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25/01/2012

Finanza, un Drago nella geografia imperiale

Siamo alla quarta puntata di una serie di articoli sulle manovre della Cina per ridefinire la propria presenza sui mercati finanziari globali. Dopo l’apertura di Pechino alle “vendite allo scoperto”, abbiamo cercato di capirne le ragioni interne e infine ipotizzato una “lunga marcia dello yuan” che potrebbe emarginare gradualmente l’euro, per poi puntare al primato globale del dollaro. Oggi assumiamo il punto di vista europeo.

Fino a qualche mese fa, molti analisti ritenevano che la Cina non avrebbe fatto entrare la speculazione finanziaria in casa propria. Le accuse di Pechino all’”imprudenza” Usa che avrebbe provocato la crisi, lasciavano intendere che il Dragone avrebbe continuato a investire in asset produttivi e non finanziari. Oggi la Cina ci sorprende per l’ennesima volta con una serie di scelte strategiche che lasciano intendere una voglia di protagonismo anche sui mercati, proprio mentre l’Europa annaspa e ci si interroga sul futuro dell’euro. Che cosa significa?
Proviamo a capirlo con Andrea Fumagalli, docente di economia politica all’Università di Pavia e ricercatore per il collettivo UniNomade.

Con le vendite allo scoperto, la Cina si apre alla finanziarizzazione dei mercati. Poi sbarca a Londra e la fa diventare la maggiore piazza offshore per gli scambi in yuan. Sembrerebbe che ci sia in corso una manovra di graduale emarginazione dell’euro in direzione di un asse sino-anglo-statunitense.
C’è chi ritiene che l’euro imploderà, non perché ci sia una crisi del debito pubblico di Paesi come la Grecia, l’Italia e la Spagna, ma perché la Germania ha intenzione di abbandonarlo. Questo dipende essenzialmente dai rapporti che Berlino ha con la Russia, per l’approvvigionamento energetico, e con l’Oriente per il commercio. A questo punto, potrebbe crearsi un asse tedesco-cinese che passa anche per Mosca.
Si tratta però di una scelta difficile per la Germania. Fuori dall’euro potrebbe forse fare un accordo con i Paesi scandinavi per creare una nuova valuta comune forte; ma questo penalizzerebbe le sue esportazioni che, nonostante la crisi, stanno crescendo. Il vantaggio potrebbe invece essere quello di assumere un ruolo di prima fila nella “geografia imperiale”, tra Usa e Cina. In definitiva, si tratterebbe di una scelta più antistatunitense che antieuropea e io non ci credo troppo, anche perché ritengo che abbiano fatto un “buon lavoro” le oligarchie finanziarie, mettendo al potere Papademos in Grecia e Monti in Italia. Infatti della Grecia non si parla quasi più, perché la pressione speculativa ha già ottenuto i guadagni che voleva. Quanto all’Italia, lo spread resta alto sui bond decennali, che scontano aspettative di instabilità a livello globale, ma se si osservano quelli a breve termine, che rivelano aspettative sul singolo Paese, si sono praticamente dimezzati.
Insomma, bisogna riconoscere che le oligarchie finanziarie hanno lavorato bene per i propri interessi.

Perché la Cina si sta gettando nella mischia?
Le vendite allo scoperto consentono di non impegnare denaro. Uno prende un titolo a prestito e lo ripaga solo dopo averlo venduto-ricomprato, cioè quando ha già il suo profitto.
Questa operazione fino a ieri in Cina era vietata. Il fatto che a breve potrebbe essere consentita lascia aperti molti scenari: chi potrà fare vendite allo scoperto? In che modo? Lo potranno fare solo Bank of China e grandi investitori istituzionali o anche il cinese-individuo? Se, come è presumibile, sarà solo il governo cinese a poter operare, vorrà dire che ha deciso di recuperare liquidità attraverso la speculazione finanziaria. Magari costituirà delle società in grado di competere con Merryll Linch, Goldman Sachs, eccetera.

In Cina c’è anche il problema del credito alle piccole-medie imprese. Le banche non riescono più a sostenere l’impresa privata e quindi le autorità stanno cercando di fare emergere il “credito ombra”, in pratica gli ex strozzini, per costituire un sistema finanziario alternativo a quello tradizionale. Ci vedi un nesso?
L’illegalità sposta avanti l’asticella della legalità. La Cina è ormai diventata il centro della produzione tecnologica. Dal 2007, secondo i dati Ocse, ha superato Usa e Giappone nell’export in quel settore. Da anni, il centro della produzione tecnologica e della produzione in genere si va spostando da Occidente a Oriente. Invece il centro finanziario è rimasto formalmente in Occidente. Oggi potremmo assistere a un tentativo dell’Oriente di entrare nel salotto buono della finanza.
A livello interno cinese, questo si traduce nella creazione di un flusso di liquidità che risolve alcune contraddizioni dello sviluppo economico.

Cosa bisogna tenere d’occhio a questo punto?
Il mercato dei derivati. Secondo gli ultimi dati, JP Morgan, da sola, controlla 72mila miliardi di dollari di derivati, cioè più di tutto il prodotto interno lordo del mondo. Bisognerebbe capire che cosa farà la Cina con i derivati, se verranno liberalizzati, se il governo riuscirà a controllarli.
Per quanto riguarda l’Europa, sarà interessante capire quanti di questi capitali cinesi, di questa nuova liquidità, saranno investiti nel Vecchio Continente. Sicuramente la Cina sta diversificando il proprio portafoglio, comprando titoli del debito europeo, e poi ci sono gli investimenti nella logistica: i porti e le infrastrutture.
Poi c’è la governance dei mercati finanziari. Già da tempo, Cina e Russia hanno proposto di sostituire il dollaro, come valuta universale di scambio, con una nuova supervaluta: i Diritti speciali di prelievo (Sdr). Può darsi che stiano sfruttando le difficoltà dell’Europa, che sono indirettamente anche difficoltà degli Usa, per conseguire questo piano. E in questo caso si ritorna al possibile asse Cina-Russia-Germania, che spiegherebbe anche la rigidità di Berlino verso i Paesi più deboli di Eurolandia: se non rispettate i parametri, me ne vado.

Fonte.

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