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21/01/2013

Aldo Giannuli - Una campagna elettorale diversa: via l’Imu dalla prima casa, ma quadruplichiamola per gli stabili sfitti

Una campagna elettorale diversa.

L’Imu pare che non l’abbia voluta nessuno: Monti dice che era necessaria ma ora la abbasserebbe, Berlusconi non sapeva cosa fosse fino a quando il suo commercialista non gli ha fatto vedere il conto di quello che c’era da pagare per le sue ville sparse nel mondo; Bersani, poi, quando sente Imu ha reazioni allergopatiche. Va bene: vuol dire che ce la hanno portata i marziani, però, visto che siamo tutti d’accordo sulla sua indesiderabilità, non dovrebbe essere difficile trovare un’intesa e liberarcene. O no?! Però la cosa potrebbe creare qualche problema di cassa, visto che ormai è nel conto delle entrate e bisognerà pur sostituire in qualche modo quello che verrà meno. A guardarla bene, l’Imu non è altro che una mini-patrimoniale (e neanche tanto mini, se vogliamo) quindi può anche essere usata come elemento di riequilibrio del carico fiscale fra chi ha e chi non ha. E, dunque, è evidente che va immediatamente abolita -e senza discutere- sulla prima casa.

Credo che su questo non ci sia bisogno di stare a motivare nulla tanto è evidente l’ingiustizia sociale di un gravame fiscale sulla abitazione personale. Con qualche precisazione però: se la prima abitazione è un appartamento anche di 150 metri quadrati e persino nel centro città, di valore considerevole ma non stratosferico, si può anche transigere, ma se la prima casa è una villa a tre piani per complessivi 600 metri quadrati più parco ed è in zona di particolare pregio, magari di valore superiore al milione e mezzo di euro, un prelievo -magari moderato- ci sta bene, non vi pare?  Dunque via l’Imu dalla prima casa sino ad un valore di 600.000 euro, dopo una imposizione fiscale, anche molto bassa, non è una ingiustizia.

E la seconda casa? Magari una casa di campagna di 50 mq? E lo studio, il negozio o la bottega? Anche qui ragioniamo in termini di valore dell’oggetto: non possiamo mettere sullo stesso piano il negozietto di periferia e lo sfarzoso ed ampio negozio in via Manzoni. Ovviamente ciascuno pagherà in proporzione al valore dell’immobile, ma noi aggiungeremmo che andrebbe scaglionato anche il prelievo percentuale perché non è giusto che tizio e caio paghino tutti due una aliquota dell’1% ma il primo ha un valore di 300.000 euro e l’altro di 3 milioni.

Comunque, sin qui abbiamo tolto soldi allo Stato, ora dobbiamo rimpiazzare le perdite.

Una prima, facile, risposta è far salire il prelievo percentualmente, man mano che il patrimonio immobiliare cresce (secondo i principi, appunto, della classica tassazione patrimoniale) e quindi colpire in particolare i grandi possedimenti immobiliari. Giusto, però non esageriamo neanche qui: gli immobili, in Italia, sono già tassati al limite del sopportabile, ed il rischio è quello di rendere l’investimento anti economico. Questo probabilmente comporterebbe una contrazione degli investimenti in questa direzione: io voglio comperare un immobile, magari non per guadagnarci, ma come bene rifugio, però, se, fra manutenzione e tasse, il suo rendimento inizia ad essere negativo, magari ci penso un po’ e cerco altri sbocchi (magari l’oro o l’econom art ecc.). Se sommiamo questo ai tassi da usura che le banche chiedono per i mutui concessi, questo potrebbe determinare una caduta brusca del settore delle costruzioni, con riflessi disastrosi sull’occupazione (e non è quello che vogliamo, mi pare). In fondo, l’immobile, fra i beni rifugio è quello che ha la migliore ricaduta occupazionale.

Dunque, va bene la progressività, ma, anche qui, andiamo con mano non troppo pesante. Invece, la mano pesante, molto pesante, possiamo usarla su un altro genere di proprietà: gli immobili disabitati. Anche qui parliamo di grandi accumulazioni. Come sapete, un immobile libero si vende a prezzo migliore di uno occupato, ne deriva che le grandi società immobiliari, le banche, le società finanziarie, le assicurazioni ecc seguono un preciso indirizzo: realizzare plusvalenze acquistando e vendendo immobili vuoti. Inoltre, questa riduzione di offerta sul mercato  delle abitazioni e dei negozi ha l’effetto di far salire i prezzi di tutto, sia di quelli vuoti che di quelli utilizzati e questo ha il successivo riflesso di valorizzare l’asset di una società o banca, consentendo di aumentare l’effetto leva sugli affari successivi. E questo realizza il paradosso di immobili che rendono maggiori profitti proprio perché inutilizzati. Naturalmente, tutto questo ha la trascurabile conseguenza di fitti proibitivi e gente senza casa, ma questo non turba lor signori.

Però non sta bene a noi. Per cui, che ne dite di quintuplicare l’Imu sugli stabili sfitti? La misura, oltre che a recuperare denaro da chi lo ha, serve a rendere diseconomica la pratica dello stabile inutilizzato.

Potrebbe essere una idea per un partito di sinistra?

Fonte

Della serie, la politica del buon senso.

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