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16/10/2011

A proposito di Guevara e del maggioritario becero nella stampa.

Domenica scorsa era l'anniversario della morte di Ernesto Che Guevara, assassinato sulle Ande boliviane 44 anni fa e personaggio storico della Rivoluzione cubana di Fidel Castro. Cliccando su un motore di ricerca - lo dico per i più giovani - potete sapere immediatamente abbastanza su di lui, ricordato in molte parti del mondo in questa data e più in generale con libri, film, opere teatrali ecc. Nel piccolo spazio dedicato ai necrologi, tra un parente scomparso e la memoria di gente comune, Repubblica aveva questo minimo trafiletto: "Oggi ricorre l'anniversario della morte di Ernesto Che Guevara. Quel giorno anche gli uccelli si fermarono in volo e versarono lacrime di pietra. All'Uomo straordinario che ha speso la sua esistenza nella lotta per le cause più nobili. Ancora oggi, ovunque, enormi moltitudini vivono nel suo incancellabile ricordo". Era siglato EC.

Ovviamente, essendo della generazione che in quegli anni adolescenziali pensava di cambiare il mondo salvo doversi successivamente difendere dall'aggressione della realtà che vuole cambiare te, questo trafiletto mi ha scatenato ricordi, emozioni ed immagini. Da dove ero quando ho saputo la notizia, all'idea di lui che si aveva nel mondo arrotolata e srotolata nel tempo, alla sua icona da tee-shirt, ai reportage che ho girato per la Rai a Cuba vent'anni fa in cui mostravo le grandi conquiste e l'alto prezzo nella moneta della libertà pagato nell'isola sotto Fidel (per cui giù botte da destra e da sinistra), ecc. Di sicuro senza il Che la nostra memoria sarebbe assai più povera, comunque lo si giudichi.

Il giorno dopo, ieri, con evidenza titolistica difficilmente ignorabile, che cosa ti trovo su Il Giornale di Paolo Berlusconi (e quindi non di Silvio, proto informatico fai attenzione...)? Una cosa come: " La sinistra nostalgica celebra il Che su Repubblica. Lo spietato guerrigliero sudamericano osannato come un eroe in un necrologio sul giornale di De Benedetti", un articolo a sette colonne firmato GioSal. Si va da un incipit straordinario ("Con l'atto capitalistico per eccellenza, e cioè pagando") a una serie di osservazioni sulle carceri cubane e sulla Costituzione castrista ("Nessuna libertà può essere esercitata in contrapposizione agli obiettivi dello Stato socialista"), fino a una citazione del Che che ammetteva di aver fatto fucilare delle persone, nel corso della guerra di liberazione da Battista, il dittatore servo fin dal cognome che aveva fatto di Cuba quel "bordello degli americani" che immagino presto tornerà ad essere, finito il mezzo secolo di castrismo. Castrismo a luci e ombre, ripeto. Insomma, immaginatevi Garibaldi al posto di Guevara, fucilazioni comprese...

Perché ne scrivo? Perché mi colpisce come un pezzo di storia di una popolazione, di un continente o subcontinente, di un'ideologia oggi a malapena sopravvivenziale in un mondo che di ideologie ne ha all'apparenza soltanto una, quella di non avere ideologie ma soltanto globalizzazione del denaro e per "happy few", sia ridotto a questa roba qui, che vi ho citato: poveri noi, il maggioritario dell'informazione ha fatto danni colossali alla materia grigia e all'obiettività un po' di tutti. Si perdono occasioni per commemorare - alla lettera, fare memoria - e analizzare le facce della storia, e tutto viene buttato nel tritacarne del tifo politico. "A ridatece il Che", verrebbe voglia di dire, se oggi trattiamo con questo livello di contestazione.

Fonte.

Nel giorno in cui i rivoluzionari di tutto il mondo scendono in piazza per indignarsi, mentre l'Italia fa la sua canonica pessima figura (1 - 2) e in regia si tenta di sfruttare il sempre valido divide et impera, io casco su questo articoletto.
Mi sa che sto 15 ottobre l'ho passato decisamente meglio rispetto a tanti altri.

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