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25/03/2012

L'insostenibile indebitamento dell'essere

Ieri si è suicidato l'ennesimo imprenditore - sono oltre 40 dall'inizio dell'anno - stretto fra le formidabili tenaglie del credit crunch e impossibilitato a far fronte ai debiti. Per loro, la politica non ha orecchie. Le loro richieste giacciono inascoltate sugli scaffali polverosi dei ministeri. Ma se il Presidente dell'Abi reclama il risanamento di una norma che (normalizzando le banche italiane rispetto a quelle del resto del mondo) azzera le commissioni sui conti corrente provocando al sistema bancario 10 miliardi di perdite, allora i politici saltano in piedi tra i banconi delle aule alla disperata ricerca di una soluzione. E la soluzione arriva immediatamente.

Secondo Morgan Stanley, sommando l’asta di dicembre a quella del 29 febbraio, la BCE ha dato a Intesa 36 miliardi di euro, 24 a Unicredit, 15 a Monte dei Paschi, 10 e mezzo a Ubi banca e 7 al Banco Popolare. Soldi buoni, avuti a un tasso privilegiato dell'1% anche per rilanciare l'economia, da restituire in tre anni. Le imprese non hanno visto niente. Perchè? Secondo la spiegazione comune, con quei soldi le banche hanno comprato titoli di stato italiani. Per abbassare lo spread. Per farci un piacere, insomma.

Ma cos'è questo spread? E' un differenziale che esprime confidenza: ovvero la fiducia che gli investitori hanno nel fatto che i titoli italiani a dieci anni, raffrontati a quelli analoghi tedeschi, finiscano per ripagare il loro valore più gli interessi. La misura di questa fiducia arriva dall'osservazione di come questi titoli vengano scambiati sul mercato secondario. Se vengono acquistati, significa che c'è fiducia e lo spread scende. Se vengono venduti, significa che c'è diffidenza e lo spread sale. Capite da soli che acquistare artificialmente titoli di stato, con soldi fabbricati ad hoc dalla BCE, è un'operazione che non può in alcun modo influire sullo spread, perché è evidente a chiunque che tale acquisto ingente non deriva da nessuna nuova confidenza acquisita, bensì da una speculazione in atto per tamponare un'emorragia. Anzi, si può ribaltare il discorso: più le banche acquistano titoli di stato in quantità massicce, su indicazioni della Banca Centrale Europea (e con i suoi soldi), più quel titolo di stato è debole e dunque non rappresenta un buon investimento. Perché dunque non disfarsene?

Inoltre, se è vero che le banche acquistano titoli di stato italiani per salvare la nostra economia, allora perchè, pur avendo ricevuto i soldi ad un tasso di interesse dell'1%, ce li rivendono (acquistando i nostri titoli) ad un tasso medio del 4,8%? Se quei soldi sono stati "fabbricati" per acquistare i nostri titoli di stato, e se la BCE non può acquistare titoli di stato per regolamento interno e per questo li presta alle banche, allora perché queste banche non comprano i titoli italiani, perlomeno quelli fino a 3 anni, ad un tasso nominale e simbolico dell'1%? Caricando il 4% di interessi, le banche non salvano proprio nessuno, se non se stesse, perché non fanno altro che indebitare ulteriormente il popolo e ricapitalizzarsi sulle nostre spalle.

Le banche fabbricano quattrini (la chiamano "immissione di liquidità") per consentire ad altre banche di fare soldi e generare dividendi. La questione non è ininfluente, perché è proprio a causa di quegli interessi maturati che oggi i pensionati, i lavoratori, i cittadini insomma, sono costretti a vendere le case, chiudere le loro imprese e - alcuni di loro - perfino a scegliere la strada del suicidio.

Fino a quando non ci renderemo conto che questo meccanismo perverso è sbagliato e rappresenta un cancro che divora dall'interno il benessere dei popoli, non risolveremo davvero il problema. E non sarà certo un governo di tecnici e di professori di economia, consulenti Goldman Sachs e banchieri, a poter gettare sul piatto soluzioni nuove, in grado di prospettare un futuro diverso nel quale la speculazione finanziaria assuma un assetto meno predatorio. Anzi: loro sono casomai parte del problema, avendo contribuito a costruire e poi ad alimentare questo mastodontico sistema di ingranaggi destinato fatalmente ad incepparsi, non appena il tasso di impoverimento costante che ne alimenta il movimento finirà per lievitare a livelli insostenibili.

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