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03/09/2012

L'affare Napolitano

Di seguito propongo due corposi articoli utili a sviscerare almeno superficialmente i movimenti e gli interessi che hanno dato forma e stanno animando l'estate del presidente della Repubblica.
Mi auguro ci sia qualcuno in grado di trarne qualche conclusione certamente parziale ma costruttiva.


Napolitano e le intercettazioni: che sta succedendo?
di Aldo Giannuli

Con la pubblicazione su “Panorama” di alcune indiscrezioni sulle telefonate fra Napolitano e Mancino, la polemica sulle intercettazioni è diventata incandescente e si torna a parlare di trame, di piani di destabilizzazione, di complotti ecc.  Per inciso: è strano come tante persone prontissime a gridare alla complottomania al grido di “dagli al dietrologo!” poi gridano al complotto ed al piano destabilizzante appena qualcosa le riguarda personalmente… La gente è strana! Ed allora, c’è un complotto o no? Come spesso ho avuto modo di dire, complotto è una parola che ormai non significa più niente e serve solo a confondere le idee. Parliamo in termini più appropriati: c’è o no una manovra politica o forse finanziaria dietro questa faccenda? Per rispondere alla domanda non possiamo fare a meno di notare diversi segnali di un crescente nervosismo negli ambienti altolocati di questo paese anche su sollecitazione esterna. Un ex rappresentate diplomatico americano a Roma tira fuori all’improvviso la storia dei suoi incontri con Di Pietro ai tempi di “Mani Pulite”, lasciando intendere che loro erano i burattinai. Perché lo dice proprio ora?
La Merkel incontra Monti e gli chiede chi sarà il suo successore: una uscita quantomeno inconsueta. Ve lo immaginate cosa sarebbe successo se Monti le avesse chiesto se le elezioni di primavera le vincerà lei o la Spd? Magari aggiungendo: “Perché, sai, non vorremmo che vincessero quelli della Linke che sono dei populisti con cui non si può ragionare!” A parte il fatto che un certo far play vorrebbe che un capo di Stato o di Governo eviti cose che possono sembrare indebite interferenze nelle questioni interne di un altro paese (ma la Merkel già si era esibita in ben altro show in occasione delle elezioni francesi), di solito a stabilire chi guiderà un governo sono le elezioni, per caso la Merkel vuole che le comunichiamo i risultati prima di farle?
Poi Bersani, sollecitato non si capisce da cosa, si precipita a dire che “i mercati” (i mitici “mercati finanziari”) non  hanno paura della loro vittoria perché “la sinistra ha già governato e si è visto come”. E su questo ha ragione, lo riconosciamo lealmente: il capitale finanziario non avrebbe potuto trovare esecutori più diligenti di quei governi.
Berlusconi è improvvisamente tornato a parlare di elezioni in autunno. E via di questo passo. In questo quadro va inserita anche la vicenda delle intercettazioni a Napolitano e Mancino che, evidentemente, non hanno un senso da sole, ma in un quadro più generale che potrebbe essere quello di un attacco al Quirinale e, attraverso esso, a Monti. In questo senso, lo scontro con la Procura palermitana e le violentissime polemiche seguite alla reazione decisamente sopra le righe del Quirinale, che ha promosso il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale, lasciano intendere che sia in pieno svolgimento una “battaglia intorno al Colle”.
Il clima generale è molto torbido e la politica e l’economia hanno raggiunto livelli di opacità insostenibile, per cui orientarsi è molto complicato perché mancano troppe informazioni, ma qualcosa possiamo tentare di comprendere facendo qualche ipotesi che poi verificheremo man mano che i fatti renderanno più intellegibili giochi e tendenze.
Il principale indiziato è certamente Berlusconi. Il giornale appartiene al suo gruppo (ed è difficile immaginare che il direttore si sia preso una gatta così difficile da pelare senza avvisare la proprietà di qualcosa). Per di più il Cavaliere ha interesse immediato e chiarissimo a fare pressioni sul Colle per avere subito le elezioni, a far approvare in men che non si dica la legge sulle intercettazioni ed a spaccare la convergenza fra magistratura e Pd: questo incidente si presta magnificamente per tutte e tre le cose. Peraltro, sulla stessa lunghezza d’onda troviamo tanto “il Giornale” quanto “Libero” e soprattutto “Il Foglio”, che sta lavorando di ricamo sulla spaccatura di “Repubblica” fra amici del Colle e amici delle Procure. Per di più, Berlusconi ha detto di non saperne nulla e questa è la migliore conferma che è proprio questa la pista giusta. Dunque, la cosa calzerebbe perfettamente, ma ci sono altre considerazioni che lasciano perplessi.
Una manovra del genere, oltre che mettere in braghe di tela Napolitano, comporta anche il tagliare le gambe a Monti, esattamente come dicevamo all’inizio. Ma Berlusconi sa che molto difficilmente vincerà le elezioni e quello che può sperare è che non le vinca nemmeno il Pd (battuto al Senato) e si torni ad un nuovo governo Monti o simile, quel che gli consentirebbe di non essere estromesso dai giochi. Una mossa così può rivelarsi controproducente, anche perché, di fronte ad una evoluzione di questo tipo, Napolitano -sempre che possa permettersi questo lusso- potrebbe anche decidere di rendere pubbliche le famose telefonate, tanto per rompere il giocattolo in mano ai suoi avversari e non siamo affatto sicuri che dentro non ci siano cose molto scomode anche per il Cavaliere che, esattamente in quella stagione di “trattativa”, muoveva i primi passi della sua avventura politica. Quello dei rapporti fra mafia e politica, in quella particolarissima stagione, non è un vaso nel quale al Cavaliere convenga che si rimesti.
Ma, soprattutto, la pubblicazione di queste indiscrezioni (forse presunte) si iscrive nel generale clima di manovre coperte, ma non esaurisce il problema e questa, proprio per le ragioni esposte prima, sarebbe una mossa troppo scoperta, tanto da potersi ritorcere come un  boomerang sul suo promotore. Insomma, Berlusconi può avere interesse a fare pressioni su Napolitano e Monti, ma non alla loro sconfitta e tantomeno ad esserne indicato come il responsabile.
La cosa più probabile è che Berlusconi sia un “avventore occasionale” che bagna il pane in una zuppa preparata da altri. E’ credibile che lui ne sapesse qualcosa di quanto stava bollendo nella pentola di “Panorama” ed abbia pensato di trarne qualche beneficio, ma la “battaglia intorno al Colle” è cosa più ampia che coinvolge molta altra gente.
In questo senso l’indagine palermitana può essere stata un ottimo spunto per aprire le ostilità che la reazione sbagliata del Quirinale ha favorito enormemente. Non entriamo nel merito giuridico-costituzionale della faccenda che ci porterebbe troppo lontano (lo faremo prossimamente), ma ci limitiamo ad osservarne il lato schiettamente politico: quali che siano le immunità presidenziali, è accettabile che possano esserci dubbi sull’imparzialità e la correttezza del Capo dello Stato in una materia come i rapporto politica-Mafia? Probabilmente nella trattativa fra stato e Mafia di cui abbiamo diversi indizi che ci sia stata davvero, non c’è un rilievo propriamente penale, però c’è di mezzo l’assassinio di Paolo Borsellino sul quale aleggia un deciso odore di Sisde, quantomeno  in termini di “volontà permissiva” e questa è materia penale. Ma anche non ci fosse il caso Borsellino, è accettabile sul piano politico che possa esserci stata una trattativa del genere e che, per di più, non se ne sappia nulla neanche dopo? Sono questioni che mettono in discussione la legittimazione delle istituzioni repubblicane, ed in materia di questa gravità, il segreto di Stato non è ammissibile -se non giuridicamente- politicamente. Il Presidente, non per obbligo giuridico, ma per un senso di sostanziale lealtà nei confronti della Repubblica, deve (sottolineo: deve) impedire che sia messa in pericolo la credibilità delle istituzioni e, quindi, dovrebbe essere il primo a chiedere di rendere pubblico il contenuto delle telefonate. Invece, non solo non fa questo, ma addirittura solleva un conflitto costituzionale con la magistratura, il che autorizza a pensare che chissà cosa c’è di così grave in quelle comunicazioni e non deve trattarsi di materia che riguarda la sicurezza dello Stato (perché, in quel caso, la Presidenza del Consiglio dovrebbe eccepire il Segreto di Stato). Con questo sono autorizzati i peggiori sospetti.
Insomma, Napolitano è andato da solo sulle sabbie mobili e più si agita e più sprofonda.
Ma quali sono i possibili interessi di una eventuale regia occulta di questi attacchi? Non credo che la risposta stia nei confini nazionali e non credo che tutto vada ridotto all’azione dei giudici palermitani come longa manus della  “sinistra manettara” contro il governo sostenuto da Berlusconi e presieduto da Monti (il “governo Berlusmonti” come è stato detto da Travaglio). Conosco personalmente Antonio Ingroia (di cui sono stato consulente tecnico) e non mi convince l’idea che usi il potere giudiziario per giochi politici in proprio e ancor meno conto terzi. Ma naturalmente, questo genere di assicurazioni valgono quel che valgono e chi mi legge può benissimo non tenerne alcun conto. Resta il fatto che ci sarebbe una sproporzione evidente fra  gli attori dello scontro: la Presidenza della Repubblica ed il governo da una parte, ed una singola Procura della Repubblica appoggiata da pochissimi giornali (e nessuna televisione) dall’altra. Se le cose stessero in questi termini, la cosa avrebbe avuto un ventesimo dell’eco che ha avuto.
E a chi vedesse in questo una riedizione dello scontro magistratura-politica del 1992-93, ricordiamo che all’epoca l’attacco veniva dalla magistratura inquirente di tutta Italia, con l’appoggio quasi unanime della stampa e delle televisioni berlusconiane. Non mi pare ci siano paragoni.
Di fatto, dell’attacco contro il Quirinale abbiamo avuto avvisaglie a gennaio (quando per un attimo si tornò a parlare del ruolo di una società nella quale era interessato il figlio del Presidente nella questione della raccolta dei rifiuti a Napoli). La cosa durò meno di 24 ore, ma subito dopo iniziò la serie di attacchi ad esponenti del governo Monti, non proprio scandali ma rivelazioni di incompatibilità o semplici figuracce che misero nei guai qualche ministro e diversi sottosegretari poi costretti alle dimissioni. Nello stesso periodo era possibile leggere articoli non proprio cordiali verso Monti tanto sul “Corriere della Sera” quanto sul “Sole 24ore”. In particolare, si avvertivano diversi attriti sulla questione delle Assicurazioni Generali, dove il partito di Bollorè non sembrava soddisfatto dal comportamento del governo. E in un contesto che già segnava le nuove fiammate dello spread, Monti si lasciò scappare una frase molto interessante “Non ho più il sostegno dei poteri forti”. Queste cose hanno un senso o no? O vogliamo ridurre sempre tutto al solito “complotto delle toghe rosse”?
Nello stesso periodo sono iniziate spallate vigorose contro i titoli italiani e spagnoli, al punto che siamo tornati a parlare di possibile collasso e fine dell’Euro.
Ora, va detto che da una caduta del governo Monti (che, in sé, non sarebbe affatto un disastro) molti potrebbero pensare di trarre vantaggio. Ad esempio, il partito rigorista europeo anti-Fed, quello che vede Draghi come il fumo negli occhi, gioirebbe per la caduta di un governo molto (troppo) vicino al governatore della Bce. Ma anche quei poteri finanziari che lavorano al crack dell’Euro potrebbero pensare di giovarsi della situazione di vuoto di potere che potrebbe determinarsi e senza neanche aspettare le elezioni. E poi si prepara il banchetto delle alienazioni dei beni pubblici (Ferrovie, Eni, Finmeccanica, immobili, ecc.) e gli appetiti sono molti sia in Italia che fuori. Magari ci sono concorrenti ad uno stesso piatto ed uno dei due pensa che si troverebbe meglio con un governo diverso da questo.
Dunque, c’è un quadro nel quale c’è solo l’imbarazzo della scelta e la cosa più probabile è che le mani che si agitano sono molte.  Questa delle intercettazioni può essere la pietra di inciampo, ma la partita è molto più grande e complessa.
D’altra parte, quando il Capo dello Stato si mette a fare il super-Presidente del Consiglio, non può lamentarsi se poi finisce nel tritacarne. L’arbitro deve restare arbitro, non può mettersi a fare il centrattacco di una delle due squadre, vi pare?


Stato e mafia, la trattativa infinita. Cosa copre Napolitano?
per Senza Soste, Terry McDermott

Le polemiche sul servizio di Panorama dedicato alle telefonate tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l'ex vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, rischiano di far perdere di vista il contesto politico in cui si svolge una vicenda come questa.
Il contesto riguarda la trattativa tra stato e mafia avvenuta nei primi anni '90 e le inchieste su questa trattativa che hanno avuto un punto di svolta alla fine degli anni duemila. Trattativa e inchieste marcano due momenti storici di questo paese: la fine della prima repubblica, e quindi dell'egemonia Dc, e quella della seconda, con l'esaurirsi dell'alternanza centrodestra-centrosinistra. C'è un altro tratto di continuità tra trattativa e inchieste: entrambe attraversano un periodo di profonda ristrutturazione dei poteri dello stato, di dismissione e ricollocamento dei poteri pubblici.
Certo, ci sarebbe da definire cosa sia effettivamente "mafia" e cosa "stato" in questa vicenda, le articolazioni dell'una o dell'altro spesso finiscono per confondersi. E non è un gioco di parole. Senza andare nella storia del passato remoto basti vedere vicende e curriculum dell'ex ministro Saverio Romano e dell'ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro, o dell'ex numero tre del Sismi Bruno Contrada, per capire in quale modo i due fenomeni si intrecciano. Allo stesso tempo bisogna evitare di darsi risposte semplificatorie per cui stato e mafia sono la stessa cosa. Le bombe, le stragi, gli omicidi dei magistrati, la guerra dei dossier avvengono quando ci sono conflitti reali in atto. Basta capire quali.
In estrema sintesi, tutto comincia dagli anni '80, quando, dopo decenni in cui le questioni tra mafia e politica venivano regolate semplicemente entro la Dc siciliana e nazionale (quelle che non finivano a colpi di lupara, s'intende), i vertici di Cosa Nostra finiscono in un maxiprocesso. E' l'epoca immediatamente successiva agli anni di piombo, quella nella quale lo stato ristruttura la propria forza interna dandosi articolazioni di potere, in Sicilia e a Roma, autonome dalla mafia. Nel mondo che sta emergendo con la società postindustriale, ma anche con la ristrutturazione della finanza e l'emergere di nuovi poteri transnazionali, la mafia non può più essere semplicemente ignorata o automaticamente alleata. Deve trovare un potere regolatore esterno alla Dc siciliana e nazionale. E' la stagione di Giovanni Falcone e del maxiprocesso a Palermo. La prima trattativa stato-mafia avviene in quel periodo specie dopo la prima sentenza del maxiprocesso degli anni '80, in modo da compensare la durezza delle pene al processo. Per prevenire l'eventuale reazione della mafia e salvaguardare nuovi e vecchi assetti di potere nei rapporti tra mafia e stato. L'uccisione di Salvo Lima, plenipotenziario della Dc andreottiana in Sicilia, marca però uno spartiacque. La mafia, cioè Cosa Nostra, fa capire che la Dc non è più in grado di garantire i vecchi equilibri di potere e nemmeno di prefigurarne dei nuovi. In quest'ottica, stabilire nuovi equilibri di potere tra stato e mafia in Sicilia, comincia una strategia stragista: Falcone, Borsellino, Georgofili. La seconda trattativa stato-mafia avviene quindi nel contesto delle stragi degli anni '90 portandosi dietro gli strascichi, in termini di richieste della mafia, della prima trattativa degli anni '80.
Improvvisamente, come erano cominciate, le stragi cessano.
L'Italia politica non è più quella della Dc agonizzante, c'è un nuovo soggetto politico al governo, referente diretto dell'isola, che durerà tanto da fare cappotto (61 parlamentari su 61 per Forza Italia) nelle circoscrizioni siciliane alle politiche del 2001. Ma cosa è successo in queste due trattative? Chi ha trattato per chi e quali sono i responsabili?

Prima di tutto bisogna ricordare che nella sentenza sulla strage dei Georgofili del marzo 2012 si menziona esplicitamente l'esistenza di una trattativa stato-mafia. Anzi i due terzi della sentenza sono dedicati alla ricostruzione storica di questa trattativa. Non solo: nella sentenza si afferma che fu lo stato a cominciare la trattativa. E quando si producono le verità giuridiche su un fenomeno così complesso le indagini, i processi, e quindi gli scontri tra poteri dello stato, si moltiplicano. Infatti, nel giugno di quest'anno, l'ex presidente del Consiglio Superiore della magistratura, Nicola Mancino, viene indagato per falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta su questa trattativa.

Tra i tanti nodi da sciogliere in questa vicenda due sono di particolare rilievo 1) stabilire per quale motivo le istituzioni scelsero di trattare con la mafia, con quali persone, e quale fu il livello di accordo raggiunto (compresi quelli eventualmente raggiunti da Marcello Dell'Utri) 2) stabilire se l'uccisione di Paolo Borsellino, nella strage di via d'Amelio, avvenne, con il concorso di settori dello stato, per favorire l'eliminazione di un avversario importante della trattativa stato-mafia. Già perché c'è il particolare del fratello di Borsellino che chiama in causa direttamente Nicola Mancino. Per chi non conoscesse la vicenda merita una lettura

http://it.ibtimes.com/articles/32218/20120626/salvatore-borsellino-trattativa-stato-mafia.htm

Come nel periodo del maxiprocesso, o delle stragi degli anni '90, tutto questo avviene nel contesto di un periodo di profonda ristrutturazione dei poteri e delle articolazioni dello stato. E di crisi del sistema politico. Ci sarebbe anche da capire come cambiano referenti e rapporti tra mafia e sistema finanziario ma fermarsi al livello politico già fa capire molte cose. Nello scontro attuale si giocano quindi i nuovi livelli di rapporto tra mafia e stato, quelli all'interno dello stato (nell'esecutivo come all'interno del potere giudiziario e anche tra i due poteri)e anche quelli di rappresentanza politica.
E cosa avviene nella primavera di quest'anno?
Che nell'ambito delle indagini sulla trattativa stato-mafia vengono intercettate una serie di telefonate di Nicola Mancino a Giorgio Napolitano, dopo che il presidente della repubblica aveva inviato un suo emissario in aiuto dell'ex presidente del Csm . Apriti cielo: Napolitano si muove, e con lui il Csm e tutte le istituzioni della repubblica (con l'appoggio dei maggiori media) per bloccare pubblicazione ed uso di quelle telefonate.
Ma cosa contengono di così scottante queste telefonate?
Visto lo scenario che si è delineato qualsiasi parola contengano è destinata ad alimentare gli scontri in atto. Eppure, è cronaca di questi giorni, Panorama (del gruppo Berlusconi), pubblica una serie di ricostruzioni sul contenuto di queste telefonate. Nonostante i media del centrodestra, sulla vicenda delle telefonate Mancino-Napolitano, fino a quel momento avessero attaccato esclusivamente la magistratura palermitana (autrice delle intercettazioni). Segno che Berlusconi ha mandato un avvertimento per far capire che vuol evitare di separare il proprio destino da quello delle istituzioni (non solo la persona fisica di Napolitano). Poi ci sono anche questioni di condizionamento elettorale ma la sostanza è quella, che va ben oltre una elezione.
E cosa dice il Pd? Semplice: "basta con gli attacchi populisti a Napolitano". Con la cortina fumogena del "populismo" il Pd nasconde un contesto, come abbiamo visto, particolarmente insidioso. Nella speranza di poter tenere il gioco della ristrutturazione, quella vera, dei poteri attorno a questa vicenda. Del resto un partito che ha subito infiltrazioni (basta leggere le inchieste) da camorra, 'ndrangheta e mafia pugliese, che ha espresso le vicende Enac, Penati (queste due vicende chiamano in causa collaboratori strettissimi di Bersani) e Lusi non può dire molto di diverso.

In un recente sondaggio su internet riportato su diversi siti, Napolitano è stato votato come il peggior presidente della repubblica italiana. Visti i campioni con i quali si è confrontato (Leone, Cossiga) sembrava un giudizio troppo schiacciato sul presente. Ma il tentativo di Napolitano di coprire la trattativa stato-mafia, simile alla storia del segreto di stato apposto da Moro sul tentativo di golpe di De Lorenzo, fa rivedere il giudizio. Anche perché Napolitano ha anche la responsabilità di aver favorito la liquidazione liberista del paese, e di parte della sovranità nazionale (con tanto di teorizzazione di questo in un discorso a Bruges), con la nascita del governo Monti.

D'altronde chi, da destra, serviva il Migliore, applaudendo ai carri armati in Ungheria e Cecoslovacchia (caso unico nei presidenti della repubblica di tutto l'occidente) non può che rivelarsi il peggiore. Ma questa è un'altra storia.

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