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26/12/2012

Io non ci sto

Credo che Antonio Ingroia abbia fatto un lavoro meticoloso sul fronte dell'antimafia e che in quella veste sia finito, ingiustamente, sotto gli attacchi di un establishment che si crede intoccabile. Come è già accaduto altre volte, se vuole davvero buttare a mare quello che ha costruito, nel tentativo, opinabile ma reale, di tenere viva la memoria della stagione antimafia, non ha che da svendere la sua carriera al protagonismo politico e parlamentare. Per questo non condividiamo affatto la scelta, ove questa fosse decisa venerdì, di candidarsi alla testa della lista “arancione”. Del resto, è la stessa opinione oggi espressa da interlocutori molto vicini allo stesso Ingroia, come Antonio Padellaro e Peter Gomez, direttori del Fatto quotidiano e della sua edizione online. Con argomenti largamente condivisibili.

Si potrebbe fare anche un bilancio dell'attività dei magistrati in politica per rendersi conto che è sostanzialmente fallimentare. Cosa è rimasto, dopo venti anni, di Antonio Di Pietro e cosa resterà di Luigi De Magistris? Non ha forse prodotto di più, sul piano della difesa dello stato di diritto e della legge, l'attività di un magistrato come Ilda Boccassini, quale che sia l'opinione che se ne abbia, che diversi anni di attività parlamentare di Di Pietro o dei tanti magistrati “democratici”?
I giudici, in realtà, in una democrazia fondata sulla divisione e sull'equilibrio dei poteri, dovrebbero fare i giudici e, semmai volessero dedicarsi alla politica, dovrebbero lasciare la loro carriera e ricominciare da capo. La commistione tra chi deve far rispettare le leggi e chi le deve formulare non è sana.


Nel caso specifico, poi, ci sono due altri problemi, squisitamente politici. Il primo attiene al programma. Leggendo l'appello “Io ci sto” con il quale Ingroia, assieme al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, lancia di fatto la sua candidatura – ma vedremo se davvero sarà ufficializzata venerdì 21 al cinema Capranica – propone un programma improntato alla legalità come chiave per rispondere alla crisi. In controluce si legge la considerazione che a soffocare l'economia italiana ed europea sia una serie di lacci, burocratici, illegali, corruttivi, di cui il sistema sociale ed economico deve liberarsi per tornare a respirare. Tanto che si indica un punto, il 6, molto esaustivo su questa linea: “Vogliamo che gli imprenditori – si legge - possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse”. Un orientamento liberal-democratico, legittimo quanto non condivisibile. In realtà vi si legge una curiosa contraddizione tra chi si è dedicato a contrastare, sul piano del diritto e della cultura giuridica, il pensiero berlusconiano e ora ne ripropone l'essenziale, l'idea, cioè, di un'impresa svincolata da “lacci e lacciuoli”. Che poi gli altri punti indicati mettano in risalto la laicità dello Stato, la scuola pubblica, l'ambiente o, addirittura, la democrazia nei luoghi di lavoro o il ripristino dell'articolo 18, conferma la contraddittorietà delle posizioni.

Ma c'è ancora un altro punto poco felice in questa storia, il metodo con cui si sta gestendo la formazione del “quarto polo” e la nascita di una lista “arancione”. Sabato e domenica scorsi, ne abbiamo scritto qui sul megafono, si sono svolte un centinaio di assemblee con diverse migliaia di partecipanti (circa 5-6000 a una stima approssimata). Sono state prese decisioni da riversare nell'assemblea nazionale di “Cambiare si può” del 22 dicembre al teatro Quirino. Il fatto che Ingroia si appoggi ai partiti organizzati per costruire l'evento clou del 21 dicembre, sempre a Roma (al cinema Capranica), non depone a favore di un processo democratico e includente. La democrazia è sempre un processo faticoso e ne andrebbero rispettate le logiche, i tempi e soprattutto le persone.
L'ipotesi del quarto polo e della lista arancione costituisce una buona idea proprio perchè permette di ricreare spazi comuni in cui ricostruire dialogo, discussione, confronto e magari azioni partecipate. Il cappello di un nuovo leaderismo, probabilmente decisivo per un risultato elettorale finale (comunque da dimostrare), non è il miglior viatico per far nascere un progetto destinato a durare nel tempo. L'esperienza passata dovrebbe offrire più di una lezione.


P.S. Se scrivo queste cose è perché privo di alcuna ambizione politica e, tanto meno, parlamentare. Resto convinto che, nella particolare fase politica italiana, chiunque abbia ricoperto ruoli istituzionali, sia pure marginali o in controtendenza, debba comunque fare dei passi a lato. Per quanto mi riguarda, poi, la cosa è molto più semplice sia perché ho scelto di svolgere totalmente l'attività giornalista ed editoriale sia perché convinto che, per diversi anni almeno, la rifondazione di una politica alternativa al pensiero unico si darà quasi esclusivamente nel vivo dei movimenti.

Fonte 

Anche questa lista arancione mi pare si prospetti come l'ennesima sola che finirà per marginalizzare nuovamente una fetta di società che meriterebbe ben di meglio. 

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