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17/01/2013

L’Unione Europea si vuol comprare la “democrazia”

Nella disattenzione dei media, pochi mesi fa l’Unione Europea si è dotata di un organismo politico il cui scopo è intervenire nella vita politica dei paesi confinanti per orientare a suo favore movimenti politici, sindacali e di opinione. A suon di milioni.

“Il Consiglio di amministrazione dello European Endowment for Democracy (Sovvenzione europea per la democrazia) si è riunito lo scorso 9 gennaio 2013 a Bruxelles per discutere la visione strategica e il mandato della nuova iniziativa. In questa occasione, Jerzy Pomianowski, attuale Segretario di Stato della Polonia, è stato eletto Direttore esecutivo dell'Endowment.
All'incontro hanno partecipato l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione Europea, Catherine Ashton, il Presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, Elmar Brok e il Commissario per l'allargamento e la politica di vicinato Štefan Füle”.
Questa è la notizia. Ma che cos’è l’European Endowment for Democracy? Con molta probabilità i cittadini dell’Unione che se ne sono accorti sono molto pochi, ma si tratta di un organismo politico – dotato però, come si è visto, di un consiglio di amministrazione – che è stato istituito nell'ottobre del 2012 dalla Commissione europea finalizzato, recita il suo statuto, a “sostenere finanziariamente le organizzazioni e gli attivisti che lottano per l'avanzamento dei processi di transizione democratica nei Paesi dell'area del vicinato”. Per ora i soldi stanziati per finanziare “attivisti democratici” e “processi di transizione” nei paesi confinanti con l’Unione Europea sarebbero solo 14 milioni di euro, 6,2 milioni assicurati dalla Commissione europea e i restanti 8 dai Paesi membri e dalla Svizzera. Non una grande cifra, dunque. Ma che l’Unione Europea si doti di uno strumento politico-economico per intervenire direttamente nella vita interna di altri paesi la dice lunga sulle ambizioni imperialiste, o se non altro egemoniche, di un’entità politica che spesso liberali e democratici criticano per la mancanza di identità, di coesione, di progettualità. Ma ora accanto alla ‘Fondazione Soros’ gli interessi non sempre coincidenti delle grandi potenze occidentali potranno contare anche sul nuovo organismo europeo. Che non fa mistero di voler intervenire attivamente nella vita politica dei paesi della sua potenziale area d’influenza per orientare movimenti, opinione pubblica e forze organizzate verso i suoi interessi. “Il fondo arriva al momento opportuno, il 2013 sarà un anno cruciale per le transizioni democratiche nei Paesi a noi vicini” afferma con il candore che la contraddistingue la baronessa Ashton. Contenta di avere a disposizione finalmente uno strumento dinamico, rapido, snello, e soprattutto non costretto a lunghi iter burocratici delle pastoie rappresentate dalla necessaria mediazione tra i diversi punti di vista dei paesi europei. Non è un caso che a presiedere l’organismo sarà Pomianowski, uomo dell’occidente già assai attivo nella Polonia degli anni ’80, in piena guerra fredda.
Di cosa si occuperà soprattutto l’EED? Di Palestina, Egitto, Libano, Marocco, Siria. Destinando sostegno e appoggio a quelle opzioni che siano collimanti con gli interessi delle potenze principali dell’Unione Europea, coprendo il tutto nel consueto discorso del favorire la difesa dei diritti umani e lo sviluppo della democrazia in aree problematiche.
Nelle aree di intervento dell’EED rientrano naturalmente anche i Balcani e l’Europa orientale, terreno di conquista in questi anni per la Fondazione Soros che non ha mai fatto mistero di fomentare e finanziare le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’. Ora c’è da capire se i progetti del miliardario e quelli dell’UE saranno complementari o entreranno in contraddizione. Per ora le reazioni dei piccoli movimenti filoccidentali in Ucraina e Bielorussia sono entusiastiche, visto che aumenterà per loro il flusso dei finanziamenti e anche l’appetibilità mediatica.

Ma per avere qualche speranza di funzionare i finanziamenti europee all’EED devono aumentare, e di molto. Le campagne e le belle parole funzionano fino a un certo punto. Ma per finanziare blogger, giornalisti, attivisti sindacali e per convincere qualche funzionario o leader politico a passare dalla propria parte servono parecchi soldi, molti di più di quelli attualmente a disposizione di Ashton e Pomianowski. Soldi che, secondo il quotidiano polacco Gazeta Wyborcza, arriveranno nei prossimi anni soprattutto dai singoli stati, più che dall’Unione Europea in quanto tale.

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