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17/09/2012

Non c’è nessuna rivolta islamica

Sono del tutto fuori bersaglio i titoli con i quali i nostri media hanno presentato agli italiani la crisi che ha coinvolto le ambasciate americane e occidentali nei paesi musulmani. Attori diversi hanno animato le diverse piazze e non sempre ispirati dalla stessa agenda, ma sempre con un seguito popolare molto esiguo. Nella maggior parte dei paesi si è trattato di manifestazioni frequentate da qualche centinaio di persone, quelle più affollate ne hanno radunate qualche migliaio. Il che smentisce l’idea di una rivolta generale del mondo arabo e musulmano, qualcuno ha cavalcato la faccenda del film, ma le masse arabe e musulmane sono rimaste per lo più indifferenti, quando non addirittura seccate per la veemenza di certe dimostrazioni.

Ogni manifestazione ha avuto una storia a sé e quella dell’attacco al consolato di Bengasi è stata l’unica occasione nella quale uomini armati hanno sparato contro gli americani. In Bahrein si sono visti in strada i sunniti pro-monarchia e gli sciiti che chiedono le riforme, ai quali per una vota è stata rubata la scena, anche se i governativi non hanno mancato di attaccare la loro manifestazione e d’ignorare quella contro il film blasfemo.

In Giordania e Marocco pochi manifestanti hanno sfilato tenuti a prudente distanza dalle ambasciate, molti meno di quanti anche in queste settimane hanno manifestato contro le monarchie. Anche in Indonesia, il paese musulmano più popoloso al mondo, non si è andato oltre le centinaia, così in Pakistan, Afghanistan, Siria e Iran, dove le proteste avevano il chiaro imprimatur del governo. Più robusta la presenza in strada in Iraq, dove si è colta l’occasione per chiedere agli americani di sloggiare definitivamente.

I paesi nei quali le proteste sono state più animate non hanno comunque offerto scorci di tragedia paragonabili a quanto accaduto in Libia. In Egitto, dove le proteste erano cominciate per prime, il venerdì è trascorso in quello che ormai è un rituale confronto tra polizia e manifestanti, ci sono infatti parecchi egiziani che quando c’è da affrontare la polizia si presentano comunque e ieri erano in piazza anche se i Fratelli Musulmani avevano fatto sapere di avere già dato e non c”erano politici di nome a sostenere la protesta.

Diverso ancora in Yemen, un paese che da maggio ha subito 110 bombardamenti americani, che hanno ucciso per lo più civili innocenti, oggi è a cavallo di un cambiamento di regime che ha come tutor USA ed Arabia Saudita e che fino a oggi si è rivelato una truffa agli occhi di quanti pensavano di liberarsi di Saleh, che si è dimesso, ma comanda ancora e male come prima. 200.000 persone avevano manifestato in settimana chiedendo la realizzazione delle riforme previste, poche migliaia ieri hanno provato a sfondare gli uffici dell’ambasciata americana. per dare un idea della postura americana in Yemen, basta sapere che nel giro di poche ore Washington ha spedito 100 marines a guardia del suo compound senza alcuna obiezione da parte del governo. Lo stesso è accaduto in Libia, dove libici e governo si sono mostrati molto solidali con gli americani, che in Yemen godono invece di diversa considerazione. Sarà per questo che il bilancio dell’attacco è stato particolarmente pesante dal punto di vista dei veicoli dell’ambasciata distrutti, ben 61, a testimoniare una presenza massiccia d’americani, non tutti diplomaticamente impegnati nel paese. È appena il caso di ricordare che i cittadini dello Yemen sono i più armati al mondo, che spesso si spara alle manifestazioni e sulle manifestazioni, ma che ieri non è successo nulla del genere.

In Sudan invece le proteste sono partite dall’ambasciata britannica e dal quella tedesca, inizialmente date per “attaccate” anche se poi s’è scoperto che quella britanniche non ha subito attacchi, mentre in quella tedesca (deserta)  sono state appiccate le fiamme a una macchina e a bidoni della spazzatura nel parcheggio interno e non all’edificio(nell’immagine). La manifestazione è poi proseguita verso l’ambasciata americana e si è conclusa con due vittime, investite dalla polizia in un incidente stradale. L’assenza di vittime in tutte queste occasioni dimostra l’assenza di manifestazioni di violenza reali, le proteste sono rimaste per lo più nell’ambito del vandalismo e governabili dalle forze dell’ordine, che si sono comportate in maniera sensibilmente diversa a seconda dei paesi, anche in Sudan ad esempio le manifestazioni hanno goduto dell’evidente favore del regime.

Diverso ancora il caso della Tunisia, dove le proteste sono state condannate del partito islamico al governo e animate dagli estremisti, che l’assalto all’ambasciata l’hanno tentato più seriamente, ma anche qui si sono fermati alla distruzione delle autovetture dei diplomatici. Degno di nota l’incendio di una scuola americana, evidentemente meno custodita dell’ambasciata, ma nemmeno a Tunisi si sono viste folle oceaniche e nemmeno a Tunisi i marines di guardia all’edificio hanno dovuto sparare sui manifestanti, che evidentemente hanno saputo auto-disciplinarsi in una maniera che ha soddisfatto i soldati che dai tetti tenevano le armi puntate sulla folla. In questo caso la manifestazione ha avuto quindi accenti anti-governativi.

Tanto rumore per nulla quindi, se non fosse che l’uccisione dei quattro americani in Libia ha aperto le gabbie e i vomitatori d’odio si sono precipitati, visibilmente eccitati, a scolpire titoli assurdi contro i libici “ingrati” e contro l’Islam barbarico che vuole limitare la libertà d’espressione e distruggere i valori più sacri dell’Occidente. La solita partita tra fanatici, insomma, il calcio d’inizio è stato dato da alcuni folli truffatori cristiani che han provato a tirare in mezzo anche gli ebrei, poi la palla è stata raccolta dagli estremisti islamici e infine la partita si è allargata alla schiera di quei commentatori che per anni hanno cavalcato l’islamofobia e incitato a bombardare i paesi musulmani. Che poi a ben vedere sono gli stessi che hanno sostenuto la guerra in Iraq, minimizzato le torture e promosso leggi assurde per rendere l’Occidente “più sicuro”, quando allo scopo sarebbe bastato che proprio loro tacessero.

Chi ha fatto quei titoli non è per niente diverso dai truffatori antisemiti che hanno prodotto il film o dai furbi che hanno cavalcato il film con il pretesto dell’offesa al profeta. per scatenare proteste o violenze utili in prospettiva locale. Lo scontro di civiltà esiste, ma per fortuna in giornate come quelle di ieri, al di là della cortina fumogena prodotta dai media, si scopre che i nostri guerrafondai e i loro fanatici sono un’esigua minoranza. Basterebbe la consapevolezza di questo dato per avere ben chiaro quali siano i problemi e chi siano gli estremisti da condannare e da isolare, che lancino le loro fatwe da YouTube o dal Corriere della Sera, siano essi musulmani, ebrei o cristiani.

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