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30/04/2013

L’Egitto della protesta

Duemila azioni di protesta, dai sit-in pacifici agli scioperi (pensiamo a quelli di Port Said e del Delta del Nilo) sino alle manifestazioni cairote e ai durissimi scontri mortali con l’uso di armi da parte di polizia e manifestanti, come ad Al-Ittihadiya durante l’assedio di dicembre al Palazzo presidenziale.
Il polso sociale dell’Egitto 2012 è riassunto in un documento del Centro Egiziano per i Diritti Sociali ed Economici diffuso in queste ore. Il 36% delle proteste hanno richiesto aumenti salariali e si sono sviluppate con cinque tranche di scioperi lunghi, mentre 380 azioni erano animate da disoccupati che reclamavano lavoro. Invece in 111 casi si additavano corruzione e carenze operative di manager. Non tutto è buio nel resoconto degli attivisti egiziani del lavoro che hanno vinto alcune battaglie come quella per la rinazionalizzazione di alcune compagnie private (Omar Effend, Assiut Cement, Tanta Flax and Oil Company, Nile Ginning Cotton Company) seppure il rovescio della medaglia riguarda l’applicazione di tali sentenze rimaste spesso inevase. Quella relativa alla Tanta Flax ha visto un diretto intervento del governo nella persona del premier Qandil ma non si è tuttora sbloccata. Il malcontento sociale non si placa e anche quest’anno le cifre sono già altissime.


Una statistica del Development Centre, ennesima organizzazione dei diritti, conteggia una quarantina di proteste giornaliere riferite ad altrettante categorie sociali. Gran parte dei rinnovati scioperi sono rivolti a  carovita e aumento del prezzo del carburante mentre negli ultimi due anni i temi sociali (bassi salari, mal funzionamento dei servizi come quello sanitario e dei trasporti) s’alternavano alle più note questioni politiche sullo strapotere della Fratellanza Musulmana, la contestata Carta Costituzionale e la contrapposizione fra partititi laici e blocco islamico. Ovviamente l’alto livello d’insoddisfazione che alimenta le contestazioni è direttamente correlato alle enormi aspettative introdotte dalla ‘Rivoluzione del 25 gennaio’ cui non sono seguiti sensibili trasformazioni nella  quotidianità. Le iniezioni di capitali per rilanciare investimenti economici, dai famosi prestiti del Fmi ad altri finanziamenti targati Usa, petromonarchie (ultimamente è in ballo un accordo col Qatar per 3 miliardi di dollari), Turchia e Iran hanno continuamente oscillato sul filo della concessione in cambio di contropartite, d’interesse monetario o geopolitico. L’amministrazione Mursi sta disattendendo troppe questioni e la sua supremazia elettorale non è più così scontata. Forse per questo la data delle consultazioni continua a slittare.

Fonte 

Bisogna riconoscerlo, tanto di cappello alla popolazione egiziana. 

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