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28/04/2013

Israele punta a collegare la crisi in Siria con quella iraniana

Mentre l'attenzione dei media internazionali è stata rivolta alla distruzione dello splendido minareto di Aleppo, la guerra civile in Siria si va pericolosamente collegando alla questione iraniana, per tramite di una ben condotta azione politica israeliana.
La questione dell'impiego delle armi chimiche in Siria, che Israele ha infatti subito indicato come "linea rossa" della propria sicurezza e del possibile intervento dello stesso Stato ebraico nel conflitto, è ormai all'ordine del giorno, dopo che alti esponenti dell'establishment militare israeliano hanno dato per certo che il governo siriano ne stia facendo uso.
Ma la notizia si è tinta subito di giallo: infatti il ministro della difesa americano Hagel, la cui nomina, come si sa, è stata duramente contestata dalla lobby ebraica americana, che lo considera troppo acquiescente verso l'Iran, si è dichiarato sorpreso del fatto che la notizia sia stata diffusa a distanza di poche ore dal suo incontro di lunedì scorso con il responsabile della difesa israeliano Moshe Yaalon, nel corso del quale nulla gli era stato detto in merito. "Forse la valutazione non era ancora completa", si è affrettato ad aggiungere diplomaticamente.
Sta di fatto che, una volta di più, il governo Usa si trova incalzato da Israele ad intervenire nel conflitto. E qualcosa in questa direzione sta già avvenendo, dato che è confermato lo schieramento in Giordania, presso il confine meridionale siriano, nella base aerea di Mafraq, di 200 uomini della 1a divisione corazzata Usa, una delle unità d'urto più blasonate delle forze armate americane. Secondo quanto pubblicato lo scorso 17 aprile dal Los Angeles Times, questo primo contingente potrebbe preludere allo schieramento di oltre 20.000 uomini, come punta offensiva del possibile intervento occidentale in Siria, un intervento al quale, secondo quanto precisa il giornale israeliano Haaretz, Israele prenderebbe parte, non foss'altro che per garantirsi la sicurezza della zona contesa del Golan e per chiudere definitivamente i conti con Hezbollah.
Infatti, dopo l'episodio già verificatosi lo scorso ottobre, pochi giorni fa le forze armate israeliane hanno abbattuto un altro drone, che viaggiava a dieci chilometri dalla costa israeliana in direzione di Haifa, proveniente, secondo le autorità israeliane dal Libano. Il drone è stato abbattuto sopra la foresta di Yatir, presso Be'er Sheva, probabilmente anche grazie ad un preavviso da fonti di intelligence dislocate in Libano. Nonostante il movimento Hezbollah ha negato qualsiasi responsabilità nell'accaduto, per Israele la paternità del tentativo di penetrazione nel proprio spazio aereo non lascia adito a dubbi.
La questione siriana, con la sua appendice libanese, si collega così, anche per tramite del filo-iraniano Hezbollah, all'obiettivo fondamentale israeliano, la soluzione della questione iraniana. Israele, non soddisfatta dalla tiepida disponibilità americana ad intervenire, sta ormai dichiarando in lungo ed in largo di essere in grado di colpire l'Iran anche da solo. Lo ha fatto pochi giorni fa il capo di stato maggiore israeliano Benn Gant alla radio israeliana; lo ha confermato il ministro della difesa israliano Moshe Boogie Yaalon nel corso di una conferenza ad Herzliya, affermando che "Israele deve prepararsi per l'ipotesi di doversi difendere da solo con i propri mezzi".
Ma, nello stesso tempo, Israele sta esercitando fortissime pressioni sugli Usa, alimentando la convinzione che l'Iran sia in grado in pochi mesi di giungere alla bomba atomica: la "linea rossa" di Israele, però, è legata alla capacità di arricchimento in uranio, mentre Obama la colloca dove tutti i componenti di un'ordigno nucleare fossero stati effettivamente prodotti e assemblati.
La pressione israeliana ha comunque ottenuto un risultato che potrebbe rappresentare un elemento estremamente pericoloso nell'immediato futuro: in occasione del 65° anniversario della fondazione dello stato ebraico, infatti, il Senato Usa ha approvato una impressionante risoluzione, la Risoluzione 65 appunto, su proposta del presidente della commissione esteri del Senato, sen. Robert Menendez (D-NJ) e del sen. Lindsey Graham (R-SC), sostenuta da 79 membri bi-partisan del Senato Usa. Questa storica risoluzione, che nel suo preambolo ricostruisce in sintesi la storia delle relazioni Usa-Iran e dello speciale rapporto Usa-Israele, riaffermando il sostegno degli Stati Uniti al diritto israeliano all'auto-difesa, conclude testualmente:
"qualora il governo di Israele fosse costretto ad intraprendere un'azione militare di legittima auto-difesa contro il programma di armamento nucleare iraniano, il governo degli Stati Uniti affiancherà Israele, fornendo, nel rispetto della legge americana e delle responsabilità costituzionali del Congresso ad autorizzare l'uso della forza militare, supporto diplomatico militare ed economico al governo di Israele nella difesa del suo territorio, del suo popolo e della sua esistenza".
Si comprende bene quindi che il collegamento fra la "linea rossa" rappresentata dalle armi chimiche siriane e la "linea rossa" del nucleare iraniano, rischia una volta di più di porre l'impegno militare americano a rimorchio di una politica militare israeliana, diretta con ogni evidenza a risolvere quanto prima e con la forza le due crisi principali dell'attuale Medio Oriente.

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