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15/10/2012

L'opportunismo di Mitt Romney

Mitt Romney è pro o contro l’aborto? E’ nemico o amico della Cina? Dipende. Su due dei temi più caldi della campagna elettorale, lo sfidante di Barack Obama ha collezionato una spettacolare serie di giravolte e bugie, in un pauroso crescendo di opportunismo politico e conflitti d’interessi. Ripercorrendo i suoi 20 anni di carriera politica, si scopre che sull’interruzione di gravidanza ha cambiato idea almeno dieci volte. L’ultima mercoledì quando, dopo gli ultimi cinque trascorsi a professarsi pro-life, ha assicurato al Des Moines Register di “non voler modificare” la legge che negli Usa garantisce la libertà di scelta. I suoi avversari lo tacciano di malafede e abitudine alla menzogna. Come nel caso dei suoi rapporti con la Cina: Romney ha più volte accusato Pechino “di rubare posti di lavoro agli Usa”. Però investe i suoi soldi in aziende cinesi.

Momento politico, luogo, interlocutore. Sono le tre variabili in base alle quali Romney ha cambiato negli anni sponda ideologica sull’aborto. Il magazine Slate ha ricostruito le giravolte principali. Anno 1982: Romney è un giovane vescovo mormone di Belmont, Massachusetts, e vicepresidente di Bain Capital. Un giorno fa visita in ospedale a Sandy Catalano, fedele con una gravidanza a rischio decisa ad abortire: “Mi aspettavo un rimprovero – raccontò la donna al Los Angeles Times – invece mi ha capita e confortata”. Nel 1983 ha già cambiato idea. Altra visita in ospedale: Carrel Hilton Sheldon, madre di 5 figli, ancora incinta, vuole interrompere la gravidanza. “Come tuo vescovo – le dice Romney, scrive Ron Scott nella biografia Mitt Romney: An Inside Look at the Man and His Politics – sono preoccupato per la creatura che hai in grembo e che si batte per vivere su questa Terra”. Passano 10 anni. Nel 1993 Romney si candida al Senato e abbraccia la libertà di scelta. Solo per un motivo: Dick Wirthlin, il suo sondaggista di fiducia, lo avverte che se si fosse schierato contro l’aborto in Massachusetts nella sfida con Ted Kennedy non avrebbe avuto alcuna chance. Mitt è convinto, a ottobre vola a Salt Lake City per incontrare i leader della sua chiesa e convincere anche loro: “Per principio sono contrario – li arringa – ma se mi volete vedere in Senato, dobbiamo schierarci per la scelta”.

Un anno dopo, il 12 giugno ’94, ad una raccolta fondi per Planned Parenthood, associazione pro choice, dona pubblicamente 150 dollari, salvo poi alzare le mani e rinnegare l’assegno nel 2007: “Fu mia moglie Ann a firmarlo, non io”. Tra il 1999 e il 2001, Romney è il Ceo dei Giochi Olimpici invernali di Salt Lake City. Se nella sua Boston l’opinione pubblica era a favore dell’aborto, nello Utah la maggioranza schiacciante della popolazione è contraria. Così Mitt cambia idea: “L’aborto è la scelta sbagliata”, sentenzia al quotidiano Salt Lake Tribune il 14 febbraio 1999. Il trampolino olimpico funziona, nel 2002 Mitt è in pista per un posto al Congresso. Altro giro, altra corsa: si torna in Massachusetts e Romney è di nuovo un pro-choice. Si professa tale in ogni dove, tv, radio, comizi. “Io proteggerò il diritto alla scelta – scrive al gruppo di pressione Naral Pro-Choice America – le donne dovrebbero poter decidere in base alle loro convinzioni, non a quelle del governo”. Ma il 9 novembre 2004 Romney si risveglia anti-abortista. In pieno dibattito sulle staminali. “Un giorno il rettore e il capo dei ricercatori di Harvard sono entrati nel mio ufficio – racconta a Redstate nel settembre 2006 – e mi hanno spiegato che lo studio delle staminali è immorale perché vengono sacrificati embrioni di 14 giorni. Da allora mi considero un pro-life”.

Da lì in poi la sua posizione si stabilizza, a parte un paio di tentennamenti nel 2007 e nel 2011. Fino a mercoledì scorso in Iowa: “Non c’è un progetto legislativo sull’aborto nella mia agenda”, ha giurato al comitato editoriale del Des Moines Register. Parola di Romney. Un opportunismo evidente anche in ciò che il candidato repubblicano dice della Cina e ciò che fa nella realtà. In campagna elettorale taccia Obama di debolezza e accusa Pechino di pratiche commerciali scorrette: “Favorisce le sue esportazioni tenendo basso il valore dello yuan”. Non solo: “Come ha fatto Pechino a portarci via molti posti di lavoro? – ha chiesto di recente -. Con l’inganno, ecco come”. Eppure, scrive il New York Times, nel 2010 il governatore del Massachusetts ha pensato bene di investire attraverso la chiacchieratissima Bain Capital 2,25 milioni di dollari in almeno 8 aziende cinesi: tra queste la Asimco Technologies, compagnia che realizza componenti per auto e che nel 2007 ha abbandonato il Michigan per andare a produrre in Cina. Lasciando 500 americani senza lavoro.

Fonte

Leader davvero di statura quelli che si contendo no lo scranno dell'unica superpotenza (solo miliare) rimasta sul pianeta.

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