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21/02/2012

Grecia, la crisi della democrazia

La sospensione della democrazia come prezzo da pagare per rimanere nell’euro. Un inquietante teorema emerso la prima volta lo scorso novembre con il ‘no’ di Bruxelles al referendum greco sulle misure d’austerità e ad elezioni anticipate in Italia, riconfermato in questi giorni dalle clamorose dichiarazioni tedesche sull’inopportunità di un voto anticipato in Grecia, annunciato per aprile.

 Una piega ideologica, questa presa dall’Ue germanocentrica, che preoccupa non più solo certi ambienti politici e culturali. Fa un certo effetto leggere sul Financial Times (certamente non euroscettico, né comunista, né nazionalista) un editoriale intitolato “Se la Grecia vuole la democrazia deve andare in default”, nel quale una delle firme di punta della testata, il tedesco Wolfgang Münchau, scrive: “Quando Wolfgang Schäuble ha proposto che la Grecia rimandasse le elezioni come condizione per ulteriori aiuti, ho capito che il gioco stava per essere smascherato: siamo arrivati al punto in cui il successo non è più compatibile con la democrazia”.

“Il ministro delle Finanze tedesco – continua l’editoriale del Ft – vuole prevenire una scelta democratica ‘sbagliata’, rinviando il voto o suggerendo come esito un governo di coalizione a prescindere dal risultato elettorale. L’eurozona vuole imporre la propria scelta riguardo al governo alla Grecia, prima colonia dell’eurozona” (in realtà la seconda, visto che lo stesso Schäuble ha indicato l’Italia come esempio da seguire, ndr). “Una cosa è che i creditori interferiscano nella gestione delle politiche del Paese debitore – prosegue l’editorialista tedesco – ben altro è dirgli di sospendere le elezioni o di attuare scelte che stacchino il governo dai risultati del processo democratico”
“La Grecia non ha una buona fama per quanto riguarda il rispetto delle politiche concordate, quindi la sfiducia è comprensibile. Ma l’eurozona sta andando oltre, pretendendo garanzie incredibilmente estreme”.

Tre le “scelte democratiche sbagliate” che i greci farebbero votando ad aprile, e che l’intellighenzia europea e tedesca vorrebbero evitare a ogni costo, c’è la prevedibile massiccia avanzata elettorale dei partiti di estrema sinistra. Secondo gli ultimi sondaggi, il Partito socialista (Pasok) che oggi sostiene il governo ‘tecnico’ di Lucas Papademos insieme ai conservatori di Nea Demokratìa, crollerebbe dal 44 all’11 per cento. A beneficiarne saranno il Partito comunista (Kke), che raddoppierebbe dal 7 al 14 per cento, la Sinistra radicale (Syriza) che dal 4,6 salirebbe addirittura al 13,5 per cento, ma soprattutto il nuovo partito Sinistra democratica (Dimar) che debutterebbe con un clamoroso 16%. Nea Demokratìa, pur scendendo dal 33,5 al 27,5 per cento, rimarrebbe il primo partito, ma dovrebbe comunque vedersela con una massiccia opposizione parlamentare di sinistra.

A terrorizzare l’establishment dell’eurozona sono le voci di una possibile alleanza elettorale tra Kke e Syriza, che insieme potrebbero puntare a un’autonoma maggioranza di governo. I commentatori politici greci escludono questa eventualità, viste le rivalità e i personalismi che affliggono (anche) la sinistra ellenica. Anche se la possibilità di veder sventolare la bandiera rossa sull’Acropoli è assai remota, un forte avanzamento delle sinistre al Parlamento di Atene basta e avanza, a Bruxelles, Berlino e non solo, per giustificare una sospensione della democrazia.

Fonte.

Se non è fascismo questo... (va da se che l'incapacità della sinistra d'organizzarsi e coalizzarsi fa tanti danni quanto la finanza liberista).

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