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23/11/2012

Gaza: una guerra voluta da Israele nel mezzo di una trattativa in corso da mesi

Quest’oggi proponiamo un’analisi di Lorenzo Adorni sulla ripresa delle ostilità nella Striscia di Gaza, cercando di inserire gli eventi cruenti degli ultimi giorni in un’analisi più ampia delle alleanze che ruotano attorno a questo conflitto.

Quando una crisi politica sconfina in un conflitto armato, prende il via il dibattito sulle responsabilità. Chi ha causato la guerra, chi “ha iniziato a sparare per primo”. Domande che frequentemente divengono retoriche prima ancora che vengano formulate. Sarebbe invece opportuno chiedersi cosa ha modificato la precedente situazione, causando il passaggio da una fase di stallo del conflitto a un’escalation militare, analizzando la situazione precedente alla crisi e cercando di comprendere cosa stesse accadendo. Il lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele era sostanzialmente inalterato da due anni. Nel 2011 sono stati lanciati dalla Striscia di Gaza verso il sud di Israele circa 700 missili causando 3 morti e 81 feriti.

Nel 2012, precedentemente allo scoppio di questa crisi, i missili lanciati si attestavano già alla medesima cifra, causando 32 feriti e i 3 morti nell’attacco di Kiryat Malachi.

Proprio in seguito a questo evento Israele ha risposto uccidendo Al Jabari, una delle figure di spicco di Hamas nella Striscia di Gaza.

Durante questi due anni, con una certa frequenza, Israele ha risposto bombardando i siti di lancio dei missili, anche uccidendo alcuni uomini di Hamas. Raramente però colpendo figure di rilievo come Al Jabari. Mantenendo fermo il diritto di Israele a difendersi, restano due domande alla quali è obbligatorio trovare una risposta, ovvero: perché uccidere proprio Al Jabari ? Perché farlo ben sapendo che il livello di scontro si sarebbe inevitabilmente innalzato ?

Pensare che sia stata una semplice risposta all’uccisione dei tre civili israeliani è errato. Allo stesso modo è fuorviante pensare che si tratti solo di una forte reazione attuata dal governo, in chiave politica, viste le elezioni anticipate del prossimo Gennaio. La situazione, in realtà, prima dell’attacco di Kiryat Malachi era già molto complessa e articolata.

Per comprendere cosa è accaduto dobbiamo fare alcuni passi indietro e tornare al primo giorno di ottobre. Nella tarda serata, alla televisione di stato siriana viene letto un comunicato dai toni infuocati. Non è rivolto contro i ribelli siriani. Nemmeno contro la Turchia o altri stati accusati di ingerenze nella guerra civile siriana. Il destinatario di quella che appare quasi come una minaccia è Khaled Meshal, leader di Hamas.

Si è appena consumata una rivoluzione silenziosa. Una di quelle che non riempiono le piazze di manifestanti, ma sono altrettanto fondamentali per le relazioni politiche in Medio Oriente. Khaled Meshal ha appena ritirato il suo appoggio alla Siria e ad Assad, annunciando la propria “simpatia” per la causa dei ribelli siriani sunniti. Il leader di Hamas, che da anni era protetto da Damasco e Teheran, da alcuni mesi si è impegnato diplomaticamente per realizzare l’ennesimo cambiamento di alleanze, conseguendo un riallineamento di Hamas con gli stati sunniti del Golfo. Nel comunicato letto alla televisione siriana si ricorda a Meshal quando nessuno stato arabo era disposto ad accoglierlo. All’epoca dei fatti Israele contattò, fra gli altri, i governi di Egitto, Turchia e Qatar, esponendo il proprio disappunto per l’eventualità che i vertici di Hamas venissero ospitati nei rispettivi territori. Meshal, non potendo rientrare nemmeno in Giordania, accettò l’ospitalità siriana. Ora il lettore del comunicato televisivo, con toni forti, si rivolge a Meshal sostenendo apertamente che: “ Se ora puoi tornare [negli stati arabi sunniti] è perché non sei più una minaccia per Israele”. Il leader di Hamas viene quindi accusato di “ Aver venduto la resistenza in cambio di potere ”.

Siamo giunti al culmine di una lunga serie di cambiamenti politici attuati da Khaled Meshal. Nel mese di Gennaio il leader di Hamas ha dichiarato di rinunciare a future ricandidature alla guida del movimento. Una semplice mossa politica, per essere sottoposto a minori pressioni con gli interlocutori durante le trattative che lo attendevano non appena avesse abbandonato Damasco. Evento che con estrema puntualità avviene immediatamente dopo questo annuncio. Meshal si reca prima in Giordania, ove non era persona gradita fino a pochi mesi prima, per concludere degli accordi. Poi annuncia una rinnovata intenzione da parte di Hamas di riconciliarsi con al Fatah e il governo di Abu Mazen. Successivamente Meshal compare al congresso del partito del leader turco Erdogan, dove sale anche sul palco come oratore. Quindi si trasferisce al Cairo per dei colloqui con il presidente Morsi e l’intelligence egiziana. Si reca a Doha in Qatar e quindi di nuovo al Cairo. Un dinamismo eccezionale per chi fino a pochi mesi prima era obbligato ad un forzoso soggiorno damasceno.

Hamas e il suo leader hanno definitivamente abbandonato Assad e l’alleanza con la Siria. I vertici della teocrazia iraniana, anch’essi da anni alleati strategici di Hamas, più pragmaticamente dei siriani, restano ancora ad osservare la situazione in evoluzione.

Hamas da un lato ha rinnovato le relazioni diplomatiche con gli stati arabi sunniti, avviando una nuova fase fondamentale della propria politica estera, dall’altro lato congiuntamente, ha trattato anche con Israele, oltre che con al Fatah nella West Bank. L’intento è stato quello di giungere ad una tregua stabile con Tel Aviv. Una tregua che comporti da un lato la riduzione del lancio di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele e dall’altro la fine del blocco attuato da Israele nei confronti della stessa Striscia di Gaza. Una tregua, non una pace vera e propria.

Poi è accaduto un fatto eccezionale. Prima che la tregua con Israele si concretizzasse, viene annunciata la visita dello sceicco del Qatar a Gaza.

Gli eventi del 23 Ottobre 2012 sono di significativa importanza.

Nelle prime ore del mattino, lungo il confine con la Striscia di Gaza, alcuni soldati israeliani restano feriti dallo scoppio di un ordigno. L’attentato viene apertamente rivendicato dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Una storica formazione di sinistra, però non più frequentemente attiva nella lotta armata e nella realizzazione di attacchi contro Israele. La realtà è che il F.P.L.P. non vuole venir messo definitivamente in disparte, non vuole che si consumi l’accordo fra Hamas e il Qatar senza poter aver voce in capitolo. Nonostante la risposta militare di israeliana avvenga puntualmente, alle ore undici lo sceicco del Qatar al-Thani varca il valico di Rafah, entrando a Gaza. Con lui c’è il leader di Hamas Isma’il Haniyeh. Lo sceicco del Qatar ha già offerto supporto ai leader in esilio di Hamas e ora garantisce anche un finanziamento da 400 milioni di dollari. Il cambio di alleanze in Medio Oriente è definitivamente sancito. Non solo i rapporti fra Hamas e Damasco sono definitivamente compromessi, ma anche Teheran guarda ora con estrema diffidenza a questa visita.

In Israele sia gli uomini di governo che i vertici dell’intelligence erano a conoscenza dell’arrivo dello sceicco a Gaza. Nonostante ciò nessuno ha gradito questo passo in avanti di Hamas, con le trattative per una tregua ancora in corso.

A poche ore di distanza dalla visita dello sceicco al-Thani, in una base della IAF (Israel Air Force) nel deserto del Negev, si stanno per alzare in volo alcuni cacciabombardieri F-15. Sono già decollati un aereo cisterna per effettuare rifornimenti, un aereo per il supporto logistico, e alcuni elicotteri con delle squadre speciali a bordo. Alcune ore dopo nella località sudanese di Yarmouk, un complesso industriale verrà gravemente danneggiato da un bombardamento.

Due giorni dopo fra le macerie di Yarmouk si aggirano volti noti: i generali iraniani Shah-Safi, Amir Ali Hajizadeh e Nasirzadeh. Questo complesso industriale era stato ampliato proprio grazie all’aiuto di Teheran e dei Pasdaran iraniani. Qui venivano prodotti munizioni e missili per Hamas. Esattamente gli stessi che vengono lanciati da Gaza su Israele in queste ore.

L’esercito di Tel Aviv aveva già avuto l’occasione di distruggere questo complesso industriale. Diverse volte nel corso degli ultimi anni. Nel 2009 e nel 2011 quando, in più occasioni distinte nello stesso Sudan, l’aviazione israeliana bombardò una colonna di automezzi addetti al trasporto di armi e missili per Hamas. Fin da allora vennero alla luce i luoghi in cui queste armi venivano prodotte. Israele, invece, ha scelto di distruggerlo ora, inviando un chiaro messaggio ad Hamas, a trattative per un cessate il fuoco in corso.

Stranamente Hamas non ha risposto troppo violentemente a questo attacco. Lo stesso può dirsi per Teheran. Le trattative con lo stato di Israele, per giungere ad una tregua, continuano. Fino al 14 Novembre 2012. Al Jabari ha appena avuto un importante incontro nella Striscia di Gaza. Gli è stata sottoposta la bozza definitiva di un accordo per una tregua con Israele. Sa che Hamas è ad un importante punto di svolta politico. Nella bozza di accordo si prevede che Israele fornisca ad Hamas informazioni di intelligence utili a fermare il lancio di missili. Indirettamente. Infatti queste informazioni verranno inviate da Tel Aviv all’intelligence egiziana e da queste girate ai leader di Hamas nella Striscia di Gaza.

Ma l’autovettura di Al Jabari viene colpita da un missile lanciato da un drone israeliano, l’uomo della trattativa è stato ucciso prima che potesse compiere ulteriori fondamentali passi decisivi.

L’operazione militare è stata condotta dallo Shin Bet israeliano. La scelta politica di eliminare Al Jabari ha ricevuto il via libera da due persone: Benjamin Netanyahu, Primo Ministro, e Ehud Barak, Ministro della Difesa.

Accade a questo punto un evento strano. Solitamente governo e stampa realizzano un fronte comune quando si tratta di difendere Israele dalle minacce esterne. Differentemente in questo caso, da parte israeliana si levano voci contrarie all’operazione che ha portato all’uccisione di questo esponente di Hamas. Sulle colonne di Haaretz alcuni giornalisti parlano di Al Jabari come uomo con cui era possibile dialogare. C’è chi giunge a scrivere “quello era il nostro uomo nella Striscia”, “abbiamo ucciso il nostro contatto per negoziare una tregua”. Al Jabari era noto alla stampa israeliana. In precedenza aveva già negoziato con Israele la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano detenuto per anni da Hamas. Anche dalle collone del “New York Times” giungono le medesime critiche, sostenendo che a trattative così avanzate si è commesso un “irresponsabile errore strategico”. La crisi degenera quindi in un conflitto aperto. Hamas intensifica il lancio di missili, Tel Aviv i bombardamenti nella Striscia di Gaza, minacciando l’invasione militare di terra.

In queste ore al Cairo le trattative sono in corso, per raggiungere una tregua sostenibile nel tempo. A fianco dell’intelligence egiziana siedono i vertici di Hamas, con Khaled Meshal impegnato in prima persona. Ora, accanto a lui, sono presenti anche i vertici del movimento per il Jihad Islamico in Palestina. I due gruppi sembrano aver raggiunto un accordo fra loro, almeno in questa situazione.

Nei prossimi giorni si giungerà certamente ad una tregua. A quel punto, riguardando a questa guerra, inserendola nel contesto degli eventi che l’hanno preceduta, e che la seguiranno, ci apparirà chiaro come questa stessa guerra non sia stata nient’altro che una fase, folle, della stessa trattativa iniziata nei mesi scorsi.

Lorenzo Adorni
20/11/ 2012

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