungere un unico obiettivo: la compressione salariale al di sotto dei livelli di sussistenza. “I diritti” del lavoro, in questa dinamica “oggettiva”, non potevano che scomparire sullo sfondo; fino a poter essere indicati come “privilegi” antieconomici ostili “ai giovani”. I bastardi che ancora giocano sulla “guerra generazionale” sono quindi agenti attivi, anche se a volte persino inconsapevoli, del capitale e dei suoi governi. In secondo luogo, viene confermata e dettagliata una “filosofia” di intervento dello Stato nell'economia. Non più la keynesiana “politica industriale”, in cui lo Stato decide quali sono gli obiettivi strategici che “i privati” non sono interessati a perseguire e quindi “entra” direttamente in campo promuovendo alcuni tipi di industria e di occupazione. Ma un “accompagnamento” dell'iniziativa privata “sovrana”, con misure che “favoriscono” tramite strumenti fiscali la scelta per determinate opzioni anziché altre. Per provare a dettagliare meglio queste considerazioni di “logica generale” dell'intervento vi proponiamo qui sotto alcune schede prese dal Sole24Ore, di cui proveremo ad evidenziare (in corsivo) conseguenze e “filosofia”.

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Dal bonus giovani alle modifiche della legge Fornero: il decreto in 8 punti 

Bonus giovani (e Sud)
L'articolo 1 prevede "incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori giovani". Cioè, un bonus a chi assume under 29 disoccupati. Per rientrare nella categoria "lavoratori giovani" serve avere un'età compresa tra 18 e i 29 anni. Sono previste poi tre condizioni (basta se ne possieda una): il neoassunto deve essere privo di impiego retribuito da almeno sei mesi, non aver conseguito nessun titolo di scuola superiore e vivere solo con una o più persone a carico.
Redazione. Delle tre condizioni poste, una definisce il limite vero e quindi anche il campo di applicazione: “non aver conseguito nessun titolo di scuola superiore”. Quale tipo di occupazione si intende quindi favorire? Quella per cui basta la terza media o anche meno. Lavoro manuale puro e semplice, senza orpelli e competenze foss'anche minime.
 

Il bonus è pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, per un periodo di un anno e mezzo (18 mesi). Non può superare i 650 euro mensili. In caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato l'incentivo è corrisposto per 12 mesi. La risorse sono divise tra il Mezzogiorno e altre regioni italiane con percentuali diverse. Al Sud, il finanziamento è fissato a 100 milioni per il 2013, 150 milioni per il 2014, 150 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016. Complessivamente vanno al Sud 500 milioni. Quello per il centro e il nord è 294 milioni: 48 milioni di euro per il 2013, 98 milioni per il 2014, 98 milioni per il 2015 e 50 milioni per il 2016. E sempre nel secondo caso, le regioni interessate devono rendersi disponibili a cofinanziare al 50% la misura assegnata.
Red. Voler aiutare il Mezzogiorno sarebbe intento lodevole, se non lo si condannasse nel frattempo al ruolo di fornitore di manodopera manuale a basso costo. Le cifre stanziate, in aggiunta a una politica comunque rinunciataria, sono davvero troppo insignificanti per conseguire gli obiettivi dichiarati.


Tirocini, bonus per i giovani
Gli "interventi straordinari per favorire l'occupazione, in particolare giovanile" sono rivolti ai disoccupati fino a 29 anni d'età e agli over 50, sfruttando anche le opportunità lavorative dell'Expo 2015. In più, per favorire l'alternanza studio-lavoro, si stanzierà un fondo di 15 milioni di euro per i tirocini curriculari. E' previsto un incentivo tra le università statali che attivano tirocini della durata minima di 3 mesi con enti pubblici o privati. Per ogni tirocinante sono previsti al massimo 200 euro.
Red. Parole roboanti che si sgonfiano davanti all'entità del bonus: 200 euro. Davvero qualcuno pensa che tanto basti per “attivare” qualcosa di complicato come “l'alternanza studio-lavoro”?

Tornando al capitolo occupazione, l'articolo prevede che le parti sociali e le organizzazioni più rappresentative dei datori di lavoro concordino "contratti collettivi, iniziative e misure straordinarie", incentivando lavoratori intermittenti, lavoro subordinato con un programma di formazione non superiore alle 120 ore, elevazione dei compensi per lavoro accessorio da 2mila a 5mila euro e e stipulazione di co.co.co (collaborazione coordinata e continuativa) rinvianti all'Expo 2015.
Red. Un ruolo da kapò viene riservato alle “parti sociali (Confindustria e sindacati firmatari del recente “accordo sulla rappresentaza”), dovranno incentivare il... “lavoro intermittente” (tre mesi sì, due no, poi vediamo...), quello con competenze medio-basse (con durata della formazione limitata, ecc). Paradossalmente, si tratta di una confessione postuma: tutti i contratti tipo l'apprendistato – per cui sono previste durate abnormi, fino a tre anni – sono delle prese in giro finalizzate soltanto e tenere basso il salario e “sulla corda” il lavoratore. Se per la “formazione” bastano 120 ore o meno, a che serve un contratto triennale per ottenere lo stesso risultato?

Garanzia per i giovani
Il quarto articolo istituisce una struttura di missione per l'attuazione della cosiddetta "Garanzia per i giovani" (Youth Guarantee) e la ricollocazione dei lavoratori destinatari degli "ammortizzatori sociali in deroga". La struttura dispone le linee guida per definire i criteri e la ripartizione delle risorse, oltre a promuovere accordi tra istituzioni pubbliche, enti e associazioni private monitorare periodicamente gli interventi. Sarà coordinata dal Segretario Generale del Ministero del Lavoro o da un Dirigente Generale. La dotazione è di 40mila per il 2013 e 100mila euro per il 2014 e 2015.
Red. C'è poco da dire. Intenti vaghi, dotazioni ridicole, obiettivi inesistenti. E questa sarebbe “la garanzia”...

Istituti tecnici, 5 milioni di finanziamenti
Nell'articolo 5, in aggiunta alla legge 27 del dicembre 2006, si incrementa di 5 milioni di euro per il 2014 il Fondo per l'istruzione e la formazione tecnica superiore. In più, gli istituti professonali possono utilizzare spazi di flessibilità entro il 25% nelle lezioni annuali per percorsi di istruzione e formazione professionale. Gli spazi saranno ripartiti nel primo biennio e nel primo anno del secondo biennio.
Red. Mentre si distrugge metodicamente l'università pubblica e la scuola media superiore, spunta fuori una (impercettibile) inversione di tendenza per gli istituti tecnici. Cnque milioni sono una dotazione ridicola, ma comunque indicativa: basta sogni di scalata sociale, ragazzi, preparatevi a un lavoro appena appenapiù specializzato dell'operaio di linea. E non rompete le scatole con le vostre ambizioni...

Le modifiche alla legge Fornero 

L'articolo 6 prevede un "restyling" della legge 92 (la legge Fornero), modificando gli articoli 1, 4, 5 e 10. In particolare, sui contratti a tempo determinato si specifica che "si considera a tempo indeterminato" il contratto stipulato entro una data di 10 giorni per un contratto di 6 mesi e di 20 per un contratto superiore ai 6 mesi. Questo significa che gli intevalli di tempo per i rinnovi di un contratto a tempo determinato e il successivo tornano a 10 e 20 giorni (a seconda della durata del primo contratto a tempo), dopo che la legge Fornero li aveva estesi a 60 e 90 giorni.
Red. Chiarissimo: i padroni potranno tornare a usare questo tipo di contratti per tenere un lavoratore in condizion da “tempo indeterminato” senza corrispondergli né il salario né le residue garanzie di un normale dipendente. Basta fare i conti: 10 e 20 giorni corrispondono alle normali ferie di Natale ed estive. Basta dunque far terminare il contratto in corrispondenza di questi periodi e il gioco è fatto. L'impresa può risparmiare il salario da corrispondere anche durante le ferie, e il dipendente ha sempre il cappio intorno al collo perché deve guadagnarsi la “riassunzione”. Incredibile a dirsi, viene cancellato l'unico punto dell'infame riforma Fornero che limitava il dispotismo padronale... Si può sempre far peggio, suvvia!


Fissato un tetto al lavoro intermittente: non più di 400 giornate lavorative nell'arco di tre anni solari. Dopo di che, scatta la trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo pieno. 

Igiene, sicurezza e lavoro nero.
Le "ulteriori disposizioni in materia di occupazione" ricalibrano alcune norme su igiene, formazione professionale ed emersione del lavoro nero, soprattutto per gli stranieri. Le ammende per la contravvenzioni delle norme igieniche crescono del 9,6% a partire dal primo luglio. Gli incassi delle multe sono destinati al rifinanziamento di iniziative per vigilanza, prevenzione e promozione in materia di salute e sicurezza.
 

Sul fronte della formazione, scatta la trasformazione del contratto professionale in apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere. Nuove regole anche per i lavoratori stranieri: nel caso in cui l'emersione da condizioni di irregolarità sia respinta esclusivamente dal datore di lavoro, si rilascia un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Red. “Rimodulazioni”, per l'appunto, mirate a ridurre le abitudini imprenditoriali più impresentabili e soprattutto antieconomiche sul piano sistemico. In fondo, un certo grado di emersione dal “nero” significa anche maggior gettito fiscale...

Fondi pensioni 

Le "disposizioni in materia di politiche previdenziali e sociali" intervengono sui fondi pensione. In particolare, si stabilisce che le fonti istitutive possono rideterminare la disciplina e il finanziamento delle prestazioni per il rendite in corso di pagamento e quelle future, nel caso in cui i fondi non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati.
Red. Questa è un misura illuminante. I fondi pensione potranno quindi riscrivere i contratti di propria iniziativa se le condizioni sottoscritte inizialmente dovessero rivelarsi – per “cause impreviste” come la crisi finanziaria – troppo onerose per il fondo stesso. Al contrario, ricordiamo, il lavoratore resta vincolato al fondo fino al licenziamento o alla pensione; non ha alcuna possibilità di uscire dal contratto; figuriamoci di chiederne la “rideterminazione” nel caso scopra che per lui non è affatto conveniente... Diciamo la verità: non vi facevano un po' pena quei fondi pensione (che sono al tempo steso fondi di investimento, strumenti finanziari nudi e crudi)?

Il limite di reddito per il diritto alla pensione di inabilità dei mutilati e degli invalidi civili, inoltre, dovrà essere calcolato in riferimento all'Irpef, con l'esclusione del reddito degli altri componenti del nucleo famigliare.
Red. È forse l'unica norma che ridà qualcosa ai lavoratori distrutti dal lavoro. In pratica, si torna a considerare il lavoratore un individuo dotato di un diritto pensionistico proprio, non dipendente da eventuali altri redditi familiari. Anche perché le famiglie ora ci sono, domani si rompono (specie quando c'è un invalido che “pesa” sulle uscite...).*****Anche il rinvio dell'aumento dell'Iva non è a costo zero. Il milardi di minori entrate, per soli tre mesi, viene recuperato con una tassazione su beni "nuovi", finqui non tassati (le sigarette elettroniche) e con "anticipi" di versamenti dovuti.
Ancora dal Sole, di solito il più informato in materia.


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Tassa sulle sigarette elettroniche e acconti fiscali (Irpef, Irap e Ires) più salati per coprire il rinvio dell'Iva

di Marco Mobili e Marco Rogari

Il rinvio dell'Iva grava sulle sigarette elettroniche e, in misura più consistente, sugli acconti Irpef, Irap e Ires dovuti nel 2013. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera al differimento di tre mesi dell'aumento di un punto percentuale (dal 21 al 22%) dell'aliquota Iva, che sarebbe scattato dal 1° luglio, al 1° ottobre. «In Parlamento - ha precisato il premier Enrico Letta durante la conferenza stampa al termine della seduta - si verificherà insieme alle commissioni parlamentari la possibilità di un ulteriore differimento dell'aumento dell'Iva» preludendo così allo slittamento di altri tre mesi, fino al 1° gennaio 2014, per affrontare la rivistazione della materia nell'ambito dell'approvazione della legge di stabilità.

Le sigarette elettroniche
Per la copertura necessaria a questo primo slittamento - grosso modo un miliardo, nel dettaglio: 864,6 milioni per il 2013; 117 milioni per il 2014; 112 milioni per il 2015; 51 milioni per il 2016 e un milione di euro a decorrere dal 2017 - nella bozza di entrata del decreto il governo ha dunque previsto due tipi di intervento. Il primo sulle cosiddette e-cig, le sigarette elettroniche: «I prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati - si legge nella bozza in possesso del Sole 24 Ore - nonché i dispostivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo, sono assoggettati ad imposta di consumo nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico».


Gli acconti fiscali
Quanto agli interventi fiscali, decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura degli acconti Irpef e Irap, è fissata al 100 per cento (ora è al 99%). Per l'Irpef, nel 2013, si precisa nella bozza, questa previsione produce effetti esclusivamente sulla seconda o unica rata di acconto, «effettuando il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l'acconto complessivamente dovuto e l'importo dell'eventuale prima rata di acconto». Per chi si avvale dell'assistenza fiscale, saranno i sostituti d'imposta a trattenere la seconda o unica rata di acconto tenendo conto dell'aumento.
Per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, inoltre, la misura dell'acconto dell'Ires, imposta sul reddito delle società, è aumentata dal 100 al 101 per cento. In questo caso, la norma disposizione produce effetti esclusivamente sulla seconda o unica rata di acconto, effettuando il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l'acconto complessivamente dovuto e l'importo dell'eventuale prima rata di acconto.
Infine, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013 e per quello successivo, il versamento di acconto dovuto dagli istituti di credito sulle ritenute dovrebbe essere fissato nella misura del 110 per cento (qui, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, la disposizione produce effetti solo sulla seconda scadenza di acconto, effettuando il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l'acconto complessivamente dovuto e l'importo versato alla prima scadenza).


Coperture
Intanto nel primo pomeriggio il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, ha spiegato che la copertura delle misure sul lavoro e sul rinvio dell'aumento dell'Iva «c'è, è reale e con risorse certe» ma bisognerà aspettare domani per avere il testo per i dettagli. «La copertura del rinvio dell'aumento dell'Iva - ha detto - non prevede incrementi fiscali. C'è solo un intervento sulle sigarette elettroniche».


da IlSole24Ore
 
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