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19/12/2011

La foglia di fico della Tobin tax

Come nella vignetta di Giannelli di ieri - «destra-sinistra, destra-sinistra» contro un sacco da boxe - Mario Monti si sposta di continuo per non farsi inquadrare come «di parte».
Presentando una manovra obiettivamente «di destra», che punisce lavoratori e pensionati, presenti e futuri, giovani e anziani, ha tirato fuori dal cilindro un «cambio di linea» sulla Tobin tax. Si tratta della proposta, non nuovissima, di tassare le transazioni finanziarie. In misura peraltro modica, come suggeriva il premio Nobel per l'economia James Tobin già nel 1972 (lo 0,05 o lo 0,1%), in modo da non intralciare le normali operazioni di compravendita di titoli o azioni, generando però un introito molto interessante per gli stati che la introducono.
Nulla di «socialista», è bene dirlo. Equivale ad alzare di un millesimo il prezzo della benzina: chi va al distributore nemmeno se ne accorge. La cosa strana, semmai, è che non sia stata introdotta molto prima, visto che quasi tutti gli stati occidentali - compresi quelli che ospitano le maggiori piazze finanziarie - hanno da molto tempo problemi di debito pubblico. È così poco rivoluzionaria che il 23 gennaio verrà proposta da Sarkozy e Merkel - due premier di destra, ma vicini alla campagna elettorale - in modo complementare ad altre dello stesso tipo ora all'esame dell'Unione europea.
Parlando al Senato, Monti ha semplicemente annunciato che nel corso dell'ultimo vertice europeo aveva «notificato che l'Italia è disposta a cambiare la propria posizione». Ossia quella di Tremonti e Berlusconi, che avevano fin qui espresso una totale chiusura (ma quanti «amici» hanno le banche e le finanziarie...). Ineccepibile anche la motivazione: «è impossibile dire 'basta tasse'» - come stavano in quel momento gridando i leghisti, con tanto di cartelli in mano - «ma è possibile allegerire il loro peso su imprese e famiglie» tramite, appunto, una qualche forma di Tobin tax.
Quasi a compensare immediatamente questo «sbilanciamento» su un argomento piuttosto «ideologizzato» nel teatrino politico italiano, Monti ha insistito sulla necessità di creare «uno strumentario più orientato alla crescita». Precisando però subito che non avverrà «finanziando in disavanzo» gli investimenti, ma con «adeguate riforme strutturali» come quelle contenute nella manovra o nella prossima «riforma del mercato del lavoro».
E qui la questione della credibilità del governo dei «professori» (o «delle banche») vacilla seriamente. In un solo mese, infatti, questo esecutivo ha fatto marcia indietro un numero molto alto di volte; e non su temi marginali. La patrimoniale, per esempio, è scomparsa quasi immediatamente dal suo vocabolario; l'aveva chiesta persino Confindustria, ma Berlusconi era contrario. Poi è toccato all'aliquota più alta per i redditi sopra i 75mila euro. Negli ultimi giorni è stata attenuata anche la sovrattassa sui capitali «scudati» (dall'1.5% all'1, infine all'1,35). Nel testo finale, per sicurezza, è stato concesso un anno in più al fisco per recuperare le somme dovute dagli evasori che avevano ottenuto un «condono», ma si erano fermati al pagamento della sola prima rata...
Sull'Ici lo stesso Monti ha confessato qualche giorno fa, in aula, di «non averci pensato» a proposito degli immobili della Chiesa. Ma qualcuno aveva provveduto a esonerarla persino dalla revisione degli estimi catastali (che pure andava «pensata»). Ed è impossibile non fare caso al deprimente tira-e-molla sulle «liberalizzazioni» di farmacie e tassisti.
Diciamolo: è una fortuna che la tassazione sulle transazioni finanziarie venga decisa e proposta dai due paesi più grandi d'Europa. Avremmo avuto difficoltà nel credere alla determinazione anti-speculatori di un governo che si ferma per timore di orde di tassisti furibondi. Specie se a dirigerlo - è obbligatorio ricordarlo - c'è chi fino a poco fa vantava, tra i numerosi incarichi, anche quello di International Advisor di una banchetta poco speculativa come Goldman Sachs...
 

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