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16/11/2012

L’armata di Grillo

Radiografia del M5S

Questo libro di Matteo Pucciarelli pubblicato dalle edizioni Alegre è particolarmente utile, in un momento in cui risulta evidente che le demonizzazioni di  Grillo e del suo movimento hanno impedito finora di coglierne la logica e di prevederne la crescita. Servirà in primo luogo a tutti quelli che avevano sparato stupidaggini sulla cosiddetta “antipolitica”, e avevano sprezzantemente liquidato le trovate di Grillo come la traversata dello Stretto di Messina a nuoto, senza capire che servivano semplicemente ad attirare l’attenzione su un movimento che veniva sistematicamente oscurato.

A proposito del suo stile oratorio, lo stesso Grillo aveva dichiarato a Gian Antonio Stella, intervistatore ostile ma intelligente, che “in una piazza aperta, per arrivare alla gente, in fondo, devi gridare. È la mia caratteristica il finto iroso, il finto arrabbiato. Arrivo al culmine della rabbia e poi sdrammatizzo con una battuta”. E alla domanda di Stella: “Vuol dire che nei comizi recita?” Grillo risponde “Assolutamente sì. Capiamoci, la rabbia c’è, l’indignazione c’è, ma sono sempre controllate”. Sono i giornalisti stupidi che, di due ore di comizio-spettacolo, hanno sempre raccolto i 30 o 40 secondi in cui egli ricorreva al turpiloquio. (L’intervista era apparsa sul n. 22 di “Sette” del 1° giugno 2012).

Solo dopo il successo - superiore a qualsiasi previsione - della lista del M5S in Sicilia, tanto più sconvolgente perché sommato a un astensionismo massiccio che ha superato per la prima volta il 50%, molti commentatori hanno cominciato a dover fare i conti seriamente con Grillo e il suo “MoVimento”. Per loro sarà preziosa la “radiografia” del M5S tentata da Pucciarelli, anche con brevi profili dei principali protagonisti, emersi nelle elezioni degli ultimi anni in alcune regioni importanti, da Favia a Bono, alla Federica Salsi a Pizzarotti. Pucciarelli ha colto anche alcune dinamiche che possono aprire serie contraddizioni una volta che l’M5S sarà obbligato a confrontarsi con la necessità di un programma nazionale e di un meccanismo di selezione ed esclusione dei candidati, non facile in un contesto di crescita impetuosa che non ha nulla che vedere con quello che ha permesso i successi di Parma e di città ben più piccole, dove – si chiamasse Meetup o circolo -  operava di fatto un nucleo di amici affiatati, persone comuni che di politica conoscevano poco, ma erano legati da un rifiuto della “politica realmente esistente”, e da un desiderio sincero di un cambiamento. Erano affascinati dalla capacità di Grillo di parlare in modo efficace alla gente comune e dalla sua capacità di sbeffeggiare il ceto politico a tutti i livelli, a partire da quello locale, dove era facile “scoprire” e denunciare le malversazioni che in realtà tutti conoscevano, ma su cui per ragioni varie tutti tacevano.

Ma a livello nazionale, che fare? Comprensibile (e giusto, soprattutto in una prima fase) il rifiuto di alleanze, convergenze, accordi anche tattici: in fondo è la stessa tattica di Syriza, cresciuta proprio rifiutando ogni accordo con i partiti responsabili della crisi e complici dei burocrati europei che l’hanno aggravata dicendo di curarla. Ma poi, sarà possibile sottrarsi alla necessità di pronunciarsi sulle scelte politiche delle altre forze? Grillo aveva detto più volte che prima o poi avrebbe avuto il 100%, ma era ovviamente una battuta per evitare di pronunciarsi troppo presto.

Tra l’altro il libro di Pucciarelli permette di capire che la proposta di candidare Di Pietro alla presidenza della repubblica non era solo provocatoria, ma nasceva da una lunga vicinanza all’IDV: ad esempio al momento delle ultime elezioni europee, Grillo aveva indicato due candidati più o meno indipendenti presenti nelle liste dell’IDV, Sonia Alfano e Luigi De Magistris. E per anni Gianroberto Casaleggio aveva curato anche il sito-blog di Antonio Di Pietro. Probabilmente non solo come consulenza “tecnica”…

Interessante la ricostruzione delle ragioni della proposta, sconcertante e contestata da diversi eletti del M5S, di negare il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati anche se nati in Italia: una proposta lasciata poi cadere, senza ritrattarla, e che si spiega con l’attenzione alla crisi evidente della Lega Nord. Un’attenzione che ha dato i suoi frutti: il primo sindaco conquistato dal M5S è a Sarego, in provincia di Vicenza, ma anche a Verona il MoVimento ha raggiunto un ottimo 9,32%, a Monza il suo candidato ottiene il 9,52, a Belluno il 10,92, a Saonara il 18%, ecc. Del caso di Parma si è parlato molto ma va sottolineato che Pizzarotti ha potuto vincere polverizzando non solo il PdL ma anche la Lega, scesa d’altra parte in quasi tutto il nord dell’11,5% rispetto alle regionali del 2010.

Dopodichè si è registrato quello che Pucciarelli definisce un tentativo di “assalto alla diligenza”, mentre un post sul sito veneto del MoVimento ha parlato di “trombati della Lega all’assalto delle 5 stelle”. E in effetti l’ex consigliera di Vicenza Franca Equizi, cacciata nel 2005 dalla Lega, ha provato quest’anno – senza riuscirci - a riciclarsi come “grillina”.

Ma l’attacco è concentrico: si è fatto avanti perfino Willer Bordon, che per oltre venti anni ha attraversato da deputato un grande numero di partiti riuscendo ad averne finalmente uno tutto suo solo nel 2008 (“Consumatori uniti”, che raccolse lo 0,25% dei voti). Partito dal PCI (con doppia tessera al partito radicale), era stato con Mario Segni, Di Pietro, Dini ecc. Un paio di volte è stato ministro (con D’Alema e Amato). Non si sa se lo accetteranno, ma ha cominciato a intervenire sul blog di Grillo. Io lo eviterei accuratamente…

Il problema è che la selezione dei candidati attraverso il web può funzionare quando il movimento è circoscritto territorialmente e soprattutto quando è piccolo e non fa gola a nessuno, ma può essere difficile quando si tratta di coprire l’intero territorio nazionale, scegliendo candidati tra un gran numero di aspiranti in parte sconosciuti. Tanto più che il web di per sé non fa miracoli, o meglio può farli per chi sa manipolarlo bene. Christian Abbondanza della Casa della Legalità di Genova ha spiegato che “con un semplice programma di Linux è possibile creare da un solo pc ben 199 IP: vale a dire, uno da solo può farsi in casa 200 tessere, 200 teste che eventualmente possono spostare voti interni a un candidato piuttosto che a un altro”. E a chi obietta che per iscriversi occorre anche una copia di un documento di identità, gli scettici ricordano che basterebbe Photoshop per falsificare un po’ di documenti...

D’altra parte la circolazione di conoscenze ed esperienze dirette di singoli attivisti del M5S in altre città o province è stata ostacolata dal divieto di costruire organizzazioni nazionali e anche coordinamenti tra diversi territori (è per questo che Valentino Tavolazzi venne privato della possibilità di usare il logo, e messo al bando anche a Parma quando il neo sindaco Pizzarotti lo aveva proposto come direttore generale del Comune). Quindi è praticamente inevitabile che l’ultima parola sulle liste spetti al solo Grillo, insieme naturalmente all’inseparabile Casaleggio. E sui programmi? Nessuno dei due leader indiscussi ha una solidissima cultura politica. Ma il fatto che ogni giorno 14 milioni di italiani si colleghino a Facebook rappresenta un dato nuovo dai risultati imprevedibili.

Lo scrittore Wu Ming 2, in un’intervista a Giuliano Santoro, autore del libro Un Grillo qualunque ha sottolineato il significato di alcune sconfitte elettorali del M5S, ad esempio nei comuni della Val Susa, nella Vicenza del No Dal Molin, a Milano al momento della campagna di Pisapia, nella Napoli di De Magistris: evidentemente i Cinque Stelle si trovano in difficoltà di fronte a un movimento territoriale forte, e alla candidatura di outsider che non permettono di puntare sullo slogan “Grillo contro La Casta”. Giuliano Santoro ha condiviso l’analisi, precisando solo che in Val di Susa il risultato debolissimo c’era stato solo nelle elezioni comunalii, mentre alle regionali molti avevano fatto la scelta di votare Grillo invece dei partiti della fu sinistra, come “scelta tattica da parte di una parte di un movimento autonomo e autorevole e ben radicato”. D’altra parte Grillo aveva parlato per primo delle ragioni contro l’Alta Velocità, quando non ne parlava quasi nessuno fuori della valle. Localmente però i 5S non rappresentavano nulla in paragone al lungo e paziente lavoro dei sindaci e dei militanti della valle. A livello regionale invece, inutile dimenticarlo, diedero un notevole contributo alla meritata sconfitta dell’arrogante governatrice PD Mercedes Bresso.

Sintomatico che per qualche tempo dopo l’apparizione di Monti sulla scena politica, Grillo era rimasto spiazzato, perché il nuovo presidente utilizzava due o tre dei suoi argomenti preferiti. Non era “né di destra né di sinistra”, commissariava la politica, e si faceva presentare come contrapposto alla “Casta”. Per questo Grillo il 24 novembre 2011 era arrivato a scrivere al “cittadino Monti” una lettera piena di suggerimenti anche giusti, come il rispetto della volontà popolare espressa nei referendum. Ma gli chiedeva anche di tagliare le province, o i contributi all’editoria, e di riportare sotto la gestione statale le concessioni autostradali (chissà perché non l’ILVA-Italsider o le telecomunicazioni?), e di “rifarsi ai francescani”. Il consiglio più importante era però quello di “rivolgersi direttamente agli italiani”. E Grillo concludeva:

Se non può farlo, le consiglio di lasciare l’incarico. Ripetere gli stessi errori e nefandezze dei politici che l’hanno preceduta non le farebbe onore. Le chiedo un incontro per illustrarle il programma del M5S. spero in una risposta positiva.

L’apertura di credito, e le illusioni di poter influenzare quello che si è confermato rapidamente come il più feroce capo di governo dell’Italia repubblicana, sono durate poche settimane. Ma rivelano un problema reale: la modestissima cultura politica di Grillo, che non a caso aveva avuto qualche simpatia iniziale per Berlusconi (nel 1994 aveva dichiarato che lo avrebbe votato) mentre Casaleggio aveva flirtato con la Lega. Ad esempio appoggiare o proporre i tagli alle province significa non capire l’operazione governativa: i risparmi saranno insignificanti, perché sarebbe difficile eliminare del tutto le loro funzioni essenziali (edilizia scolastica e strade provinciali) anche se spostate ad altra megaprovincia o alla regione, mentre in pratica è stato eliminato il loro carattere elettivo, primo passo verso altre soluzioni autoritarie. E i contributi all’editoria non sono solo quelli truffaldini al finto Avanti di Lavitola o ai giornali di inesistenti partiti monarchici, ma anche quelli a preziosi strumenti informativi di pubblica utilità.

Poi il fatto che praticamente tutti i partiti in parlamento, pur criticandolo, hanno sostenuto Monti accettando passivamente tutti i diktat della BCE, ha determinato la svolta di Grillo e ha creato gli spazi per il boom elettorale delle amministrative di maggio, e delle elezioni siciliane di ottobre. Tuttavia la forza principale del M5S non è in quello che dice o non dice Grillo, ma in quello che fanno e dicono gli esponenti di tutti i partiti rappresentati in parlamento, che hanno ulteriormente aumentato con la loro ipocrisia sulle finte misure “anticasta” la loro forza repellente.

Una parte del libro è dedicata a ridicolizzare le solenni cantonate dei giornali “benpensanti” che hanno regolarmente pontificato sul “grillismo” senza cercare di capire come mai cresceva e si rafforzava. C’è un’antologia di titoli aberranti: “Grillo e il medioevo della ragione”, oppure “Grillo cuore di destra”, “Il mago Otelma dell’antipolitica”, hanno scritto, con effetti assolutamente controproducenti, da “l’Unità” al “Giornale”. Questo, probabilmente, renderà il libro – che non asseconda minimamente questo stile - più accettabile ai militanti che giustamente mal sopportano quel tipo di critiche preconcette. Mentre di critiche franche il M5S ha molto bisogno, ad esempio per superare i dubbi creati dal ruolo singolare di Casaleggio, che non sarà l’uomo occulto dei “poteri forti, dalla massoneria al Bilderberg, alla Golman Sachs” (è lui stesso a respingere queste insinuazioni), ma indubbiamente è un esperto in comunicazione e marketing, titolare di un’impresa nata come costola del gruppo Telecom di Tronchetti Provera e della Pirelli, e che ha avuto tra i suoi dirigenti fino al settembre 2012 Enrico Sassoon, non solo giornalista del confindustriale “il Sole 24 ore”, ma anche presidente o amministratore delegato di molte aziende, da “Leading Events” e “Global Trends”, alla “American Chamber of Commerce in Italy”, una specie di lobby che ha “lo scopo di sviluppare e favorire le relazioni economiche, culturali e politiche tra gli Stati Uniti e l’Italia, di promuovere e tutelare gli interessi dei propri associati nell’ambito dell’attività di business tra i due paesi…” Un associazione nel cui “board of directors” Sassoon siede accanto all’ambasciatore USA David Thorne, a Cesare Romiti, a Veronica Squinzi, figlia di Giorgio, presidente di Confindustria, di Giuseppe Cattaneo, senior advisor to the Chairman dell’Aspen Institute, e tanti altri personaggi dello stesso calibro. Dell’Aspen Institute (da molti complottisti considerato peggio del club Bilderberg) Sassoon è membro del comitato esecutivo, insieme a Mario Monti, Romano Prodi, Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Emma Marcegaglia e diversi altri pezzi da Novanta.

Sassoon dimettendosi dalla Casaleggio Associati, ha tenuto a sottolineare che non ha mai avuto rapporti con il M5S, “con il quale intrattiene rapporti il solo Casaleggio”, e che lascia la società “perché i suoi interessi personali e professionali sono altrove, ma anche per spezzare il filo delle speculazioni interessate”. E ha insistito nella polemica con chi parla di “poteri forti”. Ma “i legami di Sassoon sono talmente chiari e documementati – scrive Pucciarelli – che far finta di niente sarebbe stata un’omissione scorretta”. In particolare per la partecipazione al “tavolo Aspen”, attorno al quale “discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario politico, sociale  culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva”. Pucciarelli commenta: “dibattito a porte chiuse, in assoluta riservatezza. Insomma campioni della moderna democrazia”.

Riprendendo un’inchiesta di Pietro Orsatti su MicroMega Pucciarelli si domanda: “Ora Grillo parla quasi esclusivamente di politica e di politici. E dov’è finito il ‘messaggio’ della prima ora, quello della lotta contro il ‘signoraggio monetario’? Se qualcuno sulla rete dei Meetup o nei commenti sul blog di Grillo pone l’interrogativo si vedrà cancellare o non pubblicare la propria opinione […] Dopo tutto le regole della ‘moderazione’ sul web le detta chi mette in rete una determinata piattaforma o sito. Funziona così ovunque, funziona così anche sul sito di Grillo. Certi argomenti, determinate domande non compaiono…”

A parte il “signoraggio” (tematica ambigua che forse non è male che sia caduta), il problema c’è. Le nuove responsabilità impongono la definizione di un vero programma al posto dell’elenco confuso e affastellato di misure di diverso peso che c’è oggi. Ma sarà possibile solo attraverso una consultazione veramente democratica, non filtrata da un personaggio come Casaleggio, a cui nessuno rimprovererebbe il pensiero esoterico e le singolari previsioni sul futuro dell’umanità nei prossimi decenni, se non avesse nel movimento un potere così illimitato e sottratto a qualsiasi controllo. Le critiche ai suoi metodi non nascono dal confronto con un astratto modello, ma dalla preoccupazione che l’eccessiva centralizzazione possa provocare assai presto lacerazioni e crisi nel movimento, di cui, su temi solo apparentemente marginali, ci sono stati già i primi preavvisi. Se fosse così, la crescita del M5S risulterebbe effimera, e alla fine sarebbe servita solo a gettare nel panico gli esponenti della vecchia politica.


PS. Ho lasciato fuori del tutto la questione delle concezioni organizzative. Mi sembra che sia pericolosa l’assenza di una spiegazione convincente dell’involuzione dei partiti della sinistra: vedendola solo come una specie di “tara congenita”, di “peccato originale”, non si capisce che il processo non era fatale e che potrebbe quindi riprodursi anche in una nuova formazione ugualmente partita con le migliori intenzioni possibili, come era partito il movimento operaio alle sue origini, e come ha resistito per diversi decenni e in vari paesi. Ma questo è un discorso lungo e complesso, anche perché l’esorcizzazione della “forma partito” non è specifica o esclusiva del M5S, ma ha circolato in gran parte della sinistra diffusa, facilitando non poche forme di manipolazioni e di autoritarismo camuffato. Ci ritornerò quindi più direttamente.

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