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18/07/2012

Il Pd è turbato dalla propria componente omosessuale


pd_affonda
Chissà se il segretario Bersani avrà mai l’occasione di trovare, nei vecchi numeri della collana Urania, il racconto di Richard Lupoff dal titolo Trenta milioni bruceranno vivi. Vi si trova la storia di una società, assediata dalla scarsezza delle risorse naturali, le cui città vivono sigillate in una cupola. Sono le città del Pd maturo: una volta bruciate tutte le “occasioni di sviluppo” (esaurendo acqua, gas, avvelenando l’aria con ogni genere di emissioni) ci si ritira in una bolla tecnologica da green economy sia sofisticata che disperata. Come si vive nelle città di Lupoff? Con una sorta di reddito di cittadinanza, pochi lavorano, mentre la pace sociale è assicurata da ogni genere di matrimonio. Non solo tra persone dello stesso sesso ma anche multipli. Tre uomini sposano una donna, tre donne un uomo, due coppie eterosessuali si sposano reciprocamente. A parte la letteratura classica di fantascienza, anche dal punto di vista del governo non è una cosa bizzarra.
Durante le crisi, la possibilità di moltiplicare i legami stabili favorisce la coesione e la cooperazione sociale. Lo sa anche Cameron, premier conservatore britannico che viene da Eaton non da qualche comune del free love di larghe vedute, tanto che ha ribadito più volte l’impegno per l’assoluta parità giuridica per qualsiasi tipo di matrimonio (esclusi i matrimoni multipli, che esistono nei libri di fantascienza). Come lo sa Obama che si è impegnato, a livello federale Usa, di armonizzare le leggi nazionali con quelle più avanzate nei singoli stati in materia di same sex marriage. A livello di società italiana, come lo è stato per il divorzio, si è ormai maturi per l’assoluta parità giuridica tra le forme di matrimonio. Provvedimento giusto, assolutamente dovuto, e oltretutto utile perchè favorisce le forme di coesione sociale in tempi di grave crisi. Già approvato in Francia, Olanda e anche nella cattolicissima Spagna. In Italia però, si sa, c’è il centrosinistra. Frutto di quel mito nefasto della “necessità del centro”, che nasconde il tentativo di legare i voti della volontà popolare agli interessi delle nicchie dei poteri forti della società, che ha disgregato ogni comportamento di sinistra da vent’anni a questa parte in Italia. Per cui le unioni tra persone dello stesso sesso, figuriamoci i matrimoni, sono state oggetto dei comportamenti più demenziali da parte del centrosinistra dettate proprio dalle “necessità del centro”. Nel 2006 i pacs, unioni civili equiparate al matrimonio, stavano nel programma del centrosinistra, e si sono trasformati durante il governo Prodi in Dico, forma molto più blanda, per poi sparire nel binario morto dei progetti di legge. Oggi il Pd, in vista delle prossime elezioni, è di fronte a due esigenze non conciliabili: quella di attirare elettori progressisti sul tema dei diritti civili e quella di tener conto dell’ennesima mitica “necessità del centro”, in questo caso la solita lobby cattolica minoritaria ma desiderosa di accreditarsi presso il Vaticano. Dal punto di vista delle proposte del Pd, per la prossima legislatura e per la campagna elettorale, ne sta venendo fuori l’ennesimo compromesso. Dopo l’esperienza del secondo governo Prodi, c’è il rischio che la proposta, già di compromesso, pre-elettorale vada nell’ennesimo binario morto legislativo. Non dimentichiamoci infatti che oltre alla necessità del centro interno (gli ex dc presenti nel Pd) una volta al governo ci sarebbe da tenere conto anche dell’Udc e forse anche dei cattolici del Pdl (o cosa sarà). La necessità del centro è una formuala quasi magica, su questo come su altri temi, per cui una rappresentanza politica minoritaria riesce ad impedire ciò che è ritenuto naturale e dovuto dalla parte maggioritaria della società.
E così all’ultima segreteria nazionale del Pd se ne sono viste di tutti i colori: una mozione sui “matrimoni gay”, promossa da una componente del partito democratico presente su questi temi, non è stata fatta mettere ai voti anche avendone diritto. I soliti turbamenti piddini: se la si metteva ai voti significava riconoscere che nel partito esistono certe posizioni, sai che brividi, ma anche far vedere all’elettorato che vota sui diritti civili che la strada del fallimento in materia del secondo governo Prodi, vista la sicura bocciatura della mozione, era pronta per essere replicata. Contorsionismi da mozione degni di altri tempi che hanno provocato le proteste di diversi delegati alla sessione nazionale del Pd. C’è chi ha strappato la tessera davanti a Bersani, ottimo spot pre-elettorale non c’è che dire, c’è chi ha dato dell’arcaico al segretario e persino sono volate le accuse di omofobia verso la maggioranza del partito. Il Pd riesce a dare immagine di serietà solo in ambienti protetti, con gli esponenti circondati di giornalisti imbeccati e security onnipresente: quando c’è un confronto assembleare, anche interno, o peggio ancora verso l’esterno è sempre farsa conclamata. Basti ricordare la più pura figura del cioccolataio fatta da Bersani a Servizio Pubblico sulla Tav. Vedremo alle politiche quali considerazioni sul Pd prevarranno nell’elettorato. Per ora, stando ai sondaggi, si naviga dall’8 al 10 per cento in meno dei voti del 2008. Un bel fallimento, per un partito che si voleva egemone nella politica italiana, ma pronto ad essere venduto come vittoria in caso di una qualche conclamata armonizzazione politico-elettorale con le necessità del centro.
Se si vuole è un pò curiosa questa repulsione di un partito transgender come il Pd (formato da partiti che hanno cambiato genere prima di fondersi assieme e con altri soggetti diversi) verso la piena accettazione dell’omosessualità. Ma c’è poco da scherzare: tutta la storia della seconda repubblica è costellata di partiti chiusi, isolati dalla società, che alterano e sofisticano i loro messaggi solo nell’ottica di estrarre voti, e quindi quote di potere, il giorno delle elezioni. Dopo si vedrà, come è stato per i pacs ieri e forse per le unioni civili domani. Certo guardando gente come D’Alema, che si aggirava per l’assemblea nazionale rilasciando dichiarazioni curiali e criptiche del tipo “prossimo governo oltre Monti con Monti”, c’è da dubitare che certi partiti durino ancora a lungo. Ma la crisi economico-finanziaria è tale, assieme al livello di disgregazione sociale, da farci ricordare che certi partiti, per rimanere dove sono, se avvertono dei rischi sono disposti a tutto. Ma questa è un’altra storia. Persino più lunga di quella dei pacs.

Per Senza Soste, Ian St.John

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