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29/02/2012

L'Iran contro il suo presidente

Non si può dire che le elezioni parlamentari del 2 di marzo siano l’evento più atteso nell’instabile panorama geo-politico iraniano. Nonostante ciò, la prossima chiamata al voto per spartire i 290 posti del Majlis (Parlamento) ai 3.440 candidati in lizza svela un interessante slittamento di potere in seno allo statico sistema partitico iraniano.
Lontani sono i tempi in cui iraniani dalle diverse appartenenze sociali e politiche si riunivano sotto un’unica bandiera inneggiante libertà e democrazia dopo le presidenziali truccate del luglio 2009. L’Iran avanguardista sembra essersi assopito – in parte per la lunga serie di maltrattamenti, restrizioni, coercizioni ai quali è stato sottoposto in questi tre anni e in parte per la mancanza di un leader rappresentativo – e, sia la fazione riformista di Khatami, seppur con qualche disertore, sia i sostenitori di Mousavi e Karroubi, i due volti pubblici del ‘Movimento Verde’ trattenuti agli arresti domiciliari da un anno ormai, hanno deciso di boicottare le prossime elezioni.
Se una vera opposizione non è presente, ciò non vuol dire che lo scenario politico restante sia omogeneo. Affatto. Le elezioni parlamentari del 2 marzo fungono da cartina di tornasole dello (s)bilanciamento interno di potere nella Repubblica Islamica Iraniana e preparano il terreno per le elezioni presidenziali che si terranno a luglio 2013.
La selezione dei candidati alle parlamentari è avvenuta il dicembre scorso secondo i discutibili criteri del ministro degli interni e la supervisione del potente Consiglio dei Guardiani. Eliminati gli elementi avversi al regime, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è emerso come l’ultima scomoda pedina all’interno del composito scacchiere conservatore.
Come fonti iraniane riportate da Al-Akhbar affermano, “la frammentazione in seno al campo conservatore è dovuta alle chiare divisioni tra i sostenitori di Ahmadinejad e il gruppo cosiddetto dei ‘fondamentalisti’ artefice della sua salita al potere”.
Se Ahmadinejad, ‘umile’ uomo del popolo dai saldi valori tradizionali, aveva trovato l’appoggio incondizionato della Guida Suprema Khamenei nelle lontane presidenziali del 2005, il mutuo accordo tra i due ha subito una brusca svolta nell’aprile 2011. La base del disaccordo giace già in quel lontano 2005, quando Khamenei si era fatto ingannare dall’apparente mancanza di sostegno popolare ad Ahmadinejad e aveva deciso di accoglierlo sotto la sua ala protettiva. Per contro, il futuro presidente aveva strategicamente stretto a sé una corte di veterani e ideologi formatasi durante l’aspra guerra contro l’Iraq e, una volta ottenuto il potere grazie a Khamenei, aveva assegnato loro le poltrone migliori. Dalle elezioni del 2009, dove Khamenei si è trovato costretto a supportare Ahmadinejad per evitare di soccombere al potere riformista, il rapporto tra i due uomini dalle pari ambizioni è degenerato progressivamente.
Lo scorso aprile ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Prima Ahmadinejad licenzia il capo dei servizi segreti Heydar Moslehi e Khamenei risponde rovesciando l’ordine impartito e ristabilendo il suo personale controllo su un ministero dalla fondamentale importanza. Quindi, Ahmadinejad licenzia tre dei suoi ministri ma il Consiglio dei Guardiani dall’assoluto potere costituzionale lo taccia di aver esercitato un potere che non gli spetta. Nei mesi seguenti si susseguono scandali di frode e accumulamento di denaro pubblico – mai peraltro verificati – ai danni di Ahmadinejad e compagni.
Il tentativo del presidente Ahmadinejad di rafforzare la propria autorità personale si scontra oggi sia con il suo elettorato, che nel 2005 e poi ancora nel 2009 aveva creduto alle promesse di rinascita economica ma è stato penalizzato dalle sanzioni economiche seguite all’azzardata politica estera di Ahmadinejad, sia con la Guida Suprema che, in un regime teocratico come quello iraniano, ha potere assoluto non solo su questioni di ordine religioso ma anche e soprattutto statale.
Dopo la dipartita dell’Ayatollah Yazdi dovuta ad incomprensioni interne con il presidente, alle prossime elezioni parlamentari la fazione politica fedele ad Ahmadinejad non avrà alcuna guida spirituale a tesserne le lodi. Per Ahmadinejad e i suoi non si mette bene e, secondo ciò che riporta Al-Akhbar, “se gli uomini del presidente dicono che si aspettano di ottenere non meno di 100 seggi in parlamento, l’opposizione è convinta che si possono ritenere fortunati, se ne vincono 20”.
Le restanti fazioni politiche in gioco costituiscono due simili alternative a una leadership di stampo islamico fondamentalista.
Il più largo consenso va al Fronte Unito per i Fondamentalisti, creato dal volere del capo dell’Assemblea degli Esperti, Ayatollah Kani, e da clerici influenti con il supporto della Guardia Rivoluzionaria e dei Basiji (gruppo paramilitare artefice delle violenze scoppiate nel 2009). Questo gruppo politico ha mire presidenziali e, per tale motivo, sta stringendo alleanze con fondamentalisti di altri fronti, conservatori tra cui Ahmadinejad e perfino alcuni riformatori.
Il fronte Sumoud (Fermezza) è il più integralista tra i due ed è critico nei confronti del Fronte Unito per i Fondamentalisti e delle sue relazioni con gruppi politici più moderati, ma in particolare con Ahmadinejad. Il Sumoud vanta la protezione della Guida Suprema – da qui deriva la sua graduale avversione nei confronti del presidente – e si avvale del supporto di una figura pubblica come il disertore Ayatollah Yazd.
Se Ahmadinejad stringesse alleanze sotto banco per ottenere più seggi alle prossime elezioni, o se la Guida Suprema convenisse che è ‘nell’interesse del paese’ spargere tali voci tra i candidati, le fazioni fondamentaliste metterebbero in atto quello che hanno già espresso verbalmente: fare fronte comune contro “l’impostore”.
In Iran di rado le cose avvengono per volere di qualcuno che non sia la Guida Suprema e il Consiglio dei Guardiani. Qualora la situazione storico-politica – appesantita dalla minaccia militare congiunta d’Israele e Stati Uniti – lo richiedesse, le cariche supreme non impiegherebbero molto ad abbracciare una politica repressiva e ultra-conservatrice e a sostituire la Repubblica Islamica Iraniana con una temibile teocrazia. Con gravi ripercussioni sia a livello nazionale che globale.

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