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20/02/2012

Autoritarismo senza sovranità: prove di terza repubblica in Italia

La notizia della bozza di accordo tra Pd, Pdl, Udc sulle riforme costituzionali va naturalmente presa con il beneficio di inventario. Molte sono le variabili politiche ed economiche sul campo, da oggi alla fine legislatura, per poter affermare che la bozza diventerà realtà. Di sicuro l’accordo tra i tre partiti serve da surrogato di intesa politica per arrivare fino al 2013. Non potendo darsi un accordo politico di legislatura, tra partiti che pescano tutti in un elettorato che tendenzialmente li vuole avversari, si cerca di mantenere almeno sulla carta un profilo alto, di interesse nazionale che legittimi un’intesa che porti fino alle prossime elezioni. Ponendo anche le condizioni per una trattativa sulla successione di Napolitano anch’essa prevista per il 2013. I contenuti della bozza, perché riflettono lo spirito del tempo, vanno però presi sul serio. Perfino la riduzione dei parlamentari, stimata attorno alle 200 unità, che non appare però una semplice concessione al vento impetuoso della richiesta di riduzione dei "costi della politica". Qui parliamoci chiaro: il bicameralismo perfetto, voluto dalla costituzione, non è inutile solo dal punto di vista nazionale del nuovo liberismo (inteso come la tecnologia di governo della dittatura dei parametri finanziari, degli algoritmi e degli indici di performatività). Lo è soprattutto dal punto di vista continentale. L’esempio greco parla chiaro: già nel mondo liberista è complessa la mediazione tra banche, banca centrale, Ue, parlamento europeo ,sulle politiche nazionali che un paese membro deve adottare, figuriamoci se si devono fare anche conti con lente procedure di formalizzazione della accettazione e magari anche del dissenso in uno stato sovrano. L’accelerazione del processo decisionale, come dei conflitti, tipica della connessione tra tecnologie della comunicazione e finanziarizzazione del mondo, deve ridurre quanto più possibile la differenziazione formale delle decisione soprattutto al livello terminale degli stati. Federalizzazione del senato, premierato con poteri vincolanti sui ministri e sul governo, riduzione dei parlamentari sono così temi di una bozza di accordo che sembra guardare al vecchio, al berlusconismo o a qualche tema leghista, ma che in verità è ben connessa con i sensori delle commissioni Ue e dei tavoli di discussione sull’unificazione fiscale dell’Europa o sul dispositivo di stabilizzazione monetaria (Sme, che sostituirà il precedente fondo presumibilmente entro l’anno).  Per non parlare delle agenzie di rating che le riforme istituzionali le valutano sui mercati con effetti, nonostante le affermazioni di comodo di qualche commentatore patriottico, automatici sulle scelte di investimento dei grandi fondi sovrani o degli hedge fund. Se c’è quindi un filo comune nella bozza di accordo tra Pd, Pdl e Udc sta in questa nuova fase di economizzazione e verticalizzazione delle decisioni del potere centrale italiano che, è il caso di dirlo, per ristrutturarsi guarda alla domanda presente nel mercato estero della politica. Se commissione Ue, agenzia di rating e banche giudicheranno tutto questo come insufficiente allora, se ne può star certi, si passerò ad altra agenda politica.
Curioso che nella bozza di intesa non si parli più del pareggio di bilancio in costituzione, vera costituzionalizzazione del liberismo in Italia. E’ possibile che non la si sia inserita per non rovinare l'equilibrio politico che ha costruito il valore di questa vera e propria cambiale a governare, per Mario Monti, che questa bozza rappresenta. Ma è anche probabile che questo dibattito sia superato dagli eventi. Se il fiscal compact, l’armonizzazione delle politiche fiscali e di bilancio decisa a livello Ue e governata dalla Germania, vedrà veramente la luce non ci sarà bisogno di inserire alcuna costituzionalizzazione del pareggio in bilancio (a meno che non si finisca per chiederlo all’Italia solo  al momento opportuno, anche perché c’è molta confusione in materia).  Se lo SME, il sistema di stabilizzazione finanziaria continentale, sarà ultimato si arriverà poi ad un livello di autonomia completo delle istituzioni sovranazionali nei confronti di qualsiasi paese (lo SME ha esclusivamente potere coercitivo sugli altri paesi, non può subire alcun procedimento giuridico dai paesi membri e non è tenuto alla trasparenza degli atti, ecco il medioevo legale-monetario che sta dietro la retorica di Napolitano sull’Europa).  A quel punto la costituzionalizzazione del bilancio la puoi mettere o meno tanto le politiche fiscali e di budget diventano automatismi sovranazionali estremamente più accentuati di oggi e i fondi per la stabilizzazione finanziaria li decide un organismo irraggiungibili dagli ordinamenti nazionaliti. Assumendo così uno stato quasi metafisifico, al di là del bene e del male.  Il nuovo (si fa per dire) impeto liberale italiano, impersonificato dalla maschera di Alfano come quella di Casini e Bersani,  risponde quindi con l’autoritarismo a quello che è uno conclamato processo continentale che prevede una secca perdita di sovranità, senza contropartite, da parte dei buona parte degli stati membri (ma non tutti). Un’autoritarismo senza sovranità non è un paradosso: è solo uno spostamento nelle modalità di esercizio del potere nazionale. Che viene esercitato in virtù dell’essere nodo di un dispositivo dove il potere nazionale non è conferito tanto, a parte le forme, dalla sovranità popolare. Ma dalla forza fenomenotecnica, sovranazionale, finanziaria, di governance del dispositivo stesso. Che per legittimare su base nazionale chiede economicità e verticalizzazione dei processi decisionali in loco. Non ha poi tanta importanza se il fiscal compact è ancora, nonostante le dichiarazioni ufficiali, un’astronave giuridico-fiscale per niente completata o se lo SME, nonostante che il parlamento italiano lo debba approvare entro l’estate, debba ancora trovare forma, fondi e funzioni definite. Ad ogni necessità di ristrutturazione il potere istituzionale italiano si farà comunque più autoritario e il maggiore partito del centrosinistra si sposterà più a destra.  Questa si che è una regola aurea. Destinata a durare fino a che questo sistema tolemaico e autoreferenziale della politica italiana non verrà crepato dalle istanze, anche centrifughe, della complessità sociale.


Come di consueto una validissima analisi, che chiarifica la migrazione del potere politico italiano verso la rappresentanza parlamentare della finanza globale, in netta antitesi con la Prima Repubblica in cui i partiti erano referenti e strozzini del capitalismo nazionale, ma anche con la Seconda, in cui la politica divenne il braccio istituzionale di una capitalismo personificato, che per 20 anni ha fatto il doppio gioco con la finanza estera, salvo essere violentemente disarcionato non appena tentò di prendere troppo il largo.

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