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18/01/2012

Il mosaico ingarbugliato dei bidoni della Grimaldi

Parole, parole, soltanto parole. L’allarme rosso delle istituzioni parte in notevole ritardo. Tranquilli: ora arriva il chiacchierato ministro Clini, un discutibile esperto che in passato ha avuto le mani in pasta coi rifiuti. «Individuarli e recuperarli è una questione di carattere nazionale e non bisogna perdere altro tempo» taglia corto il governatore Rossi. L’individuazione e il recupero dei bidoni contenenti sostanze pericolose persi nel santuario marino lo scorso 17 dicembre dal cargo Venezia dell’armatore Grimaldi Lines, devono «diventare una questione di carattere nazionale» e «non bisogna perdere altro tempo»
E’ la richiesta avanzata dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. «Serve un’autorità di carattere nazionale - ha sottolineato - una commissione tecnico-politica, che possa usare tutti i mezzi necessari. Non vorremo che rimpalli di responsabilità o lentezze nel finanziamento bloccassero l’operazione». Siamo alla punta dell’iceberg. Col beneplacito dello Stato al largo della Toscana sono stati inabissati rifiuti pericolosi d’ogni genere per decenni. Lo studio scientifico - Rifiuti a galla - consegnato mesi fa da Greenpeace ai governatori della Liguria e Toscana è inequivocabile.
Burlando e Rossi da allora, però, non hanno mosso un dito.

Mosaico ingarbugliato
Il comandante del cargo Venezia Pietro Colotto (l’unico indagato per ora) aveva fissato alle 5,20 l’impatto con un’onda di 10 metri che aveva causato una rollata di 37 gradi. E aveva aggiunto di essersi accorto di aver perso i camion solo all’arrivo a Genova, dove aveva formalizzato la denuncia. La nostra fonte anticipa l’orario («poco dopo le 3») e assicura che «nella notte si parlava già di due camion in mare. C’era l’allerta meteo, in molti dovevano essere in ascolto: capitaneria, finanza, porticcioli...».
Possibile aver saputo dei camion e solo dopo del contenuto? Assai improbabile: perché, spiega la nostra fonte, «la procedura per le merci pericolose (Hazmat, hazardous material) prevede che la capitaneria di partenza dirami un messaggio al comando di Roma con descrizione di carico, rotta, eccetera. Quel carico viene monitorato durante il viaggio. Tutti sanno.».
Tra le domande che si pone anche il magistrato Luca Masini c’è quella dell’opportunità di salpare con determinate condizioni meteo. I bollettini del 16 e del 17 dicembre indicavano tempeste, venti forti di libeccio, mari molto mossi, possibilità di onde superiori ai cinque metri davanti alle coste toscane e liguri. Il comandante Colotto dice che è stato un evento straordinario, «un mare mai visto in Mediterraneo». La Grimaldi, gruppo di cui fa parte la società armatrice Atlantica, scrive che quest’ultima «dopo l’incidente si è subito attivata per ottemperare alle richieste della capitaneria di Livorno, senza che ciò costituisca un riconoscimento di responsabilità, essendo stata la perdita dei due semirimorchi un evento determinato unicamente da un atto di forza maggiore.» Aggiunge la Grimaldi che «i fusti si sono persi in una manovra decisa dal comandante per salvare vite, oltre che la nave, e che «il nostro iniziale silenzio era necessario per rispetto verso le autorità che indagano».
Ci sono altri aspetti da appurare, come l’ancoraggio. E’ normale che quei semirimorchi fossero sul ponte di coperta? Ma erano rizzati bene, cioè assicurati coi cavi? E i ganci erano collaudati? Spetta alle compagnie portuali, ma Grimaldi di solito provvede in proprio. E poi ci sono quelle sostanze di cui conosciamo sigle, utilizzo ma sulla cui pericolosità sappiamo poco: catalizzatori cobalto-molibdeno, usati per raffinare il petrolio, infiammabili al contatto con l’aria. E in acqua? Alla raffineria Isab di Priolo, di proprietà Erg (i famigerati inquinatori Garrone che hanno già assassinato un pezzo della Sicilia orientale) e Lukoil, che li aveva rispediti in Lussemburgo per farli ricaricare, manco sapevano di averli persi. O almeno così dicono.

Dubbi ecologici
Che ci faceva una nave carica di materiale inquinante nel bel mezzo del Santuario dei Cetacei con un mare forza 9/10 e onde di 10 metri? La storia delle 40 tonnellate di catalizzatore Co.Mo (cobalto-molibdeno) disperse dall’“Eurocargo Venezia” della Grimaldi Lines al largo di Livorno, all’alba del 17 dicembre 2011, ha parecchi punti oscuri.
«La logica vorrebbe che con quelle condizioni il comandante cerchi un riparo ma fermare una nave costa. O ci pensa un’Autorità a bloccare il traffico marittimo in caso di maltempo. Succede per le autostrade, perché non in un’area marina che dovrebbe essere protetta? Oppure decide l’armatore e qualcuno che ha voglia di “correre il rischio” si trova sempre», osserva Alessandro Giannì di Greenpeace. Ma in un’area di mare protetta - il Santuario - non dovrebbero esserci regole che permettono di fermare i trasporti di sostanze pericolose in caso di burrasca? «Purtroppo dentro o fuori il Santuario non cambia praticamente nulla. Anche se la legge di ratifica dell’Accordo sul Santuario ha più di dieci anni, non è stato fatto niente di serio per tutelare questo mare che, oltre a balene e pesci, ospita milioni di persone che popolano le sue coste», spiega l’esperto Giannì.
Il carico sarebbe contenuto in fusti chiusi, ma l’elicottero della Capitaneria, che ha sorvolato l’area, di fusti galleggianti non ne ha trovati: è sicuro che i fusti fossero chiusi? Dentro i fusti, il prodotto sarebbe poi “protetto” da un solido involucro di plastica (i bustoni d’immondizia formato condominiale?) “chiuso con un nodo fatto a mano”, come informa la comunicazione della Capitaneria ai pescatori.
Anche questa comunicazione arriva in ritardo, solo il 2 gennaio: chi ha deciso che questo doveva essere il primo disastro del 2012 e non l’ultimo del 2011? La medesima comunicazione della Capitaneria chiarisce che il materiale in questione non è acqua di colonia poiché raccomanda di non tenere a bordo eventuali fusti “pescati” ancora chiusi, trainandoli fino a sito da concordare con l’Autorità, cercando di stare sottovento “rendendo l’equipaggio meno esposto”. A cosa?
Il catalizzatore Co.Mo. può rilasciare anidride solforosa e/o idrogeno solforato: sono entrambi irritanti, ma l’ultimo può essere, oltre certe dosi, letale. Del resto anche cobalto e molibdeno sono contaminanti pericolosi. Se il cobalto è noto per causare anche danni al fegato, il molibdeno si distingue per diarrea e anemia.
Fare oggi previsioni sugli effetti verosimili di questa ennesima contaminazione del Santuario dei Cetacei è impossibile. Inoltre, la Capitaneria informa che “nel caso in cui dal sacco della rete [da pesca] si sprigioni calore, si dovrà provvedere a irrorare lo stesso con getto d’acqua continuo e a bassa pressione.”
Insomma, è roba che va in “autocombustione a causa del contatto del prodotto con l’aria”. «C’è di che scaldare gli animi al “tavolo tecnico” che , le Regioni Liguria e Toscana hanno promesso di convocare entro febbraio, per discutere finalmente dopo dieci anni di una gestione seria del Santuario dei Cetacei. Sperando che non ci siano altri disastri nel frattempo», denuncia l’ecologista Giannì.

Morti due pescatori
Sei vittime tra i lavoratori del mare in circostanze nebulose negli ultimi tredici anni. Al largo di Livorno la cronaca di questi giorni è spietata. Rete impigliata: il peschereccio Santa Lucia II affonda. Morto il padre, disperso il figlio. Un terzo membro dell’equipaggio è stato recuperato in fin di vita. Il comandante si chiamava Silverio ed aveva 64 anni. Il figlio Davide, appena 37 primavere. Strano incidente: mare piatto, cielo sereno, nemmeno un filo di vento, attestano i bollettini meteorologici. La rete si impiglia in un ostacolo sul fondale: la barca si inabissa e i tre uomini spariscono nei flutti. I pescatori del Santa Lucia non sarebbero riusciti a inviare nemmeno un primo SOS.
L’incidente è avvenuto a circa 16 miglia circa a sud del porto cittadino. «Sembra che a provocare l’incidente sia stato un problema con la rete - dice Cosma Scaramella, capo del reparto operativo della guardia costiera livornese - E’ possibile si sia impigliata in qualcosa sul fondo e abbia fatto capovolgere lo scafo
I Curcio, originari di Ponza: una famiglia segnata dal destino. Correva il 13 settembre 2003 quando a 12 miglia da Piombino il San Mauro Primo fu sventrato dalla nave Jolly Blu, della compagnia Messina, già coinvolta nel nebuloso naufragio della Jolly Rosso in Calabria (anno 1990). A lasciarci la pelle fu Pasquale Curcio. Il suo corpo fu recuperato solo in seguito alle suppliche della famiglia al presidente della Repubblica Ciampi: il 5 febbraio 2004, a 120 metri di profondità. Altro che sfortuna. Al contrammiraglio Ilarione Dell’Anna ho chiesto se esiste un qualsivoglia nesso con la presenza sui fondali dell’arcipelago toscano di ostacoli particolari. Risposte? Al momento, zero.
Ultima pessima notizia. Una tartaruga Caretta Caretta di circa 70 centimetri è stata recuperata dai sommozzatori dei vigili del fuoco all’interno del porto di Livorno. La testuggine marina, al momento dell’operazione, era già morta. La tartaruga, pesante circa 20-25 chili era stata segnalata intorno alle 10 dalla Guardia Costiera che ha inviato sul posto il personale dei vigili del fuoco del distaccamento porto. Segnali inquietanti? Non si muore per caso.

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