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18/10/2012

Il costo della politica e i privilegi della casta NON sono il problema dell’Italia

Suppongo che vi sarete già accorti che in queste ultime settimane l’attenzione mediatica e giudiziaria è tutta puntata sulla famelica casta della politica italiana, che nonostante il clima ostile nei suoi confronti continua sfacciatamente le ruberie, infilandosi in uno scandalo dopo l’altro. Le regioni, dalla Sicilia al Lazio, alla Lombardia, per adesso sono nel mirino della Magistratura e della Guardia di Finanza, ma non è escluso che fra qualche giorno si passerà alle province, ai comuni, alle aree metropolitane, fino a rientrare di nuovo nel parlamento per scovare altri Lusi, BelsitoScilipoti, Razzi. Lavoro da fare ce n’è tanto, perché non ci vuole molto a capire che il migliore della nostra attuale classe politica e dirigente ha la rogna. Basta guardarli in faccia e sentirli parlare per capire quale sia il loro spessore politico, etico o culturale e gli studi di Lombroso e Freud potrebbero aiutare non poco in questa analisi psico-fisiognomica. Ma lasciarsi trascinare dal clima di caccia alle streghe e credere che tutti i problemi dell’Italia derivino soltanto dai soldi pubblici sottratti dai politici alle casse dello stato è un errore di leggerezza e superficialità colossale, che serve a sviare l’attenzione degli italiani dalle faccende realmente importanti e cruciali per il destino del nostro paese.

Per carità, un po’ di pulizia ci voleva e ci vuole sempre sia in tempo di crisi che di abbondanza, perché dei vari Fiorito, Zambetti, Lombardo, Maruccio non sentiremo mai la mancanza ed è giusto che paghino per le loro colpe, ma le questioni in ballo in questo momento per l’Italia non sono nell’ordine dei milioni di euro rubati a destra e a manca dai faccendieri d’accatto infiltrati nella politica, ma dei miliardi di euro, che giorno dopo giorno vengono sottratti alla gestione ordinaria della spesa pubblica e convogliati sotto silenzio verso altre destinazioni, i cui maggiori beneficiari sono quasi sempre le grandi lobbies finanziarie europee e internazionali. La sproporzione informativa fra i fiumi di parole spesi per denunciare i crimini indegni ma contabilmente irrilevanti dei vari politicanti corrotti e il silenzio che regna intorno alle grandi manovre finanziarie di proporzioni ciclopiche, dal salvataggio pubblico di Banca Monte Paschi di Siena alla chiusura dei contratti derivati con Morgan Stanley, dalle quote di partecipazione al Meccanismo Europeo di Stabilità al Fiscal Compact, è la prova più convincente del fatto che in Italia ormai si è instaurato un possente regime totalitario autoreferenziale, che vive e prospera sul legame stretto fra i centri privati di potere nazionali e internazionali e gli organi di informazione asserviti. Snoccioliamo subito alcuni numeri per capire di quali dimensioni stiamo parlando.

Nei primi sette mesi del 2012 il debito pubblico italiano è aumentato di quasi €70 miliardi, di cui oltre €27 miliardi sono riferiti alle sole quote di partecipazione versate prima al fondo salvastati EFSF (European Financial Stability Facility) e poi al Meccanismo Europeo di Stabilità MES: quindi quasi il 40% dell’aumento complessivo del debito pubblico è dovuto ad uscite che non c’entrano nulla con la spesa pubblica, gli sprechi, la corruzione (vedi tabella sotto, con le varie scadenze di pagamento). Altri €6 miliardi circa sono causati dal solito meccanismo di aumento della quota d'interessi da pagare, perché mediamente il rimborso e rinnovo dei titoli pubblici in scadenza avviene con l’emissione di nuovi titoli pubblici che hanno un rendimento più alto: quindi questa somma in buona sostanza evapora per il solo scarto di interesse fra nuovi e vecchi titoli (quello che comunemente chiamiamo spread). Solo alla Morgan Stanley sono stati versati a gennaio €2,6 miliardi per la chiusura di contratti derivati, ma non sappiamo se intanto il Ministero del Tesoro abbia provveduto a chiudere altre posizioni in derivati aperte con le maggiori banche d’affari internazionali, come Goldman Sachs o JP Morgan, perché queste operazioni sono strettamente riservate e mantenute fuori bilancio. Abbiamo poi i €3,9 miliardi stanziati per il salvataggio della Banca Monte Paschi di Siena, attraverso l’acquisto delle sue obbligazioni spazzatura che impediscono di fatto allo stato di nazionalizzare e controllare l’istituto, il cui valore patrimoniale è oggi pari a poco più di €2,6 miliardi. Abbiamo i buchi di bilancio delle amministrazioni locali, regioni, province e comuni, dovuti spesso ad uso dissennato dell’indebitamento bancario e ad utilizzo troppo superficiale di strumenti derivati, di cui daremo conto nei prossimi articoli. Un fiume straripante di miliardi di euro che dalle casse dello stato, e in ultima istanza dalle tasche dei cittadini, si sposta in massa e a senso unico nei conti di deposito degli oligopoli bancari e finanziari


Data
Debito pubblico
Prestiti all'EFSF/MES
31/12/2011
1.897,88
3,11
31/01/2012
1.934,82
3,97
31/07/2012
1.967,48
20,19

Fonte: Banca d’Italia, “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” n. 47 del 13 settembre 2012.

Alla fine, dopo che tutto questo flusso ininterrotto di miliardi di euro ha sfamato e saziato la voracissima Idra della finanza, abbiamo dulcis in fundo, come ciliegina sulla torta di questo quadro agghiacciante, le ruberie, le truffe, i raggiri dei faccendieri prestati alla politica e i costi eccessivi, gli sprechi, i privilegi della casta. Risvolto quest’ultimo sicuramente disdicevole e ripugnante che crea legittima indignazione e rabbia nell’opinione pubblica, perché alla luce del sole e amplificato oltremisura dalla stampa, ma pur sempre una briciola di qualche milione di euro se confrontato con le vagonate stracolme di miliardi di euro che nel silenzio più assoluto vengono sottratti alla gestione del bene comune e riservati alla soddisfazione di una ristretta cerchia di interessi privati. Per avere un termine di paragone siamo nell'ordine di grandezza di 1:1000: per ogni milione di euro rubato da Fiorito, ci sono 1000 milioni di euro portati via senza colpo ferire e fare rumore alcuno da Unicredit, Monte Paschi e compagnia bella. Un abisso di differenza in termini strettamente contabili e se Fiorito viene giustamente accusato di essere un criminale, come dovremmo chiamare sciacalli professionisti come Profumo, Mussari, Passera e i dirigenti delle lobbies finanziarie internazionali?

Con questo non voglio giustificare la corruzione o il malaffare politico, per carità, me ne guarderei bene, ma solo ribadire con assoluta chiarezza e schiettezza che esiste una precisa scala gerarchica del ladrocinio nazionale, e in questa piramide il Fiorito di turno rappresenta soltanto l’ultima ruota del carro, mentre ben altri godono dei maggiori frutti del furto che si perpetua senza sosta, la quale a sua volta deriva dalla scelta scellerata di subordinare la capacità di azione politica e lo stato sociale di una democrazia ai finanziamenti delle banche e dei mercati privati dei capitali. Per capire meglio il dramma facciamo un ragionamento per assurdo: dalla relazione della Corte dei Conti sul bilancio dello stato risulta che i “redditi da lavoro dipendente” ammontano per il 2012 a circa €170 miliardi. Immaginiamo di tagliare questi costi con la scure di €85 miliardi, dimezzando il numero dei parlamentari, riducendo gli stipendi di politici e funzionari pubblici, licenziando impiegati, chiudendo uffici ed ospedali: una vera e propria mattanza di proporzioni bibliche, che i curatori fallimentari del governo Monti al soldo della grande finanza riuscirebbero a stento a vagheggiare nei loro sogni più belli. Considerando che lo stato italiano paga ogni anno €90 miliardi circa di interessi sul debito pubblico, questi soldi andrebbero quindi a rimborsare soltanto le cedole e gli interessi sul debito senza ridurre di un centesimo la quota capitale, che dovrebbe essere intaccata imponendo altri tagli draconiani alla spesa dello stato, fino a raggiungere l’agognato pareggio di bilancio. Se guardiamo sotto la distribuzione del debito pubblico tra i vari creditori nazionali e internazionali, possiamo notare chi intascherebbe i soldi ricavati da questo ipotetico taglio massiccio della spesa corrente.




Secondo i dati aggiornati a luglio 2011 della Banca d’Italia solo il 14% del debito pubblico italiano è posseduto da privati residenti in Italia, il 26,8% è nelle mani di “istituzioni finanziarie monetarie” (banche, fondi comuni), il 13,5% da assicurazioni e fondi pensione, il 3,65% direttamente dalla Banca d’Italia e il 43% è nelle mani di soggetti non residenti, cioè all’estero, presumibilmente grandi istituzioni finanziarie. Dalle analisi ricognitive più recenti di Banca d’Italia sappiamo che la quota di debito pubblico detenuta all’estero è crollata drasticamente al 31,7%, perché grazie agli aiuti LTRO della BCE le banche italiane sono state costrette a ricomprarsi i titoli di stato posseduti dalle società finanziarie straniere, in particolare tedesche e francesi. Tuttavia, a parte questo passaggio di consegne tra banche, la quota di debito in mano ai residenti privati, famiglie e aziende non finanziarie, è rimasta pressoché costante. Questo è il punto. Solo una quota minima di tutti i soldi che vengono rastrellati dal governo per rimborsare il debito pubblico rimangono in Italia, nelle mani di soggetti che poi quei soldi "potrebbero" spenderli e investirli nell’economia reale, mentre tutto il resto va ad ingrossare le riserve delle banche nazionali ed estere, che sappiamo benissimo come  vengono utilizzate: rimborsare i debiti contratti, acquistare titoli finanziari, rinforzare il deposito precauzionale presso la banca centrale, limitare al massimo i prestiti ad aziende e famiglie, soprattutto in questo periodo di recessione e di incertezza diffusa.       

E’ evidente che una tale redistribuzione viziosa dei redditi dal basso verso l'alto  sia la causa principale del calo generalizzato della domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica) che ha automaticamente fatto diminuire il prodotto interno lordo PIL di circa -2,5% nel 2012, aggravando non poco gli effetti recessivi in corso e fornendo poche prospettive di ripresa per i prossimi anni. Un salto nel buio, che prima o dopo, quando i risparmi degli italiani saranno stati prosciugati, ci condurrà all’instabilità sociale, alle rivolte di piazza, all’ingovernabilità, come sempre è accaduto nella storia quando si è venuta a creare una simile disparità cronica di ricchezze e diritti. Questo è il percorso a cui andiamo incontro perseguendo a testa bassa la lotta cieca ai costi della politica e ai privilegi della casta, senza avere chiaro il quadro generale d’insieme. Il vero problema dell’Italia non sono affatto gli sperperi e gli sprechi della politica, ma come questi soldi eventualmente risparmiati o chiesti ai soliti contribuenti vengono poi utilizzati ad esclusivo vantaggio dei gruppi finanziari internazionali.

Paradossalmente, come ha già fatto notare qualcuno, quando diamo un alto stipendio ad un politico, almeno siamo certi che in una qualche misura l’arraffone in questione spenderà questi soldi in vestiti, ristoranti, case, viaggi, auto di lusso, gioielli, feste, teatri, facendo girare bene o male l’economia, mentre trasferendo  questi soldi dagli emolumenti dei parlamentari per darli alla finanza sappiamo già per certo che andranno definitivamente persi nei circuiti interbancari e finanziari, senza mettere in moto praticamente nulla, a parte i finanziamenti diretti forniti alle grandi aziende e multinazionali (società spesso imparentate in qualche modo con le stesse banche creditrici). Non dobbiamo quindi stupirci se, come si evince dal grafico riportato sotto, tutti gli ultimi sforzi richiesti ai cittadini e le manovre di bilancio adottate dal governo per ridurre a monte il deficit pubblico, con continui aumenti di tasse e tagli alla spesa, si riflettano poi a valle in un ulteriore peggioramento del rapporto debito pubblico/PIL, che è passato in un solo anno di governo Monti dal 123% al 127%. Trattandosi di un rapporto, se il denominatore tende a diminuire più rapidamente del numeratore, il risultato finale nel complesso non può che aumentare: questa è algebra da scuole elementari e non serve una laurea alla Bocconi per afferrare i semplici meccanismi descritti (per questo motivo possiamo dire con certezza che gli esimi professori del governo tecnico sono in malafede, mentono pur sapendo di mentire, e il loro scopo ultimo è solo quello di arraffare più soldi possibile agli italiani per rimborsare i grandi creditori nazionali e internazionali, prima che tutto crolli).




Ripeto, con questo non voglio dire che sia corretto lasciare gli stipendi alti a politici e funzionari pubblici, per consentire loro di continuare a vivere una vita da nababbi mentre i cittadini sono costretti a stringere la cinghia e fare sacrifici, ma ponderare bene come e dove verranno veicolati i soldi eventualmente risparmiati: meglio i vitalizi dei politici o i bonus dei dirigenti di banca? O ancora peggio, togliere soldi alla spesa pubblica per depositarli sui conti di riserve delle banche, privando cittadini e imprese dei mezzi di pagamento necessari. Il vero problema dell’Italia quindi, e lo si capirà meglio vedendo le dimensioni finanziarie in gioco (dell’ordine di miliardi di euro e non di milioni di euro), non sono gli sprechi, gli sperperi, gli abusi, la corruzione della politica (fenomeni questi distorsivi e devianti dell’illegalità diffusa che vanno comunque aspramente combattuti), ma il fatto che la politica non ha più gli indispensabili strumenti fiscali e monetari per agire attivamente nell’economia e invertire il declino in corso, avendo delegato tutte le proprie sovranità ad istituzioni sovranazionali come la BCE e l’Unione Europea che hanno le idee molto chiare su come utilizzare i poteri acquisiti: salvaguardare i privilegi della finanza privata, le rendite di investitori e speculatori, gli interessi di grandi gruppi industriali e multinazionali a costo di affamare i cittadini e distruggere lo stato sociale.

Il vero problema dell’Italia è la costrizione imposta a tutta l’economia di rimanere agganciata ad una moneta unica forte come l’euro che sta annientando la competitività del tessuto produttivo nazionale, salassando i salari dei lavoratori, amplificando gli squilibri interni ed esterni del paese con il resto degli stati europei. Il vero problema dell’Italia è che continuando su questa strada apriremo le porte ad una progressiva ma inesorabile colonizzazione dei grandi gruppi industriali e finanziari stranieri, rinunciando all’autonomia produttiva e peggiorando anno dopo anno la dipendenza dagli investimenti esteri e il tasso di indebitamento con il resto del mondo. Il vero problema dell’Italia è la selezione della classe dirigente, che viene scelta con cura in base alla scarsa competenza e capacità decisionale o alla facilità con cui si lascia manipolare o corrompere da agenti esterni alla politica. Il vero problema dell'Italia è il continuo attacco della propaganda che tende ad assottigliare e ridimensionare le istituzioni democratiche dello stato in favore di interessi e controlli privatistici della politica. In confronto a questi problemi cruciali, i vitalizi dei parlamentari sono il classico fumo negli occhi che serve ad annebbiare la vista, perché a quel punto, quando la nazione sarà priva di qualsiasi capacità di reazione, non ci sarà più bisogno della politica, del parlamento, della democrazia, in quanto vivremo in una sorta di dittatura finanziaria e industriale eterodiretta in cui le decisioni verranno prese altrove e i residenti non avranno più alcuna voce in capitolo non solo per far valere le proprie legittime istanze di  giustizia ed equità sociale, ma anche per rivendicare gli essenziali diritti democratici che stanno alla base della pacifica convivenza civile (non ultimo il diritto di voto). Inutile ricordare che da trenta anni a questa parte, con l’adesione totale e convinta ai programmi oligarchici e totalitari dell’Unione Europea, il processo di espropriazione di potere, di ricchezza, di democrazia è già abbondantemente in corso e sotto gli occhi di tutti.

Fatta questa doverosa premessa, ricevo e pubblico volentieri un dossier scritto da Gaspare Serra, in cui vengono analizzati con notevole precisione e dovizia di particolari tutti i famigerati costi della politica e i privilegi della casta, perché qualunque movimento culturale e politico che avrà il compito nel prossimo futuro di estromettere democraticamente l’indegna classe dirigente attuale e guidare il paese, non potrà esimersi dalla necessità di affrontare seriamente questi argomenti. Non solo per un fatto di opportunità e strategia politica, visto che questi temi sono il cavallo di battaglia su cui si fonda la frangia più agguerrita e numerosa della protesta, ma perché per ragioni di equità e giustizia sociale, dovrebbe rientrare nei punti programmatici di qualsiasi nuovo movimento politico lo studio di meccanismi per adeguare ed equiparare meglio gli stipendi dei parlamentari, dei dirigenti, dei funzionari pubblici alla media europea, al tenore di vita generale, al reddito nazionale, piegando tutte le forti resistenze che esistono ancora in tal senso (vedi recente sentenza della Consulta che impedisce il taglio degli stipendi di alti dirigenti pubblici e magistrati). Questi soldi risparmiati, invece di sparire nel vortice senza fondo del debito pubblico irredimibile, andrebbero poi investiti subito dopo in progetti di sostegno all’economia, incentivi alle piccole e medie imprese, sussidi ai disoccupati, progetti di formazione e inserimento, rafforzamento dello stato sociale, in un’ottica di continuo miglioramento della redistribuzione dei redditi dall’alto verso il basso e non viceversa. Pensare invece di avere risolto i problemi dell’Italia dimezzando gli stipendi dei politici e dei parlamentari senza curarsi affatto di sapere dove andranno a finire questi soldi è la solita Vittoria di Pirro, che non porta a nulla e continuerà a sprofondare sempre di più il nostro paese nel baratro della recessione. Meditate gente, meditate. 

Fonte

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