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07/10/2012

ILVA: tra l'ultimatum della Procura tarantina e il disegno di legge salva Riva

Taranto, ultimatum della procura all’Ilva: “Cinque giorni per avviare lo spegnimento”

L’Ilva ha cinque giorni per avviare lo spegnimento degli impianti inquinanti, non c’è più tempo. La procura di Taranto nel nuovo documento notificato ai custodi e al presidente del cda Ilva, Bruno Ferrante, non usa mezzi termini. I magistrati hanno invitato “il custode amministratore Bruno Ferrante ad individuare e ad adibire con la massima urgenza possibile e, comunque, entro cinque giorni dalla comunicazione della presente direttiva, le maestranze necessarie, destinandole alle effettuazioni delle operazioni di cui sopra con relativi oneri finanziari, in piena collaborazione con gli altri custodi e sulla base delle loro direttive operative”.

Le direttive a cui il pool di magistrati guidato da Franco Sebastio fa riferimento, prevedono lo spegnimento degli altiforni 1 e 5, la dismissione e la bonifica dell’altoforno 3, il fermo di 7 batterie del reparto Cokeria, e numerosi interventi nel reparto acciaieria. Misure dettate dai custodi tecnici con le disposizioni di servizio del 17 e 20 settembre, ma che sembrano essere cadute nel vuoto. Il provvedimento, infatti, è la risposta decisa dei pubblici ministeri alla denuncia di qualche giorno fa formulata dai custodi tecnici. “L’Ilva non collabora” aveva spiegato Barbara Valenzano al procuratore Sebastio, all’aggiunto Pietro Argentino e ai sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile. La reazione della procura, non si è fatta attendere.

L’azienda ora dovrà fare sul serio: collaborare concretamente e non solo a parole. “In caso di inottemperanza a tale ultima disposizione – scrivono ancora i magistrati – i custodi amministratori Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento si avvarranno della facoltà di nomina di ausiliari già loro concessa procedendo senza ulteriori indugi e osservando comunque tutte le cautele del caso, segnalando eventuali rifiuti, omissioni o abusi a questa Procura per tutte le possibili valutazioni del caso, anche di tipo penale”.

Insomma un vero e proprio ultimatum: o l’Ilva spegne gli impianti o sarà una ditta esterna a farlo e i vertici aziendali dovranno rendere conto in tribunale di “rifiuti, omissioni o abusi”. Dal prossimo 11 ottobre quindi, con o senza la collaborazione dell’azienda, i custodi tecnici nominati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco potranno “attuare le misure idonee ad eliminare le emissioni inquinanti intervenendo sugli impianti destinatari di tali misure, ferma restando la possibilità di adottare le eventuali cautele necessarie, ove tecnicamente sussistenti, per evitare danni gravi agli impianti medesimi, in vista di una loro successiva riutilizzazione, se possibile”. Insomma gli impianti vanno spenti per essere risanati e riutilizzati in futuro. Sempre che l’azienda sia disposta realmente a investire le somme, ingenti e necessarie, per rendere lo stabilimento siderurgigco di Taranto ecocompatibile.

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Ecco il decreto “Salva Ilva”, bozza pronta per il prossimo Consiglio dei ministri

Il provvedimento è entrato l’altro ieri in Consiglio dei ministri, ma è stato rinviato alla prossima seduta. La bozza però è già scritta e prevede un pacchetto di semplificazioni normative che fanno discutere gli ambientalisti. In particolare i due articoli dedicati alla bonifica ambientale, ribattezzati articoli “salva Ilva”. Alla lettura del testo, che Il Fatto ha potuto consultare e che non è ancora ufficiale, appare chiaro, in effetti, che l’impatto delle nuove norme, se approvate, sarebbe quello di garantire l’attività produttiva allo stabilimento di Taranto, nonostante quanto stabilito dal Gip e la sostenibilità economica degli interventi di bonifica. Gli articoli “incriminati” sono due, il 21 e il 22. Con l’articolo 21 si tratta la “Gestione delle acque sotterranee emunte” cioè la messa in sicurezza della falda acquifera.

A essere oggetto di “semplificazione” è il decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto Codice dell’Ambiente, di cui verrebbe sostituito l’articolo 243. “Nei casi in cui – si legge – le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile (corsivo nostro, ndr) devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche”. L’intervento, insomma, è stabilito “ove possibile ed economicamente sostenibile” senza precisare nemmeno a chi spetti la valutazione circa la possibilità e l’economicità di tali misure. “Sarebbe una vergogna perché fa cadere il principio europeo secondo cui chi inquina paga” commenta al Fatto, il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.

Va inoltre aggiunto che “gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate” – cioè gli unici realmente efficaci, secondo gli ambientalisti – sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Una diminuzione dell’efficacia, quindi, sancita per legge. All’articolo 22, invece, si passa a una norma che sembra scritta apposta per risolvere il contenzioso che si è aperto a Taranto in questi mesi. Sotto il titolo di “procedura semplificata per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza”, si legge che “Nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria, nonché quelli richiesti dalla necessità di adeguamento a norme di sicurezza, e più in generale tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili all’operatività degli impianti produttivi ed allo sviluppo della produzione”. Nessuno stop agli impianti, dunque, come l’Ilva chiede da mesi in relazione alle disposizione del Gip ma anche della Procura tarantina. “Si tratta di un gran favore economico fatto agli inquinatori d’Italia, non solo a Taranto” commenta ancora Bonellli. “Se non saranno economicamente sostenibili gli interventi non saranno fatti”.

Altre misure di alleggerimento vengono previste anche per quanto riguarda il permesso di costruire in caso di vincoli, per cui scatta il silenzio-assenso, ma anche per le norme che regolano la Valutazione di impatto ambientale (Via) per la quale scompare l’obbligo di pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale e nel Bur regionale. Basterà la pubblicazione sul sito web dell’Autorità competente.

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Il capitale italiano è a un passo da un nuovo clamoroso successo.
Dopo lo scardinamento del contratto collettivo nazionale ad opera dell'ariete Marchionne, e l'indebolimento quasi totale dell'Art.18, mancava giusto la demolizione della tutela ambientale, che per altro in Italia s'è vista solo su carta.
Chissà se Vendola tra un volo pindarico e l'altro sulle primarie del PD, trova anche il tempo di riflettere sullo scempio del proprio territorio di cui s'è reso complice.

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