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17/10/2012

I bulli e l’ipocrisia di chi comanda

Quando il bullo chiama, le istituzioni rispondono e lo fanno in grande stile. Al di là del fatto di cronaca e della sua gravità, ogni volta che accade qualcosa di “notiziabile” fra gli adolescenti, parte un treno con a bordo psicologi, sociologi, giornalisti, politici, poliziotti che dall’alto della loro autorità indicano col dito cos’è che non va. Ogni figura chiamata in causa, a seconda del proprio ruolo, parte con la retorica su scuola, famiglia, valori, violenza del cinema e dei videogame, smarrimenti giovanili, hobby ecc… Una carrellata dell’ovvio e dell’ipocrisia che diventa stucchevole dopo qualche riga.

A questo giro il capo delle volanti di Livorno, Walter Delfino ha dichiarato: “Non si tratta di bulletti, ma di ragazzi molto violenti, che si ispirano a modelli, anche cinematografici, anni Sessanta”. Il Tirreno poi aggiunge che si potrebbe trattare del famigerato film “Arancia Meccanica”. Una visione da primo ‘900 in cui si addebita a un film, a un cantante o a qualunque altra opera d’arte o tecnologica un elemento deviatorio di comportamenti umani. Stanley Kubrick, genio del cinema, ha solo messo sul grande schermo un romanzo di Anthony Burgess del 1962, rappresentando con parecchie decadi di anticipo quella violenza esasperata e spesso assurda che avrebbe contraddistinto le società a venire. Una violenza e un degrado morale di una società che nell’egoismo, nell’individualismo, nell'ignoranza e nella solitudine tira fuori il peggio di se’, lasciando alle istituzioni solo la possibilità operare attraverso condizionamento e controllo totale sulle vite delle persone.

La colpa, dunque, viene sempre attribuita a qualcun’altro o a qualcos’altro. Nessuno che mai si ponga il problema che certi comportamenti o certi modelli culturali non siano altro che il risultato di un sistema economico che distrugge ogni istanza collettiva per esaltare quelle di disgregazione sociale.

Ma la parte più ipocrita nelle analisi dei portatori di verità istituzionale è quella che fa appello alla famiglia che deve dedicare tempo ai figli, alla scuola che deve indirizzarli verso un’educazione e generici valori. Un po’ come se un presidente americano, per di più repubblicano, si appellasse alla sanità pubblica per migliorare gli standard di vita dei propri cittadini.

Quale famiglia? Quella in cui i genitori sono costretti a lavorare in due per pagare il mutuo di un bene primario come la casa? Quella che deve lavorare la domenica negli ipermercati per permettere ad altre famiglie di levarsi l’unica attività civica di gruppo del consumo domenicale familiare? Quella murata alla televisione a guardare la spazzatura proposta da reti pubbliche e private?

Quale scuola? Quella dei 30 alunni a classe senza nemmeno insegnanti di sostegno? Quella dei tetti che vengono giù a pezzi? Quella degli insegnanti in classe fino a 67 anni? Quella dei tagli e dell’aumento delle rette universitarie?

Quali valori? Quelli del “consumo quindi sono”? Quelli dell’apparenza ad ogni costo? Quelli per cui chi studia o lavora con fatica trova al massimo un lavoro da 800 euro o uno stage gratuito mentre un’intervista di Schettino, una passerella della Minetti o le foto di un figlio cedute in esclusiva a un giornale di gossip valgono qualche decina di migliaia di euro? Quelli degli speculatori che affamano i popoli e concentrano le ricchezze in mano a pochi?

Cari chiacchieroni istituzionali fate una bella cosa, fate il vostro lavoro, applicate le vostre leggi, punite chi dovete punire ma evitate di fare le paternali e di dare sponda al sensazionalismo dei media locali. Da strenui difensori di questo sistema economico e di valori, alla fine diventate patetici.

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