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15/11/2012

Il fine del governo Monti. Come reagire (e come non reagire)

Alcuni cenni agli ultimi colpi di genio del governo Monti

Pochi giorni fa sono scesi in piazza i poliziotti in varie parti d’Italia; nello stesso giorno protestavano a Montecitorio gli avvocati e pochi giorni prima avevano manifestato gli insegnanti. Sono categorie, queste, poco inclini alle manifestazioni di piazza, ma se lo hanno fatto è per un solo e semplice motivo: la misura è colma e il paese sta per scoppiare, nel senso che stanno per scoppiare disordini di massa, scontri, caos e malessere sociale.
Parto dall’analisi di due vicende che hanno coinvolto le due categorie degli avvocati e degli insegnanti.

Per quanto riguarda gli avvocati, le novità di questi ultimi tempi sono le riduzione dei tempi della pratica legale, l’abolizione delle tariffe minime, e la tragicommedia della mediazione civile risolta – come era facile prevedere – in un bluff.
Mi soffermo in particolare su questa vicenda della mediazione, spiegandola ai non addetti ai lavori (quindi i giuristi mi perdoneranno se non uso il giuridichese e semplifico alcuni concetti).
Nel 2010 è entrata in vigore la mediazione obbligatoria per i procedimenti civili; in sostanza il legislatore ha detto: “Da adesso in poi, prima di fare una causa civile, si va prima da un mediatore che cerca di pacificare le parti, così si evita il processo e si fa tutto in tempi rapidi”.
Messa così, al cittadino ignorante poteva sembrare una buona cosa.
I problemi erano però i seguenti:
- i costi erano elevati;
- venivano affidate cause molto complesse, che richiedevano una preparazione lunga e specialistica, a soggetti del tutto privi di competenze giuridiche (geometri, ragionieri, architetti, ecc.) che diventavano mediatori (e quindi sostanzialmente assolvevano a funzioni identiche a quelle di un magistrato) con pochi giorni di un corso, al termine del quale si veniva abilitati a diventare mediatori;
- il mediatore lo sceglieva la parte; in altre parole se io decidevo di fare causa a Tizio, andavo dal mediatore che sceglievo io, ovviamente scegliendo un mediatore amico/parente/corrotto.
Fin dai primi tempi, infatti, il risultato di questo schifo di legge – che si traduceva, in sintesi, in una sorta di privatizzazione della giustizia, che veniva esercitata da persone spesso incompetenti e corrotte – era che la maggior parte delle mediazioni sono andate deserte.
All’indomani dall’uscita della legge, si sono precipitate migliaia di persone a fare corsi di mediazione, creare società di mediazione, ecc., nella maggior parte dei casi giovani avvocati senza lavoro che vedevano nella mediazione una prospettiva di lavoro in più; nessuno si è fatto venire il dubbio che tutta questa “facilità” nell’accesso a una nuova professione nascondesse qualcosa di diverso e che i conti non tornavano.
Era inevitabile l’impugnazione della legge davanti alla Corte Costituzionale, così come è stata inevitabile la bocciatura da parte della Corte. La Corte Costituzionale, con un colpo di penna, ha cancellato in un istante speranze di lavoro, reso inutili gli sforzi di chi aveva creato le società, buttato a mare i milioni di euro spesi per realizzare questo istituto.
Ora, aggiungo, è facile prevedere che la mediazione verrà riproposta in forme diverse, con la scusa che è un istituto che ha ricevuto l’avallo anche dell’UE; ed è facile prevedere che la Corte Costituzionale boccerà nuovamente anche la mediazione riformata che gli organismi appositi, d’intesa col governo, predisporranno.
Il motivo è presto detto.
La mediazione è stata creata fin dall’inizio per sfasciare in modo definitivo la giustizia civile (che comunque era già vicina al collasso) e per creare malesseri e disordini nella categoria degli avvocati. La bocciatura della Corte Costituzionale, infatti, lungi dall’essere un’operazione di giustizia, era semplicemente parte del progetto complessivo, che ancora non è terminato.

Situazione analoga per gli insegnanti.
Il governo dapprima ha varato un concorso demenziale per reclutare nuovi insegnanti (ne abbiamo parlato in questo articolo: http://paolofranceschetti.blogspot.it/2012/10/il-recente-provvedimento-della-scuola.html), dicendo che in questo modo creava nuovi posti di lavoro; ma contemporaneamente ha elevato il numero di ore di lavoro agli insegnanti di ruolo, togliendo così diversi posti di lavoro ai precari.
Mi spiego meglio.
Per decenni, da che ho memoria io, l’orario di lavoro degli insegnanti è stato sempre di 18 ore settimanali. Un numero di ore che può sembrare basso, ma a cui poi andavano aggiunte le ore per i consigli di classe, per il ricevimento, per la correzione dei compiti, per l’aggiornamento, ecc.
Improvvisamente, dopo decenni, il governo decide di elevare il numero di ore degli insegnanti a 24 ore settimanali. Il 33% di ore in più, che si traduce nella perdita secca del 33% dei posti di lavoro per gli insegnanti precari.
In sostanza il governo da una parte ha detto “ragazzi ecco che creo posti di lavoro” varando un concorso demenziale destinato ad essere bocciato dalla Corte Costituzionale; dall’altro ha tolto lavoro ai precari dimostrando in tal modo che non gliene frega nulla della creazione di nuovi posti di lavoro.
Scopo di tutta la manovra?
Far incazzare i precari, far incazzare gli insegnanti di ruolo, insomma far incazzare tutti e mettere ogni categoria l’una contro l’altra, oltre a far perdere loro una marea di tempo e soldi in ricorsi al TAR, proteste, manifestazioni, ecc.
Si osserverà che aumentando le ore ai docenti di ruolo in questo modo si fanno “tagli” e si risparmiano soldi; è semplice invece rispondere che per risparmiare era sufficiente evitare il maxi concorso demenziale che farà spendere soldi inutili senza creare alcun posto di lavoro in più, e magari si poteva tagliare qualche finanziamento ai pescatori di granchi in Kiribati, o anche – perché no? – operare un drastico ridimensionamento dei fondi dati agli apicoltori della Slovenia e ai ristoranti vegetariani in Groenlandia.

A questi provvedimenti dobbiamo aggiungere la chiusura dei piccoli tribunali di provincia (gli unici che funzionavano davvero, perlomeno per quanto riguarda i tempi e i costi); l’IMU che sottrae liquidità agli imprenditori già in crisi accelerando il fallimento in atto della maggior parte delle imprese italiane; il taglio dei fondi agli ospedali e la chiusura di molti centri di pronto soccorso; gli sgravi fiscali per chi assume lavoratori extracomunitari (con il risultato che alcune imprese licenziano i lavoratori italiani per assumere extracomunitari); i tagli alla polizia; la liberalizzazione delle licenze di commercio, colpo mortale a chi aveva speso centinaia di migliaia di euro per acquistare una licenza di pizzeria o di altre attività commerciali; ecc.

Ormai anche le persone più ignoranti e poco inclini al “complottismo” si sono accorte che gli ultimi provvedimenti del governo Monti vanno in una sola direzione: lo sfascio del paese.
La domanda è: perché? E ad essa abbiamo risposto più volte (creazione di malcontento, al fine di instaurare una dittatura e accentrare i poteri dell’UE).
Lo ha detto chiaramente Monti in un’intervista: “La crisi è una cosa positiva, l’Europa ha bisogno di crisi”. E Napolitano di recente ha detto che per reagire alla crisi è necessario “cedere ulteriori quote di sovranità all’UE”, ovvero rafforzare l’UE (una stronzata colossale, simile a quella dei medici del ’400 che curavano prevalentemente col salasso e, a fronte di malattie gravi cui non sapevano come reagire, per prudenza praticavano un “salasso”).
Quello che adesso voglio cercare di spiegare è cosa non bisogna fare, e cosa invece si potrebbe fare per reagire.


Come non reagire

La prima cosa da non fare è quella di scendere in piazza e manifestare.
Alle prime manifestazioni, fino ad oggi pacifiche, seguiranno infatti scontri di piazza, ove ovviamente lo scontro partirà da agenti dei corpi speciali infiltrati, travestiti da Black Block o da manifestanti normali, per scatenare il caos, come è avvenuto a Genova durante il G8 o l’anno scorso a Roma.
Il governo vuole che manifestiamo... e, proprio per questo, noi non dobbiamo manifestare.

L’altra cosa da non fare è spendere tempo e soldi in ricorsi inutili all’UE, alla Corte di Giustizia e ad altri organismi, per rivendicare il proprio diritto di sovranità, la proprietà del denaro, ecc. In realtà si tratta di rivendicazioni sacrosante, ma che verrebbero fatte a organi che sono strumenti docili e corrotti di quello stesso potere che si vuole combattere. Questi ricorsi (tra i quali rientra anche quello effettuato per abrogare – legittimamente – la mediazione, o quello che verrà fatto per annullare – sempre legittimamente – il concorso nella scuola) sono ampiamente programmati e previsti.

In linea di massima, tutto il sistema legale e dei tribunali è un’immensa macchina per far perdere tempo, soldi e dignità ai cittadini, facendoli sperare in una giustizia che cali comunque sempre dall’alto, ovvero una giustizia che provenga da quelle stesse fonti che hanno creato il disagio e il malessere contro cui si pretende di combattere. Rivolgersi a un tribunale per avere giustizia, cioè, è come rivolgersi a Totò Riina per avere giustizia perché la mafia ti ha ammazzato un parente.


Come reagire

Gli esempi di cose da fare sono molti, e mi sono venuti in mente in questi anni viaggiando per l’Italia o all’estero e vedendo questi fenomeni. Negli USA ho visto locali che servivano pasti gratis all’ora di chiusura, con il cibo avanzato e non venduto. In Spagna i medici hanno deciso che, nonostante i tagli, cureranno lo stesso i malati, gratis. Un imprenditore agricolo italiano, invece di licenziare i dipendenti, li ha organizzati in una specie di comunità, in cui ciascuno mette a disposizione ciò che ha e le proprie competenze (chi fa il meccanico ripara gratis tutto ciò che si rompe alle famiglie dei dipendenti, chi fa il sarto cuce i vestiti se servono, i prodotti agricoli vengono portati a casa dai dipendenti e una parte dell’azienda è stata adibita a orto e ad altri prodotti di consumo giornaliero, ecc.). In un altro caso mi è capitato un imprenditore che ha dovuto licenziare i dipendenti, ma ha provveduto, tramite amicizie e conoscenze, affinché le famiglie continuino ad avere vitto e alloggio, mettendo a disposizione un casale per coloro che non potevano permettersi l’affitto e assicurandosi che tutte le famiglie dei disoccupati, tramite gli abitanti del paese, abbiano da mangiare tutti i giorni.
Vediamo quindi quali potrebbero essere le mosse da effettuare per affrontare la crisi:

- Creazione di monete locali da parte degli amministratori dei piccoli comuni (in teoria sarebbe possibile farlo anche nei grandi comuni), sull’esempio del SIMEC di Giacinto Auriti. Mi si obbietterà che il SIMEC è un progetto che fallì perché la guardia di finanza ne impedì il proseguimento arrivando addirittura a perseguire legalmente il professor Auriti; replico che in realtà la moneta di Auriti non era illegittima, che oggi i tempi sono maturi per un’operazione del genere su larga scala ad iniziativa di sindaci e amministratori locali, e che peraltro si potrebbero operare piccoli correttivi legali per evitare l’intervento della guardia di finanza e delle autorità monetarie. Ad esempio, invece di moneta, si potrebbe chiamare buono.

- Organizzarsi a livello locale tra cittadini. Specie nei piccoli paesi, è assolutamente possibile creare piccole forme di vita comunitaria, in cui ciascuno metta a disposizione le sue competenze e le sue capacità gratuitamente, per ricevere in cambio altri beni e servizi a titolo gratuito.

- Organizzazione di piccole comunità autosufficienti, di natura prevalentemente agricola, in cui si torni a vivere e a lavorare come nelle campagne di 50 anni fa.
A titolo di esempio:
- imprenditori che abbiano a disposizione capannoni sfitti, potrebbero cederli in uso gratuito a gruppi di persone senza casa e senza lavoro;
- i ristoratori potrebbero dare il cibo gratis a fine giornata (so bene che qualcuno obietterà che le norme igieniche della USL non lo permettono; ma le norme sull’igiene alimentare servono in gran parte ad evitare proprio che il cibo in abbondanza venga dato gratuitamente a chi non lo ha e venga buttato nella spazzatura, quando in realtà ci sono diverse forme di cessione gratuita assolutamente legali, che possono essere concordate e organizzate); la stessa cosa possono fare i negozi di alimentari con i cibi prossimi alla scadenza ma ancora buoni;
- i medici potrebbero curare gratis, gli avvocati dare consulenze gratuite, fabbri falegnami idraulici ecc. potrebbero prestare una parte della loro opera a titolo gratuito;
- il governo Monti ha adito la Corte Costituzionale per far dichiarare incostituzionale una legge della Regione Calabria sui prodotti agricoli a Km 0, ovvero della regione, perché viola le regole imposte dall’UE sulla libera concorrenza? Bene, nulla però impedisce che, pur senza una legge, supermercati e commercianti possano acquistare solo prodotti regionali o che i cittadini acquistino solo prodotti a Km 0 per aiutare l’economia della loro terra. Molto più efficace, economico e rapido che impelagarsi in ricorsi e inutili manifestazioni;
- i Comuni possono impiegare per i lavori sul territorio lavoratori disoccupati (muratori, falegnami, elettricisti, informatici, ecc...) a cui, come compenso per il lavoro prestato possono non far pagare le tasse locali (IMU, rifiuti, ecc...);

- Rendersi conto che il sistema in cui viviamo ci ha abituato a far dipendere la nostra felicità dal numero e dalla qualità di beni che possediamo; capire la trappola in cui il sistema ci ha fatto cadere e abituarsi a un nuovo regime di vita, che potrebbe anche essere migliore del precedente.

Nessuna manifestazione dunque che, come sappiamo, attraverso agenti provocatori può facilmente essere trasformata in violenza, ma una forma di resistenza civile, pacifica e quotidiana. Senza la fattiva collaborazione dei cittadini nessuna manovra operata dal governo può trovare attuazione. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che è assolutamente inutile protestare e scendere in piazza. A Roma ogni giorno c’è una manifestazione senza che la popolazione ne abbia nemmeno notizia, salvo quando questa si trasforma in guerriglia, così da poter essere strumentalizzata (il motivo della manifestazione passa in secondo piano, e quello che viene messo in evidenza serve a ingenerare insicurezza e paura nella popolazione, così che possa essere più docile). Inutile continuare su una strada che, è chiaro, non ha portato alcun risultato. Nessuna rivoluzione di massa, ma solo tante piccole rivoluzioni personali, e tante piccole rivoluzioni nelle piccole comunità in cui ciascuno vive.

Una frase che in questi anni mi è rimasta in mente è questa: per chi vive in montagna o in campagna, dei prodotti quotidiani della propria terra, che al governo centrale ci sia una dittatura o una democrazia non cambia assolutamente nulla. La dittatura non può cambiare l’anima delle persone, i propri pensieri e le proprie emozioni; la dittatura può preoccupare unicamente coloro che misurano la loro felicità dalla quantità di beni che hanno.

In conclusione:
Il governo vuole che noi manifestiamo. E noi non dobbiamo manifestare.
Il governo vuole che noi ci riduciamo alla disperazione. E noi ci rimbocchiamo le maniche e scopriamo il gusto della solidarietà.
Il governo vuole affamarci. E noi mangeremo lo stesso, in modo diverso, con abitudini diverse, ma mangeremo.

Fonte

Analisi interessante che, tuttavia, penso arrivi fuori tempo massimo o troppo in anticipo.
Quanto suggerito dall'autore dell'articolo era auspicabile prima del collasso sistemico che stiamo vivendo, quando ancora c'erano il tempo e le risorse per provare a investire in una società diversa. Ora la misura è troppo colma e al repressione troppo brutale per tentare d'incanalarla con le buone verso qualcosa di diverso. Ciò non toglie che il ritorno a una socialità diffusa della vita sia l'obiettivo a cui dovrebbe tendere ogni strategia che attualmente è intenta a disarcionare chi oggi agita il bastone.

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