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23/02/2013

Under The Influence


La musica è un po' come l'amore e il sesso: se non la si consuma, se non si fa di essa pratica quotidiana, si finisce per disabituarsi a ciò che sa trasmettere, e soprattutto si perdono quei quattro parametri oggettivi che l'ascolto continuo permette di costruire per discernerne tra un buon disco e uno meno riuscito.
E' il caso di Under The Influence degli Overkill, tornato alla ribalta nei miei ascolti per merito di un'appassionante scambio d'opinioni con Osso in un pomeriggio di un paio di settimane fa.
La discussione ruotava intorno ai capisaldi di genere ed alla necessità che si presenta ogni tanto, soprattutto per chi ha una certa dose di passione nella musica, d'operare una necessaria scrematura tra i propri ascolti, anche solo per evitare di finire come la maggior parte dei metallari secondo cui qualsiasi disco abbia dentro una chitarra distorta è automaticamente un capolavoro.
Non siamo gente che ama menarselo sui soli gruppi noti e stranoti ma a quel giro ci siamo prevalentemente soffermati sui big di genere degli Stati Uniti ed in particolare sugli Overkill, verso cui personalmente nutro una passione ai limiti dell'affettivo, sarà perché non passa settimana senza che il ritornello di Who tends the fire o Rotten to the core mi girino in testa in maniera del tutto automatica, sarà perché con loro ho provato l'esaltazione dei primi ascolti metal.
In questo senso sono  particolarmente affezionato al disco in oggetto in quanto agli albori delle mie esplorazioni sonore, Hello from the gutter fu uno dei pezzi più esaltanti che misi in cuffia (ai suoi livelli ricordo soltanto la monumentale Beyond the black dei Metal Church) e la copertina dell'album è stata una delle prime che meglio ha catturato le mie più morbose fantasie.
A distanza di tanti anni da quel pathos tuttavia, devo riconoscere che la critica mossa da Osso alla terza pubblicazione del gruppo di Blitz e Verni è calzante, in quanto riascoltando l'album con più orecchie e meno cuore lo stesso risulta generalmente incespicante e in buona sostanza l'uscita più debole nella prima parte di carriera della formazione newyorkese (ovviamente la merda fumante era ancora al di là da venire).
Nel complesso, infatti, il disco dà chiaramente l'impressione di non aver ben presente dove andare a parare, strangolato tra ciò che gli Overkill erano stati fino all'anno prima, cioè un gruppo speed ma dotato di un taglio che lo portava nel bacino del thrash e ciò che sarebbero diventati nel giro di un solo anno, ovvero la formazione di thrash statunitense più carica di groove che si fosse mai sentita. La natura di Under The Influence sta quindi tutta nel contingente d'essere una pubblicazione di mezzo, per altro mortificata da suoni poco azzeccati, limite che ha caratterizzato un po' tutto il primo excursus del gruppo e si concluse solo nell'89 per poi ripresentarsi nell'orrido I hear black del 1992, probabilmente l'album più brutto della formazione.
Nonostante quanto fin qui scritto il disco è meritorio d'ascolto perché sparsi qua e la nei pezzi sono ben presenti gli elementi che renderanno celebre il successivo The years of decay e perché nella traccia sono comunque presenti pezzi come la già citata Hello from the gutter e la conclusiva Overkill III (Under The Influence) che hanno parecchio di buono da lasciare all'ascoltatore.


Sti cazzi, Blitz, che voce aveva!
Al suo livello, forse anche oltre, solo Billy dei Testament.


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