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04/10/2012

Perché il Qatar vuole invadere la Siria

di Pepe Escobar
Asia Times Online

Non c’è dubbio, all’Emiro del Qatar sta andando tutto bene.

Che entrata in scena all’Assemblea Generale dell’ONU a New York! Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani ha invocato un’invasione della Siria da parte di una coalizione araba sullo stile dei “volenterosi”, addirittura.

Secondo l’Emiro “è meglio che siano gli stessi Paesi arabi a intervenire per i loro doveri nazionali, umanitari, politici e militari, e che facciano quanto necessario per arrestare lo spargimento di sangue in Siria”. Ha sottolineato che i Paesi arabi hanno il “dovere militare” di invadere.

Quello che intende con “Paesi arabi” sono le petro-monarchie del Club Controrivoluzionario del Golfo (CCG), conosciuto in precedenza come Consiglio di Cooperazione del Golfo, con l’aiuto implicito della Turchia, con la quale il CCG ha un ampio accordo strategico. Ogni casa di shisha in Medio Oriente sa che Doha, Riyad e Ankara stanno armando, finanziando, fornendo aiuto logistico a diverse tendenze dell’opposizione armata siriana implicata nel cambio di regime.

L’emiro ha anche citato un “precedente simile” per un’invasione, quando “forze arabe sono intervenute in Libano” negli anni settanta. A proposito, durante gran parte degli anni settanta lo stesso emiro era coinvolto in interventi più mondani, come frequentare con i capelli al vento insieme ad altri membri delle famiglie reali del Golfo esclusive destinazioni del Club Med.

Quindi l’emiro predica ora una versione araba della R2P (“responsabilità di proteggere”), dottrina proposta dalle Tre Grazie dell’Intervento Umanitario (Hillary Clinton, Susan Rice e Samantha Power)?

Certamente sarà ben accolta a Washington, per non parlare di Ankara e anche Parigi, considerato che il presidente francese François Hollande ha appena chiesto la protezione dell’ONU per le “zone liberate” in Siria.

Quanto al precedente libanese dell’emiro, non è proprio edificante, per non dire di peggio. La cosiddetta Forza Araba di Dissuasione di 20.000 soldati che entrò in Libano per cercare di contenere la guerra civile ci rimase più di sette anni e si trasformò in un’occupazione militare siriana del nord del Libano; se ne andò ufficialmente nel 1982 e la guerra civile proseguì senza freni.

Immaginate uno scenario simile, ma gonfiato con gli steroidi, in Siria.

“Un soggetto molto influente”

Quanto all’ardore umanitario -per non dire democratico- dell’emiro, è istruttivo leggere ciò che pensa in proposito il presidente USA Barack Obama che definisce l’emiro un “soggetto molto influente”. Obama sembra ritenere che nonostante “non faccia riforme significative” e che “non ci sia una grande azione verso una democrazia in Qatar”, solo perché il reddito procapite nell’emirato è enorme un’azione verso la democrazia non è così urgente.

Se ne deduce pertanto che l’emiro non è esattamente interessato a trasformare la Siria nella Scandinavia. E questo ci porta a un tema inevitabile, legato alla questione Gasdottistan.

Vijay Prashad, autore del recente Arab Spring, Libya Winter, [Primavera araba, inverno libico, ndt] tiene attualmente una rubrica sul Gruppo di Contatto per la Siria su Asia Times Online. Ha ricevuto una chiamata telefonica di un esperto in energia che lo ha stimolato ad approfondire “l’ambizione qatariota di portare i suoi gasdotti verso l’Europa”. Secondo questa fonte: “il percorso proposto avrebbe attraversato l’Iraq e la Turchia. Il primo Paese di transito pone un problema. È molto più facile passare da nord (il Qatar ha già promesso gas gratuito alla Giordania).”

Anche prima che Prashad concludesse la sua indagine, era ovvio a cosa puntava il Qatar: sabotare il gasdotto da 10 miliardi di dollari Iran-Iraq-Siria, un accordo firmato anche se la rivolta siriana covava già sotto la cenere.

Qui vediamo il Qatar in concorrenza sia con l’Iran (come produttore) che con la Siria (come destinazione), e in misura minore con l’Iraq (come Paese di transito). È utile ricordare che Teheran e Baghdad si oppongono energicamente al cambio di regime a Damasco.

Il gas verrebbe dalla stessa base geografica/geologica: il Pars meridionale, il maggior giacimento di gas del mondo, condiviso tra Iran e Qatar. Il gasdotto Iran-Iraq-Siria -se arrivasse ad essere costruito- solidificherebbe un asse prevalentemente sciita mediante un cordone ombelicale economico, di acciaio.

Il Qatar, da parte sua, preferirebbe costruire il suo gasdotto in modo diverso dalla “mezzaluna sciita”, con la Giordania come destinazione; le esportazioni passerebbero dal Golfo di Aqaba al Golfo di Suez e poi al Mediterraneo. Sarebbe il piano B ideale mentre le trattative con Baghdad si fanno sempre più complicate (a parte il fatto che il percorso attraverso Iraq e Turchia è molto più lunga).

Washington - e presumibilmente clienti europei- sarebbero più che contenti di una giocata decisiva del Gasdottistan che tagli fuori il Gasdotto Islamico.

E, di conseguenza, se ci sarà cambio di regime in Siria -favorito dall’invasione proposta dal Qatar- le cose saranno molto più facili in termini di Gasdottistan. Un più che probabile regime post-Assad della Fratellanza Musulmana (FM) vedrebbe con soddisfazione un gasdotto qatariota. E questo faciliterebbe un prolungamento in Turchia.

Ankara e Washington ci guadagnerebbero. Ankara, perché l’obiettivo strategico della Turchia è quello di trasformarsi nel  principale crocevia energetico dal Medio Oriente/Asia Centrale all’Europa (e il Gasdotto Islamico la bypassa). Washington perché tutta la sua strategia energetica nel Sudest dell’Asia fino dall’amministrazione Clinton è stata quella di bypassare, isolare e danneggiare l’Iran con tutti i mezzi necessari.

Questo traballante trono hashemita

Tutto questo fa sì che la Giordania rappresenti una pedina essenziale nell’audace manovra geopolitica/energetica del Qatar. La Giordania è stata invitata a far parte del CCG –anche se non si trova esattamente nel Golfo Persico (a chi importa? È una monarchia).

Uno dei pilastri della politica estera del Qatar è il suo illimitato appoggio alla FM -non importa la latitudine-. La FM ha già conquistato la presidenza in Egitto. È forte in Libia. Può trasformarsi nella forza dominante se ci sarà un cambiamento di regime in Siria. E questo ci porta all’aiuto del Qatar alla FM in Giordania.

Per il momento, la monarchia hashemita della Giordania traballa -ed è un notevole eufemismo-.

C’è un continuo arrivo di rifugiati siriani che si aggiungono ai rifugiati palestinesi arrivati a ondate nelle fasi cruciali della guerra arabo-israeliana, nel 1948, 1967 e 1973. Poi c’è da aggiungere un solido contingente di salafiti-jihadisti che combattono a Damasco. Appena pochi giorni fa è stato arrestato un certo Abu Usseid. Suo zio altri non era che Abu Mussab al-Zarqawi, l’infame capo di Al Qaeda in Iraq, morto nel 2006. Usseid stava per passare dalla Giordania alla Siria attraversando il deserto.

Amman è stata teatro di proteste fin dal gennaio 2011 -anche prima della propagazione della Primavera Araba-. Il re Abdullah, noto anche come il Re Playstation, e la sua fotogenica regina Rania, adorata da Washington/Hollywood, non ne sono stati risparmiati.

La FM in Giordania non è l’unico protagonista dell’ondata di protesta; anche sindacati e movimenti sociali sono attivi. La maggioranza dei manifestanti sono giordani –che storicamente hanno tenuto il controllo di tutti i livelli della burocrazia statale. Ma poi il neoliberismo li ha ridotti a vittime della strada; la Giordania ha vissuto un’ondata selvaggia di liberalizzazioni durante gli anni ‘90. L’impoverito regno dipende ora dal FMI e da donazioni addizionali degli USA, del CCG, e anche della UE.

Il parlamento è una farsa -dominato dalle appartenenze tribali e dalla devozione alla monarchia-. Di riforme non ce ne sono neanche di facciata. Un primo ministro è stato sostituito ad aprile e la maggioranza della gente non se n’è neppure accorta. In una situazione classica del mondo arabo, il regime combatte le domande di cambiamento mediante un aumento della repressione.

In questo scenario compare il Qatar. Doha vuole che Re Playstation accetti Hamas. Il Qatar è stato quello che ha promosso la riunione a gennaio tra il re e il leader di Hamas Khaled Meshaal, che era stato espulso dalla Giordania nel 1999. Questo ha fatto sì che i giordani indigeni si chiedessero se il regno sarebbe stato inondato un’altra ondata di rifugiati palestinesi.

I media arabi -controllati in maggioranza dalla Casa di Saud- si sono riempiti di storie ed editoriali predicendo che dopo l’ascesa al potere della FM a Damasco toccherà ad Amman. Il Qatar, tuttavia, sta aspettando il momento opportuno. La FM vuole che la Giordania diventi una monarchia costituzionale; quindi si impegnerà politicamente dopo una riforma elettorale contro la quale il re Abdullah si è battuto per anni.

Ora la FM può contare anche sull’appoggio di tribù beduine, la cui tradizionale lealtà al trono hashemita non è mai stata così instabile. Il regime se n’è disinteressato a suo rischio e pericolo. La FM ha convocato una manifestazione di massa contro il re per il 10 ottobre. Il trono hashemita cadrà, prima o poi.

Non è chiaro come reagirà Obama -a parte pregare perché niente di sostanziale accada prima del 6 novembre-. Quanto all’emiro del Qatar, ha tutto il tempo del mondo. Per quanti regimi cadranno e diventeranno Fratelli Musulmani, altrettanti gasdotti da costruire.

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