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18/01/2013

Sana e robusta Costituzione?

Bisogna riconoscere il merito del Collettivo Uninomade (http://www.uninomade.org/la-critica-della-costituzione-e-necessaria/) e di Luca Nivarra, sul Manifesto del 10 gennaio, per aver tirato il sasso nello stagno e per aver detto che il re è nudo. Stiamo parlando della Costituzione italiana del '48, della sua presunta "attualità", della sua capacità di essere ancora un argine al neoliberismo dominante e allo "stato di eccezione permanente" imposto da governi e istituzioni politiche e finanziarie internazionali. Perchè nella migliore delle ipotesi di un argine, discutibile e ambiguo, si tratta. Non certo di un'immaginata vitalità di una Grande Norma giuridica in grado di generare diritti civili, politici e sociali all'altezza delle trasformazioni intervenute negli ultimi 65 anni.

A questo proposito gli esempi possono essere molti. Dalla famiglia intesa come società naturale fondata sul matrimonio ad una cittadinanza regolata di fatto dal "diritto di sangue" nonché l'impianto concertativo ante litteram dell'intero titolo III sui rapporti economici, fissati in una dimensione fordista senza tempo. Si possono aggiungere il recente inserimento nella Costituzione del pareggio di bilancio e la modifica del titolo V voluto dal governo di centrosinistra alcuni anni fa, in cui -in maniera paradossale- si rafforzavano contemporaneamente il decentramento e la centralizzazione dei poteri. Per non dire della cosiddetta uguaglianza del voto in un sistema maggioritario. In questi anni si è assistito a una difesa, della Carta del '48, improntata su un continuo e progressivo arretramento. La prima parte della Costituzione non si tocca ! Si diceva. E poi, non si toccano i principi fondamentali. Infine, si citano solo alcuni articoli: l'art. 1 della Repubblica fondata sul lavoro e sulla sovranità del popolo, l'art. 3 sulla rimozione degli ostacoli di ordine sociale ed economico che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, e l'art. 43 sulla salvaguardia dei servizi pubblici essenziali che "abbiano carattere di preminente interesse generale". Usando un'espressione colorita, ci si è ridotti a fare la "guardia a un bidone vuoto".

Sono argomenti ancora tabù nella sinistra più o meno radicale, che suscitano scandalo. Senza considerare, perché si corre il rischio di scivolare su un terreno meramente antropologico, i nostalgici del togliattismo versione anni '50, ultime vestali che ancora si illudono che l'applicazione integrale della Costituzione sia propedeutica all'introduzione di elementi di socialismo, il resto del panorama a sinistra non è particolarmente invitante. Stretto tra un antiberlusconismo, o un antimontismo, più viscerale che altro (va bene tutto purché sia contro il despota di Arcore e il Tecnico succube della Banca Centrale Europea) e una introiezione profonda della sconfitta che non permette di vedere oltre il meno peggio e la solita e devastante politica dei due tempi (difendiamo ora la Costituzione per poi passare all'offensiva). Purtroppo le cose non stanno così, o se si vuole, non sono solo così.

La Costituzione italiana è afflitta, per così dire, da problemi strutturali. Come per tutti i compromessi, per rendersi conto di ciò basta rileggersi anche solo in parte gli atti delle Commissioni costituenti, essi vengono meno quando mutano radicalmente le condizioni che li hanno resi possibili. Quando scompaiono i soggetti che li hanno sottoscritti. La Costituzione nata dalla Resistenza, o meglio con la Resistenza collocata sullo sfondo e in parte già neutralizzata - il Movimento Sociale erede della Repubblica di Salò nasce già nel dicembre del '46 e pochi mesi dopo si presenta alle elezioni amministrative di Roma ben prima dell'approvazione della Costituzione - ha assunto le sembianze di un'icona politica. Una rappresentazione diventata un simulacro. La Repubblica fondata sul lavoro non è mai stata concepita, nemmeno dai componenti della Costituente, come Repubblica che difende i diritti dei lavoratori. Il lavoro succitato è inteso come un'attività in cui concorrono lavoratori e datori di lavoro. Nell'art. 3, vero e proprio nocciolo duro del compromesso costituzionale, in poche righe si fa riferimento alle categorie di cittadino, proposta dai laici, a quella di persona, cara ai cattolici, ed a quella di lavoratore introdotta dalla sinistra. Ma chi sono oggi i cittadini, le persone e i lavoratori ? Che peso hanno le questioni di genere ? Come vengono considerati gli attuali 5 milioni di migranti che non hanno usufruito della sequenza progressiva dai diritti civili, a quelli politici, per approdare a quelli sociali frutto delle lotte di un movimento operaio che non c'è più ? Che ruolo hanno l'uguaglianza e la libertà in un regime che combina autoritarismo e liberismo?

Questi sono solo per alcuni temi che non possono essere affrontati con una manutenzione ordinaria o straordinaria che sia. Sono domande a cui non si risponde sul terreno giuridico delle ingegnerie costituzionali. E, temiamo, nemmeno adeguando il diritto costituzionale a un supposto " modo di produzione del comune" o a poco definiti "beni comuni". Le risposte possono venire se si fa leva sulla politicizzazione delle soggettività sociali, su nuove esperienze di conflitto attraversate da forme di democrazia radicale, sulla costituzione di ambiti e luoghi incompatibili con il neoliberismo, nell'affrontare la crisi della rappresentanza e delle istituzioni come occasione per cambiare passo.

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