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21/02/2013

Tra Cairo e Berlusconi: La7 è la prima vittima delle elezioni 2013?

 All’annuncio del ritorno in campo di Silvio Berlusconi per l’ennesima campagna elettorale, scrivemmo che le motivazioni di tale riapparizione non stavano solo nei processi ancora a carico del commodoro di Arcore, ma soprattutto nella necessità di Mediaset di rimanere radicata nel business della politica per poter tenere le proprie posizioni nel core business editoriale.

Il recente cattivo andamento del mercato televisivo, assieme a quello della raccolta pubblicitaria e l’impossibilità di trovare veri investitori esteri, consigliavano, infatti, a Mediaset un ritorno più aggressivo nel ramo politico per garantirsi come soggetto mediale. Le ristrutturazioni di personale, i bilanci Mediaset in rosso di questi mesi sono stati poi contemporanei a fenomeni fin qui sconosciuti per Arcore. Come la tornata di nomine Rai, quella di ottobre, sfavorevole agli interessi delle tv e della raccolta pubblicitaria di Berlusconi. Prima dell’inizio dell’inverno c‘erano quindi tutte le condizioni per un ritorno alla grande di Berlusconi in politica, in luogo del pallido Alfano, per cercare di ritrovare un consenso che assicurasse qualche vestigia del passato. Quando, non molti anni fa, tutti i grandi gruppi facevano a gara per gonfiare la pubblicità Mediaset e i manager Rai lavoravano in stato d'armonia con Arcore.

E’ ancora presto per valutare se la mossa del ritorno di Berlusconi abbia dato qualche frutto a Mediaset. Anche perché va capita, e non è fatto scontato, la tenuta del gruppo parlamentare del Pdl dopo le elezioni. Ma per ristrutturare il mercato televisivo in modo a lui favorevole, Berlusconi non si è limitato a buttarsi di nuovo nel ramo politica ma si è anche occupato del riassetto del settore tv. Non si può leggere in altro modo la formalizzazione dell’offerta di acquisto, da parte del gruppo Cairo, per La7. Perché se è vero che la Cairo Communications è anche un gruppo concorrente di Mondadori - diverse riviste di Mondadori hanno chiuso o ristrutturato a causa dell’aggressività delle riviste di Cairo - la stessa carriera del candidato futuro proprietario de La7 è cominciata come assistente di Berlusconi. Senza dover ricostruire la catena di possibili sinergie, in campo comunicativo e pubblicitario, tra Berlusconi e Cairo basti un particolare. La formalizzazione del processo di vendita de La7 a Cairo è stata annunciata, e difesa, da un particolare personaggio che siede nel consiglio di amministrazione di Telecom. Si tratta di Tarek Ben Ammar, uno dei soci storici del commodoro di Arcore tanto da difendere pubblicamente Berlusconi in decine di interviste. E’ evidente quindi che la vendita de La7 sta passando attraverso il benestare di Arcore. E chissà cosa vuol dire Bersani quando afferma di non sapere se ci sono rapporti tra Cairo e Berlusconi. Attendismo o premessa di accordo sui nuovi assetti televisivi?

Per Telecom la vendita de La7, scorporata dalle frequenze per il digitale un giorno utili per gli smartphone, rappresenta la dismissione di un ramo fortemente in perdita. Tanto che l’accordo con Cairo prevede che Telecom si accolli tutti i debiti dell’ultimo anno di gestione. L’importante, per il gestore privato di telefonia mobile, è fermare l’emorragia di perdite provocata da La7 in assenza di un piano di investimenti. Per Cairo, che è già gestore della pubblicità de La7 fino al 2019, si tratta di governare una azienda che conosce. Non a caso, in una intervista, ha dichiarato che sarà difficile produrre velocemente profitti con La7. Premessa di dismissioni forti nell’azienda o di una ulteriore vendita ad altro gruppo magari Mediaset?

Per ora siamo nel campo delle ipotesi. Il punto, come dice un manager de La7, è che adesso la tv è scorporata da una serie di sinergie aziendali che le potevano permettere di crescere. Con i tagli previsti, nelle interviste, da Cairo si ferma lo sviluppo di un importante concorrente politico, sul campo delle news e dell’approfondimento, alla Rai e a Mediaset. Se si conferma un processo di cannibalizzazione delle risorse finanziarie de La7, o di una sua riduzione del peso delle notizie nell’ambito del palinsesto, siamo quindi di fronte ad un mercato televisivo, e della raccolta pubblicitaria, che si normalizza ulteriormente sul fronte delle news. Questo di fronte ad un’offerta televisiva che, fino a pochi anni fa, di fatto rappresentava il pezzo forte delle strategie di comunicazione, dando quindi un vantaggio strategico a Berlusconi, di quasi tutto l’arco della politica istituzionale. Le elezioni, con la tv che ha promosso sostanzialmente solo tre soggetti (Berlusconi, Bersani, Monti), ci faranno capire quale è oggi, dopo diverse rivoluzioni tecnologiche, l’impatto politico di questa offerta televisiva.  Ma le elezioni ci faranno capire anche un’altra cosa. Quale sarà il destino reale de La7.

Da oltre un quarto di secolo infatti, equilibri politico-istituzionali ed equilibri del mercato televisivo e pubblicitario viaggiano a braccetto. Bersani ha detto che, se andrà al governo, metterà mano al conflitto di interessi. Senza dire come. Perché qui i dettagli contano: è dall’appoggio pubblico di Veltroni alle ragioni del decreto Craxi pro-Berlusconi del 1984 (!), che garantì al PCI la terza rete, che il principale partito della sinistra (sotto varie denominazioni) si defila sui provvedimenti verso le televisioni di Arcore. Come ha fatto nelle due legislature in cui è stato al governo. Perché gli assetti televisivi erano garanzia di assetti politici anche in presenza di conflitti (e le due parti, con Monti, alla fine un governo assieme l’hanno appoggiato e votato). Stavolta magari sarà diverso ma, se ne stia certi, con Arcore si cercherà un accordo non un conflitto. Per il bene del paese, guai a pensare il contrario.

redazione

19 febbraio 2013

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