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24/02/2013

Aldo Giannuli: una campgana elettorale diversa - Politica estera, eterna Cenerentola

Avevo criticato l’assenza della politica estera nel programma del M5s e, giustamente, mi si fece notare che esso non era l’unico a snobbare quel tema. E, infatti, la politica estera è proprio sparita dal dibattito e non compare nei programmi dei vari partiti. Quelli, per così dire, tradizionali (Pdl, Pd, Monti) danno per scontate le attuali appartenenze dell’Italia a Nato e Ue (forse la sola Lega balbetta qualcosa contro la Ue) e non hanno altro da dire. Ma chi fa di peggio sono le cosiddette liste “alternative” (Sel, Rc, M5s) che semplicemente non si pongono il problema.

In Italia la politica estera è stata sempre la Cenerentola, di cui non si parla se non proprio quando c’è una guerra come quelle del Golfo o rivoluzioni come quelle arabe ed, anche in quei casi, non tanto per decidere quello che farà il nostro paese (che, tanto, segue la corrente di quello che fanno gli altri più “grossi) ma così, come intrattenimento, tanto per cambiare un po’ discorso.

Grosso modo, l’idea è questa: l’Italia conta come il due di coppe quando regna denari, per cui che ne parliamo a fare? Limitiamoci a scegliere la grande potenza di cui essere vassalli. Poi c’è la variante pacifista di questo ragionamento, che è ancora più cretina dell’originale: No a qualsiasi intervento militare all’estero e morta là. E, secondo loro, questa sarebbe una linea di politica estera. Ma, oltre la questione degli interventi militari, ci sarà anche altro di cui parlare per la politica estera, o no!?

Iniziamo da una cosa: l’appartenenza alla Nato. Per non farla troppo lunga, concentriamoci su una domanda: nel mondo della globalizzazione, ha ancora senso? Non esiste più una dimensione bipolare ed anche il progetto di ordine mondiale monopolare è superato, ci stiamo dirigendo verso un mondo multipolare segnato più da conflitti di specifici interessi geopolitici che da confronti ideologici. Ed allora, in questo quadro, che senso ha la sopravvivenza di un organismo come la Nato se non quello di puntellare la traballante egemonia americana? E, soprattutto, dove sta scritto che l’Europa e gli Usa abbiano gli stessi interessi ed, invece, non siano rivali e concorrenti?

Della Ue e del suo sostanziale fallimento si è detto troppe altre volte perché ci si debba tornar su. E già questi due temi meriterebbero un dibattito molto approfondito di cui, invece, non c’è semplicemente traccia.

Ancor più è sconcertante come si ignori tranquillamente il nesso crisi-politica estera. Piaccia o no, da questa crisi non si esce con decisioni a livello nazionale ed uno alla volta. O si concorda a livello internazionale una linea idonea ad affrontare e risolvere il dissesto o la situazione si aggraverà. Sino a quando? Lo sbocco finale delle altre crisi mondiali (1873, 1907, 1929) è stato regolarmente quello di un conflitto generalizzato. Vogliamo ripetere l’esperienza?
“Ma non è l’Italia che può avere l’autorevolezza ed il potere per trovare uno sbocco mondiale alla crisi”. Nessuno dice che l’Italia abbia la forza, da sola, di invertire il corso delle cose e di forzare gli altri in una direzione o l’altra. Ma, appunto, l’attività diplomatica serve proprio a questo: a trovare consensi, tessere alleanze ed intese, favorire aggregazioni in vista degli obiettivi che si vogliono conseguire. Il piccolissimo Regno di Sardegna giocò un ruolo di tutto rispetto al Congresso di Parigi. 

Ma quelli avevano Camillo Benso di Cavour… noi abbiamo Giulio Terzi di Sant’Agata: capite la differenza?

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