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23/01/2013

La fucilazione di Antigone

Quando un potere arriva a decretare che non si possono piangere i morti, rivela su se stesso più di quanto pretenda di nascondere.


È un topos fondativo della civiltà occidentale. Antigone sfida il divieto di Creonte per mettere la legge “naturale” davanti a quella “politica”. Il bel libro di Rossana Rossanda, venti anni fa, fu una luce in un buio che poi è rimasto tale. I funerali di Prospero Gallinari sarebbero rimasti un fatto “privato”, ancorché “politico” per forza di cose, se il potere attuale – tutto – non avesse deciso di “cogliere l'occasione” per lanciare il suo ripetitivo monito: “guai a chi si ribella, guai ai rivoluzionari”.

Tutto scontato? Non proprio, no davvero. Non era scontato che a Coviolo ci fossero più di mille persone, sotto la neve e ben lontani dalle principali vie di comunicazione. Ma forse solo per Prospero e pochi altri era possibile il miracolo di far convergere il dolore di più generazioni, più posizioni politiche ormai consegnate agli archivi, sollevando riflessioni variegate e mai banali sulle ragioni di una lotta, i valori di una militanza, la coerenza delle scelte che porta a sopportare a testa alta anche le conseguenze della sconfitta.

Non era scontato che i media si interessassero così tanto, inviando decine di fotografi ma ben pochi cronisti. Tanto che vien da chiedersi da dove i media abbiano preso la descrizione dei funerali. Ma sappiamo che, quando è privo di informazioni, il valente giornalista italiano è sempre pronto ad inventare. I “pezzi di colore” sembrano venire meglio se non si assiste ai fatti...

Non era scontato che i dietrologi riesumassero i loro complottismi a prescindere, ripubblicando articoli che giacciono nei cassetti senza data. Ma anche qui una novità c'è stata: la narrazione dietrologica è oggi una sola, unitaria, slegata dai fatti, saldamente ideologica. Non c'è più insomma una “dietrologia di sinistra” (di origine Pci) che cerca le responsabilità di un presunto “doppio stato”, ma un solo discorso declinato senza variazioni sui media di destra, di centro e di “sinistra”. E che recita: “questa storia è un mistero, e tale deve restare”, così se ne può dire tutto ciò che di volta in volta serve. Una dietrologia “tecnica”, potremmo dire, in linea con i tempi.

La polemica contro un paio di esponenti reggiani di Rifondazione ha dato infine la misura politica di quella che altrimenti sarebbe rimasta una dannazione riguardante uno specifico gruppo della lotta armata di trent'anni fa. Un gesto umano, compiuto da due esseri umani dotati di un'etica e che merita il massimo della solidarietà da parte di tutti.

Sì, è vero, c'è il clima elettorale, devono essere ancora completate le liste dei candidati e magari qualche membro del cerchio magico dipietrista ha pensato di poter ricavare un posto in più a spese dei “comunisti”. Ma la mobilitazione mediatica è stata sproporzionata rispetto a interessi così miserabili. Rivela un di più.

Va capito fino in fondo che in questo paese c'è un potere che ha messo bombe sui treni, nelle piazze e nelle banche. Ed è rimasto al potere, nonostante una mobilitazione di massa che ha chiamato spesso per nome e cognome i responsabili politici – i mandanti – della strategia delle stragi.

E c'è stata un'opposizione parlamentare, il Pci, che è alla fine arrivata nelle stanze del governo siglando con quel potere un patto che salvaguardava uomini, strutture, clientele che della strategia stragista erano stati autori e complici. La figura centrale su questo fronte resta quella di Giorgio Napolitano. Non un documento “riservato” è uscito dai suoi uffici durante l'esperienza da ministro dell'interno, non un “disturbo” è stato recato ad assassini, stragisti e depistatori. Un “garbo” che gli ha poi aperto anche i portoni del Quirinale, fino ai fasti delle intercettazioni sulle trattative Stato-mafia. Episodio terminale di un percorso dove “la verità” viene seppellita con cura maniacale proprio da coloro che dicevano d'esserne bandiera.

Questo compromesso diabolico è alla base anche del “golpetto” costituzionale che ha portato Monti a Palazzo Chigi in nome di poteri ormai eccedenti il ristretto ambito nazionale.

Sono altri tempi, altri schieramenti, altri assetti. Ma la partita, in Italia, si gioca sempre secondo i vecchi schemi. Gli ideatori ed esecutori di una politica economica feroce - “dovete morire prima” - si atteggiano a colombe e vittime; quelli che hanno messo per strada con freddo calcolo alcune centinaia di migliaia di “esodati”, o che partecipano entusiasti a ogni guerra o guerricciola che passa per il mondo, si mettono lì seriosi ad ammonire sui “pericoli di ritorno della violenza”.

Non temono nulla, davvero. Fanno schioccare la frusta ideologica perché sanno, vedono, prevedono che la sofferenza sociale non può che aumentare. E con essa la necessità e il radicamento di un'opposizione a quelle politiche d'austerità. Meglio spaventarla subito.

Frusta preventiva, dunque. Cieca, violenta, macchinistica, ripetitiva. È bene saperlo e prenderle le misure.

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