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31/01/2012

Le guerre di Bush: un bilancio

Con i ritiro delle truppe americane, nei giorni scorsi, si è chiusa (almeno per ora) la guerra in Irak. Per il ritiro dall'Afghanistan occorrerà attendere qualche tempo, ma, a quanto pare, non oltre il 2014. Dunque, è tempo di un bilancio a partire dagli obiettivi che gli Usa si ripromettevano di conseguire. Partiamo dall'Afghanistan. Il motivo ufficiale era la cattura di Osama Bin Laden e del Mullha Omar oltre che la distruzione di Al Quaeda. Come è noto, Bin Laden è stato ucciso il 2 maggio 2011, ma il Mullha Omar è ancora uccel di bosco, mentre Al Quaeda, pur seriamente e ripetutamente colpita non è del tutto sconfitta.
Ma questi erano solo gli obiettivi dichiarati. Gli Usa si ripromettevano molto di più: inserirsi stabilmente al centro dello spazio strategico sino-russo esercitando una pressione su tutta l'area centro asiatica. Quello che presupponeva la creazione di uno stabile regime filo-Usa che garantisse la presenza di basi americane immediatamente a ridosso della Cina (con la quale l'Afghanistan confina attraverso una stretta striscia di terra dell' Hindukush). Considerando anche le basi presenti ad Okinawa, nella Corea del Sud ed in Pakistan, questo avrebbe consentito di tenere la Cina sotto minaccia da più fronti ed autorizzato la presenza americana in tutte le vicende asiatiche.

Da questo punto di vista, i risultati sono tutt'altro che positivi: probabilmente gli americani otterranno la concessione di basi in Afganistan, ma, per quanto la guerra non sia ancora conclusa, nulla fa presagire che, quando gli americani torneranno a casa, a Kabul ci sarà un regime particolarmente solido ed amico degli Usa. E non solo perchè i talebani appaiono tutt'altro che sconfitti, ma anche perchè lo stesso "alleato" Karzai non appare particolarmente affidabile, come dimostra l'accordo concluso a maggio con il Pakistan e l'Iran. Soprattutto, la guerra decennale con i talebani ha logorato i rapporti con il Pakistan, spingendolo definitivamente fra le braccia della Cina. Islamabad ha giocato una partita molto ambigua con i talebani e con Osama Bin Laden (chi mai potrà credere che l'Isi non era al corrente della presenza di Osama nel compound di Abbotabad dove abitualmente passano le vacanze i più alti ufficiali pakistani?). Inoltre non sembra del tutto un caso che tutti i maggiori capi di Al Quaeda sin qui caduti, sono stati sorpresi in città pakistane (Khalid Sheikh Mohammed a Rawalpindi, Abu Zubaydah a Faisalabad, Ramzi Binalshibh a Karachi). Tuttavia, non è un gioco di cui gli americani fossero inconsapevoli (diversamente, dovremmo credere che la Cia e tutti i servizi segreti americani sono solo una manica di inetti mangiapane a tradimento) e, per una serie molto complessa di ragioni avevano deciso di stare al gioco. Poi quello strano equilibrio si è frantumato e la morte di Osama, lungi dal rinsaldare i rapporti con Islamabad (come sarebbe stato logico fra due alleati che colgono un risultato decisivo) ha avviato una crisi sempre più profonda dei rapporti pakistano-americani. Con l'ulteriore risultato di aggravare le tensioni fra India e Pakistan e, di riflesso, fra India e Cina che rappresentano oggi la linea di faglia più pericolosa del Mondo.

Dunque, un risultato complessivamente molto negativo che molto difficilmente potrà essere ribaltato o anche solo riassorbito dallo scorcio di guerra che resta ancora.

Ancora più critico appare il bilancio dell'impresa irakena di Bush.
Lasciamo da parte i motivi ufficiali (le mitiche armi di distruzione di massa di Saddam, che nessuno ha trovato e nessuno ha cercato perchè nessuno credeva che esistessero davvero) e veniamo al sodo. Le mire erano diverse: scontata quella di mettere le mani su una delle più ricche riserve petrolifere del pianeta, anche in questo caso l'obiettivo era quello di consolidare un regime "amico" da usare come base di condizionamento dello scacchiere mediorientale. Ma non solo questo; la seconda guerra del Golfo fu anche il test di prova per quella "coalizione dei volenterosi" raccolta intorno agli Usa che avrebbe dovuto soppiantare tanto l'Onu (dove gli USa non in tendevano più fare i conti con il diritto di veto di Russi, Cinesi e persino Francesi) quanto la Nato resa "inutile" ai fini della politica americana dalla riottosità degli "alleati" francesi e tedeschi.

L'unilateralismo di Bush fu la massima espressione del progetto "per un nuovo secolo americano", un compiuto progetto imperiale che intendeva stabilizzare l'ordine monopolare come nuovo ordine mondiale definitivo. Questo avrebbe richiesto una schiacciante vittoria in tempi brevissimi ed, almeno sulla carta, i rapporti di forza erano tali da rendere inimmaginabile un risultato diverso. In effetti, le forze armate di Saddam furono schiacciate in una manciata di settimane. L'imprevisto è stato la guerra asimmetrica delle forze islamiste che trovarono un insperato aiuto nella decisione americana di sciogliere l'esercito irakeno, con la conseguenza di consegnare alla guerriglia molte centinaia di uomini addestrati ed armati.

La guerra è durata otto anni, è costata alla coalizione occupante più di 4.000 morti (in massima parte americani). Per gli Usa il costo economico, sinora, è stato di circa 700 miliardi di dollari che si sommano ai quasi altrettanti della guerra in Afghanistan, ma a questi costi dovremmo aggiungere quello occulti e quelli futuri (per la smobilitazione, per le ultime operazioni di guerra in Afghanistan, per le pensioni di invalidità e di reversibilità per i caduti, ecc) che il premio Nobel Joseph Stigliz e Linda Bilmes, calcolano a circa 3.000 miliardi la sola guerra dell'Irak. Ma, anche stando alle sole cifre ufficiali abbiamo un totale (ancora parziale) di circa 1.500 miliardi che rappresentano i ¾ dell'aumento al tetto di debito pubblico richiesto da Obama al Congresso ad agosto. E, comunque il 10% del debito pubblico totale dell'Amministrazione Usa, considerando anche gli interessi versati in proporzione durante questi 10 anni.

A fronte di questi costi, i risultati ottenuti dagli americani sono stati praticamente nulli. Il regime di Saddam è stato abbattuto, ma quello che gli americani lasciano è un paese tutt'altro che stabile, a rischio di dissoluzione fra i tre gruppi principali (curdi, sunniti e sciiti).
Ma, soprattutto, è sconfitto il progetto unilateralista ed appare fortemente a rischio anche la prospettiva monopolare: la guerra è durata 10 anni in un caso ed 8 nell'altro, e con avversari di forza relativamente modesta. Già una guerra a terra con l'Iran (e probabile guerriglia in caso di occupazione) appare oggi come un impegno economico maggiore dei precedenti e non alla portata di Stati Uniti alle prese con il pareggio di bilancio. Nel frattempo, il divario fra il potenziale bellico americano e quello degli altri grandi soggetti mondiali (Cina, ma anche Russia, India, Brasile) si è modificato a svantaggio degli Usa. La preminenza militare americana è ancora netta e, ancora oggi, non si profila una coalizione in grado di reggere una guerra convenzionale con gli Usa. Ma, appunto, una guerra convenzionale. Ancora nel 2004 la spesa militare degli Usa eguagliava quella di tutti gli altri paesi del Mondo; oggi la proporzione si è modificata a svantaggio degli Usa ed ancor più è probabile che si modifichi nei prossimi anni, se davvero gli Usa taglieranno il disavanzo di bilancio che, per ora, è di circa il 35%.

Dunque, il progetto imperiale americano, pur non definitivamente sconfitto, ha subito un severo ridimensionamento che la crisi rende ancora più duro.

Fonte.

Belìn, quello che sì dice un successo!

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