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18/10/2011

Essere alternativi è difficile.

Rossobruni? No, rivoluzionari! - Lettera aperta ad Alternativa.
 
Un marchio d'infamia s'aggira nel web: il rossobrunismo.
È ormai sufficiente accostare questo neologismo a qualunque personaggio o meglio ancora movimento politico per screditarne per sempre proposte e opinioni. Il rossobruno, infatti, è ambiguo; cerca di infiltrarsi e riciclarsi; finge di essere un compagno ma in realtà è un fascio, e dei peggiori; condensa su di sé ogni risma di reducismo; è uno sconfitto e un reietto della storia; è uno sfigato; è per indole complottista; odia; la sua natura è violenta e antisemita; va da sé che in ogni rossobruno si nasconda un negazionista.
Perché questa onda di riprovazione così radicale sta investendo esponenti a cui la storia politica ha sempre lasciato uno spazio davvero marginale, che raramente si sono presentati come un movimento organico e davvero riconoscibile, e in cui sono stati inseriti, a torto o ragione, anche figure complesse e affascinanti? (dichiaro qui, ad esempio, la mia personale ammirazione per la figura misconosciuta di Nicola Bombacci, fondatore insieme a Gramsci e Bordiga del Partito Comunista d'Italia e finito fucilato a Dongo nel 1945 dai partigiani).
Probabilmente perché il rossobrunismo è una categoria che torna di estrema utilità nell'attuale lotta politica. Nell'area antagonista, infatti, da sempre divisa tra estremisti di destra e sinistra, si sta profilando con sempre maggior forza la tendenza a unire le forze e i pensieri antisistema orientandosi verso il superamento dei tradizionali concetti di destra e sinistra. Ecco, dunque, che appiccicare l'etichetta di rossobrunismo a queste tendenze risulta il modo più semplice per liquidarle e screditarle sbrigativamente, togliere loro ogni spazio di manovra senza bisogno di soffermarsi un secondo in più sull'analisi politica e di merito.
Ben si capisce, dunque, anche il riflesso condizionato di cui soffrono, spesso, i movimenti che si vedono attaccare addosso il cartello: Attenzione, passaggio rossobruni!
Riflesso condizionato che mi è parso di cogliere anche nel preambolo dell'ultima bozza programmatica di Alternativa, derivante probabilmente anche da recenti polemiche con l'accusa a Giulietto Chiesa, a Megachip, e quindi inevitabilmente alla stessa Alternativa, di andare a braccetto con rossobruni e filo-gheddafiani di vario genere.
In particolare il documento programmatico citato contiene questo brano: "Un altro concetto fondamentale per guidare politicamente una transizione verso una civiltà più umana è il superamento della contrapposizione tra destra e sinistra. Ciò non significa una confusione di valori, né significa cambiare il giudizio storico su ciò che hanno significato fascismo e nazismo, e sul decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta. Significa piuttosto rendersi conto che oggi l'opposizione di destra e sinistra è ormai del tutto interna a quel mondo che sta entrando in crisi irreversibile".
Il passaggio condensa almeno tre aspetti di grande rilievo. Su due mi trovo profondamente d'accordo, anche se voglio specificare e integrare meglio il mio pensiero a proposito, il terzo solleva a mio avviso alcune problematicità. Andiamo per ordine.
"Ciò non significa una confusione di valori". È un aspetto fondamentale. "Superamento" di destra e sinistra significa esattamente questo, non fare una commistione tra ciò che non sta insieme, una alleanza innaturale tra "sconfitti" della storia, ma appunto andare oltre, senza chiedere a nessuno di rinnegare, semmai mantenendo alcuni valori condivisi e in qualche modo universali, sviluppandoli e arricchendoli secondo le necessità che le inedite crisi epocali che stiamo affrontando impongono.
"Né significa cambiare il giudizio storico su ciò che hanno significato fascismo e nazismo". Perfetto, e aggiungerei anche il comunismo. Ma andrei oltre. Se a nessuno viene chiesto di rinnegare o annacquare il proprio giudizio storico, ciò dovrebbe valere in senso sia positivo che negativo. Chi ritiene che fascismo e nazismo siano stati, ad esempio, espressioni del "male assoluto", sarà ben legittimato a continuare a farlo. A chi non lo pensa non potrà essere chiesta abiura, e il confronto su questi temi, anche aspro, dovrà essere demandato al suo giusto e naturale ambito, appunto al dibattito culturale secondo una prospettiva storica. E ancora, se a nessuno viene chiesto di cambiare il proprio giudizio storico, a maggior ragione a chiunque si deve lasciare la possibilità di modificarlo, di nuovo sia in senso positivo che negativo, come naturale conseguenza del confronto storico-culturale.
"E sul decisivo valore di civiltà che ha avuto la lotta antifascista negli anni Trenta e Quaranta". Mi pare l'aspetto più delicato. Infatti, se non viene chiesto di rinnegare (nel senso sopra indicato) il proprio giudizio storico, come si può dichiarare l'antifascismo quale "valore di civiltà" in un documento programmatico? A me pare che i due concetti siano in contraddizione e non possano tenersi insieme, infatti l'antifascismo viene elevato al di sopra del giudizio storico, diviene valore politico, addirittura fondante. In quanto tale esso rappresenta una discriminante, una pregiudiziale escludente nei confronti di chi non si riconosca nel valore di civiltà dell'antifascismo, a meno di non richiedere una sua eventuale abiura.
Non entro nella questione di merito (se l'antifascismo possa considerarsi o meno un valore di civiltà), pongo una questione di metodo ma che non è questione formale ma sostanziale.
È giusto porre oggi una pregiudiziale antifascista quando il fascismo è morto settanta anni fa? È utile porre una pregiudiziale verso chi ha avuto una personale storia "fascista", e trova lì le radici valoriali del suo essere, oggi, contro l'imperialismo americano, la globalizzazione capitalistica, il sionismo, o il modello di democrazia rappresentativa di stampo anglosassone, senza per questo essere terrorista, xenofobo, antisemita, o fautore della dittatura?
Se la pregiudiziale antifascista viene posta, se ne devono trarre tutte le necessarie conseguenze. Innanzitutto la distinzione tra destra e sinistra, fatta uscire vigorosamente dalla porta, rientra dalla finestra dopo essersi cambiata nome. Mi si potrà obiettare che non sono esattamente la stessa cosa le distinzioni tra destra/sinistra e fascismo/antifascismo. Lo concedo. Ma faccio notare che oggi, in Parlamento, il 100% dei nostri rappresentanti, molti dei quali hanno avuto un passato da comunisti e da neofascisti, si dicono o anticomunisti, o antifascisti, o meglio ancora entrambe le cose contemporaneamente. Sfido a trovarne uno pronto a dichiararsi apertamente anticapitalista o addirittura (orrore!) antisionista. Ecco che, allora, c'è qualcosa che non torna.
Ritengo che per un movimento radicalmente antisistema non sia più utile, oggi, fare riferimento all'antifascismo come ad un valore di civiltà, un valore fondante il proprio impegno politico. Esso può risultare fuorviante e sterile. Se la "casta" contro cui combattiamo si dichiara fieramente anticomunista e antifascista, noi non dobbiamo di converso dichiararci comunisti e fascisti, ma rompere questo schema. Né comunisti né fascisti ma rivoluzionari. Perché solo una rivoluzione può salvare i nostri valori di civiltà, certamente una rivoluzione democratica, una rivoluzione pacifica, ma una rivoluzione.
Sarà dunque necessario cominciare a smontare, anche a livello comunicativo, i paradigmi di chi vuole imbrigliare il nostro essere rivoluzionari in vecchi schemi asfittici. A chi ci chiama rossobruni, dobbiamo rispondere fermamente.
Rossobruni? No, rivoluzionari!
Ps: Ma chi lo dice, all'ex comunista Giorgio Napolitano e all'ex neo-fascista Ignazio La Russa, di essersi tenuti a braccetto sulla guerra in Libia con la stessa linea politica interventista, in stile perfettamente rossobruno?

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