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07/08/2012

Le mille bolle blu di Mario Draghi e la drammatica intervista di Monti a Der Spiegel

“blu, le mille bolle blu/che volano e volano e volano..” (Mina, 1961)

bolle_bluSe la celeberrima canzone di Mina celebrava la promessa dell’euforia permanente contenuta nell’Italia del boom economico, le mille bolle blu di Mario Draghi, quelle generate dalle dichiarazioni del presidente della Bce e dalla speculazione, promettono di celebrare silenziosamente una grave ed inedita contrazione economica e sociale di questo paese.

E qui si tratta di comprendere quanto le cronache recenti dal mondo bancario e finanziario ci facciano capire in quale situazione strutturale si trovi questo paese. Troviamo allora un filo narrativo evitando, quanto possibile, un linguaggio tecnico. A fine luglio, dopo una serie di sedute di borsa estremamente negative per i titoli pubblici (e diverse aziende strategiche) di Italia e Spagna, Draghi aveva tuonato da Londra affermando che “ per salvare l’euro la Bce è pronta a misure straordinarie”. L’effetto rialzo nelle borse europee è stato praticamente immediato, vista la corsa ai titoli che potevano garantire un buon posizionamento in attesa della prevista immissione di liquidità in Europa e anche qualche gioco speculativo (promettere di vendere in futuro titoli a 100, che oggi non si hanno, in giornate di rialzo garantisce la possibilità domani, quando c’è ribasso, di rastrellare questi titoli sul mercato magari a 80). Per il 2 agosto era quindi attesa la conferenza di Draghi per l’annuncio ufficiale delle misure prese dalla Bce per il salvataggio, anche straordinario, dell’euro. Draghi, smentendo anche le previsioni del suo mentore Scalfari, si presenta invece alla conferenza stampa senza una decisione presa da parte della Bce ma con due dichiarazioni importanti: a) non ci sarà alcun intervento finanziario nei confronti di nessun paese (Italia e Spagna, per capirsi) fino a quando questi paesi non chiederanno ufficialmente aiuti (mettendosi sotto ulteriori procedure di commissariamento) b) a breve la Bce potrebbe intervenire sostenendo, per un periodo limitato, alcuni titoli di questi paesi. Le borse europee reagiscono in due modi differenti: crollo il giovedì (specie Milano, Madrid e i titoli pubblici dei due paesi) e rialzo, generalizzato, il venerdì.

Cerchiamo di capire cosa sta accadendo evitando, anche da culture diverse da quelle istituzionali, di imitare i comportamenti dei tg. Telegiornali che hanno preso ormai da tempo a valutare la buona o cattiva giornata del paese a seconda del segno più o meno presente nell’indice della borsa di Milano. Evitando anche di schierarsi rispetto a testate che, per differente collocazione nazionale, hanno interpretato il comportamento di Draghi come “l’isolamento della Bundesbank” (la stampa italiana praticamente in coro) oppure come un adeguamento dello stesso presidente della Bce alle molteplici, tra loro anche conflittuali, esigenze tedesche (con toni differenti, Die Welt e la Frankfurter Rundschau).

Sia il crollo del giovedì che il rialzo del venerdì hanno invece le loro ragioni, che vanno ben oltre la cronaca di due giornate. In entrambi i casi preannunciano però un autunno niente affatto facile per questo paese. A parte i movimenti speculativi, che corrono liberi come i bufali nelle praterie prima dell’arrivo dell’uomo bianco, ci sono diverse ragioni strutturali nel comportamento del giovedì e in quello del venerdì. Il giovedì, al netto dell’effetto annuncio depressivo creato dall’attesa disullusa di misure mai arrivate, i fattori di ribasso portano questi segni a) inesistenza, anche a medio termine, di uno strumento di copertura dei rischi sistemici dovuti all’aumento del già pesante debito pubblico di due paesi in recessione stabile come Spagna ed Italia b) assenza di una azione concertata Bce-Federal Reserve (l’attesa visita di Geithner, il segretario del tesoro Usa, a Schauble si è rivelata non molto di più di un cortese scambio di opinioni) e quindi blocco delle prospettive globali di ripresa c)  la paralisi persistente sia dei meccanismi decisionali della Bce che dell’azione degli stati e persino, in alcuni casi, della stessa maggioranza che regge il governo tedesco d) la fuga di capitali dall’Europa ai mercati americani (senza un grosso ribasso dell’euro, significa che la Federal reserve si è spesa  a sostenere il dollaro basso). Tra le ragioni strutturali del rialzo del venerdì,  a parte l’occasione di comprare titoli appetibili che avevano subito un grosso ribasso e l’intervento di fondi (diciamo) vicini a paesi che ne avevano bisogno va segnalato a) un rapporto, ritenuto positivo, sulla crescita dei posti di lavoro in Usa. Significa che, nonostante Cina e Brasile, si punta ancora sul consumatore americano come motore della “crescita” globale b) La dichiarazione del premier spagnolo sulla possibilità, da parte del paese iberico, di chiedere ufficialmente aiuti alla Bce. Eventualità che Monti sta facendo di tutto per scongiurare, come si è visto nei vertici di giugno, perchè significherebbe l’affidamento della Spagna oggi e dell’Italia poi (tramite Bce, Fmi e in futuro il demenziale fondo Sme) a procedure di commissariamento coatto, più stringenti di quelle di oggi, che porterebbero a zero i margini di manovra dell’establishment politico, bancario ed economico nazionale. Operando una spettacolare operazione di trasferimento di risorse e profitti dall’Italia ad altri paesi, inedita nella storia di questo paese dal periodo unitario.

La dichiarazione di Rajoy ha rialzato gli indici di borsa, mentre la propaganda del mainstream italiano ci delirava sopra felice, facendo capire che in caso di richiesta di “aiuti” da parte della Spagna, ci sarebbero le condizioni politiche per l’intervento a breve di Draghi. Il punto è quindi che quella che è stata scambiata come una giornata di buone notizie di borsa per l’Italia potrebbe essere il venerdì del rintocco della campana a morto per questo paese. Gli stessi acquisti di titoli di obbligazioni e aziende italiane potrebbero essere il preludio ad un posizionamento estero su delle imprese e su un paese in vista della grande festa finanziaria degli “aiuti” e delle “liberalizzazioni” guidate in Italia da un direttorio Bce-Ue-Fmi come per la Grecia (direttorio che ha vampirizzato il paese ellenico trasferendo le sue risorse verso i paesi più forti della Ue, ecco il volto attuale dell’integrazione europea).

Per l’Italia la situazione è quindi per adesso quella classica dell’oggetto in mezzo alle due lame della forbice. Se prevale la situazione prevista il giovedì (mancata copertura delle istituzioni europee al debito pubblico italiano e spagnolo, paralisi decisionale) alla prima seria crisi di fiducia o al primo attacco speculativo il rischio di un ulteriore schock economico-finanziario (e sociale) è enorme. Se invece prevale la situazione del venerdì, il rischio concreto è l’istituzione di una governance sovranazionale di vampirizzazione di ampie risorse e ricchezze del paese (sulla perdita di potere di Monti, di Passera o di Casini la preoccupazione francamente non si pone).
La popolazione italiana , finchè rimane nel mezzo della forbice, è destinata quindi a perdere comunque. Sia nel caso di uno shock sistemico provocato dalla borsa che in quello di un “salvataggio” che comunque non mancherebbe di trovare ascari a supporto proprio in Italia. La linea Monti, come abbiamo visto, è quella di evitare il “salvataggio”, quindi “aiuti” finanziari alla greca, ma per far questo il governo prevede ulteriori pesanti interventi, anche d’emergenza, a livello di tagli, tasse, se necessario anche prelievi straordinari. Non va sottovalutato inoltre il meccanismo delle crisi europee: se un paese crolla, anche se non è l’Italia, è comunque in grado di trascinare con sé anche gli altri che sono in posizione da paese debole. E persino Bersani, che nel luglio 2011 serrava i pugni di fronte alla telecamera dicendo “siamo un grande paese, non ci faremo mettere in ginocchio dalla speculazione”, ha capito e ammesso pubblicamente “siamo un paese periferico dell’eurozona”, quindi debole.

L’intervista di Monti allo Spiegel, dai toni drammatici se si considerano i messaggi solitamente austeri del presidente del consiglio, non fa quindi uscire a caso l’allarme: “l’euro rischia una rottura”, dice l’attuale primo ministro italiano.  Monti lavora per diversi scopi non tutti strettamente nazionali (contribuire ad allargare i mercati finanziari con l’intervento della Bce e la creazione di nuovi attori, mantere l’euro, far entrare l’Italia nei binari ultraliberisti di un tipo di moneta unica che il premier vuol consolidare, bilanciare il primato tedesco in Europa con interessi più euroatlantici) e nessuno di questi si sta realizzando. Per di più la base materiale del potere di Monti, l’Italia, rischia seriamente o un duro colpo dagli stessi tanto agognati mercati oppure la vampirizzazione delle risorse per mano di “commissari” europei. Per questo Monti lancia, dai media tedeschi, l’allarme sulla possibile rottura della zona euro: perchè stanno prevalendo forze e progetti molto diversi dai suoi, da quelli delle reti di cui fa parte. In questo modo anche se l’euro si “salvasse” nessuno dei progetti di cui fa parte Monti si realizzerebbe.

Se su Draghi convergono, come è natura in questo genere di poteri, diversi campi di forza (reti di potere dei grandi hedge fund, reti tecnico-amministrative continentali della moneta, l’equilibrio instabil dei poteri nazionali entro la Bce, la rappresentanza del caotico mondo bancario europeo) questo avviene anche per Monti (reti di potere degli hedge fund internazionali, sistema bancario italiano, reti forti dei poteri istituzionali, diversi nessi diplomatici e amministrativi della governance europea). Bisogna davvero essere di Repubblica, o del Corriere, per scrivere che “Monti e Draghi fanno l’interesse dell’Italia” per oscurare la complessità della situazione sotto una coltre di propaganda in forma di notizie. Il punto è che sia leggendo il campo di forza “Draghi” che quello “Monti”, oltre alle mille bolle speculative che si gonfiano assieme alle parole del presidente della Bce e ai toni inusualmente drammatici del presidente del consiglio, si intravedono solo gravi problemi strutturali per il nostro paese.

Resta da chiedersi, nei pittoreschi dibattiti che si intrecciano nella lunga campagna elettorale italiana, quanto e come il ceto politico istituzionale sarà un fattore di precipitazione delle crisi in corso. Ogni modo non ci sarà da stupirsi di nulla in quello che accadrà.  Già negli anni ’50, va dato merito all’economista Bagnai di aver riportato alla luce questo dibattito fuori dall’ambito dottrinale, i dibattiti sugli squilibri continentali di una moneta unica, in presenza di economie differenti, aprivano un piano di realtà che, a partire dagli anni ’90, è stato ampiamente sottovalutato. In questo senso il gap nella comprensione dell’ordine dei problemi che ci sono davanti non sarà colmato facilmente e comunque non da queste forze della sinistra istituzionale. La sinistra italiana deve tornare agli anni ’50, non al dibattito sulla destalinizzazione ma a quello sui rischi sistemici di una moneta unica europea, e non sarà facile. . C’è a giro molta chiusura culturale tra chi crede che ripensare questi temi sia una regressione verso il nazionalismo, quando invece impongono una avanzata visione internazionale dei problemi, e chi è convinto che immettendo maggiore liquidità nel sistema (come è già avvenuto tra l’altro) gli squilibri, che sono tipici del capitalismo non degli errori tecnici, in qualche modo si riducono.

Intanto le mille bolle blu della speculazione finanziaria, che oggi ha molti più Soros di venti anni fa, accese dalle parole di Draghi e lo stupidario sull’eredità di Monti dopo il 2013 continuano. Fossero solo parole, pace. Qui si tratta di segni (di borsa) e di dichiarazioni (sui media) che stanno distruggendo un paese quanto una guerra. Continuare a provare per credere.

Per Senza Soste, Ian St.John

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