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Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
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30/08/2011

16 miliardi nel cesso.

Sulle nostre teste, e soprattutto sui nostri conti pubblici, incombe un impegno di spesa per l’acquisto di un nuovo cacciabombardiere a decollo verticale, l’F35. L’Italia, con diversi governi (Prodi, Berlusconi, D’Alema, Prodi e nuovamente Berlusconi) si è impegnata ad acquistare 131 velivoli per un costo complessivo di 16 miliardi di euro nel miraggio di ritorni occupazionali ed economici per le aziende che partecipano al consorzio guidato da Lockheed Martin e Base System che coinvolge anche l’italiana Finmeccanica. Ma quello del supercaccia si è rivelato un progetto con grossissimi problemi tecnici e costi completamente fuori controllo, tanto da spingere gli Stati Uniti a ripensare e addirittura mettere in forse l’intero programma.

Lo scorso 2 agosto, dopo un black out al sistema di controllo di uno dei veivoli, il Joint Program Office ha deciso di tenere a terra tutti gli esemplari in prova nelle basi di Edwards e Patuxent. L’episodio, ennesimo di una lunga serie di gravi problemi tecnici che affliggono il costosissimo progetto, è stato tenuto sotto silenzio sino a quando la stampa specializzata ha cominciato a far filtrare la notizia. I caccia sono rimasti a terra sino al 18 agosto, quando il sito della Lockheed Martin ha pubblicato la notizia della ripresa dei voli di prova confermando che una valvola del sistema di alimentazione e condizionamento si è bloccata e che i costruttori, d’intesa con il Pentagono, stanno ancora indagando sulle cause.

Il faraonico programma di costruzione e acquisto del nuovo cacciabombardiere è a rischio da mesi, almeno da quando il Gao (Governement Accountability Office) ha pubblicato un voluminoso rapporto che mette in luce come tempi e costi di progettazione siano fuori controllo: secondo l’ultima revisione il ritardo è di 5 anni e il budget è cresciuto a 56,4 miliardi di dollari (+26%). Dopo nove anni di sviluppo e quattro di produzione, non si è ancora riusciti a dimostrare che la progettazione del velivolo sia stabile, che i processi produttivi siano maturi e che il sistema – in sintesi – possa dirsi affidabile. Solo il 3% dei 32 test condotti a terra è affidabile e il 4% delle potenzialità dei Joint Strike Fighter è stato scientificamente dimostrato da test di volo o in laboratorio.

Rispetto a quelli oggi in dotazione all’aeronautica militare il nuovo cacciabombardiere ha una fortissima accentuazione sul ruolo di attacco pur mantenendo la definizione “multiruolo” per tutte le tre versioni F-35A, F-35B, F-35C : convenzionale (CTOL), a decollo corto e atterraggio verticale (STOVL), imbarcata (CV). Ovviamente l’F-35 può trasportare anche armi nucleari secondo la logica dell’US Air Force ed è anche il primo caccia sottoposto al Chemical and Biological Program, al fine di ottenere il requisito necessario che assicuri sia una capacità di sopravvivenza all’equipaggio, sia una capacità di resistenza alla degradazione del velivolo dopo un attacco chimico o biologico. La crescita dei costi dell’F-35 viene paragonata a quella dell’F-22 Raptor, programma terminato anzitempo proprio per la elevata spesa: il prezzo unitario del velivolo si attesta su una media di 92,4 milioni di dollari contro i 50 previsti nel 2002, l’intero programma ha già raggiunto la cifra di 382 miliardi di dollari in 25 anni per l’acquisto di 2.457 aerei.

In sostanza il budget è stato sforato del 64% rispetto alle previsioni, oltre il limite del 50% stabilito dalla legge Nunn-McCurdy che prevede la cancellazione di un programma.  Dunque per continuare si deve definire questo programma vitale per la sicurezza del paese. La Gran Bretagna, per esempio, ha deciso come si evince dal bilancio 2011 della MoD (Ministry of Defence) di rinunciare alla versione a decollo corto e atterraggio verticale, per le sue portaerei e punta solo al modello C convertendo le Queen Elizabeth con cavi d’arresto e catapulte.

A Fort Worth il processo di assemblaggio finale non è ancora completato e Lockheed Martin si difende rispetto ai ritardi nella produzione (almeno 13 mesi) e alla contrazione dei requisiti richiesti, promettendo di abbassare i costi della versione A dal 2016-2017 a 60 milioni per aereo, escluso il motore. Il costo unitario di un motore sarebbe di oltre 30 milioni ed anche il budget in dotazione all’azienda motoristica è stato ampiamente sforato. Il costo dello sviluppo è stimato attorno ai 7,28 miliardi contro i 4,8 previsti.

Nel 2011 il segretario alla difesa americano Robert Gates ha deciso di eliminare il motore alternativo della Rolls-Royce. Un solo F-35 completo verrebbe a costare circa 80 milioni di dollari, ma non si conta il fatto che il Pentagono ha deciso di diminuire il numero di velivoli da finanziare che significa un aumento dei costi. A ciò bisogna aggiungere i nuovi problemi emersi sulla componente software dell’aereo che ha fatto decidere al Pentagono l’aut-aut: o tutto si risolve entro il 2011 o si sospendono i finanziamenti. Le esitazioni dei paesi che si sono impegnati a comprare il nuovo cacciabombardiere e la decisione di mettere la versione a decollo corto e atterraggio verticale (STOVL) in stand-by, rende la pianificazione della produzione incerta.

Sia la Marina USA che quella italiana, che nel dicembre 2010 ha svolto a bordo della portaerei Cavour una riunione con rappresentanti delle agenzie governative americane e italiane insieme ai rappresentanti delle ditte Lockheed-Martin, Fincantieri e Selex Sistemi integrati, non hanno un piano B nel caso di una soppressione del velivolo. L’Italia ha deciso per ora di comprare 22 F-35B e nella riunione si sono cercate le soluzioni tecniche più idonee per consentire l’imbarco del velivolo a partire dal 2016.

Fonte.

Rendiamo grazie a sinistra e destra insieme che ci hanno appioppato questo colossale pacco marchiato Lockheed-Martin, la cui unica ragion d'essere è di carattere squisitamente politico (leggasi l'ennesima leccata di culo all'amministrazione USA di turno).
Sia a livello economico, sia operativo, sarebbe stato decisamente più intelligente chiudere i reparti dotati di AMX (un autentico cesso tecnologico e operativo) e sostituire i Tornado con il terzo lotto produttivo dell'Eurofighter 2000, che avrebbe consentito all'AMI di razionalizzare al massimo la propria linea volo riducendone la dimensione ma incrementandone operatività ed efficienza logistica.
Della Cavour, invece, ce ne saremmo potuti battere il belino perché gli Harrier II già imbarcati sul Garibaldi non sono dei catorci e soprattutto la nuova ammiraglia della Marina non sì troverà mai in condizioni operative tali da richiedere una copertura aerea modello gruppo da battaglia statunitense.

29/08/2011

UAV italiani in Libia.

Gli analisti statunitensi ne sono più che convinti. I velivoli senza pilota schierati dalla coalizione internazionale per le operazioni di guerra in Libia hanno contribuito in modo rilevante al successo dell'offensiva sferrata dalle forze ribelli contro i santuari del potere del colonnello Gheddafi a Tripoli. Frederic Wehrey, politologo della RAND Corporation ed esperto di conflitti mediorientali, sostiene che la scelta degli obiettivi e gli attacchi delle forze anti-governative sono stati "molto più efficaci e meglio coordinati e controllati" grazie all'uso di "tecnologia fornita individualmente dagli alleati Nato e al maggiore sostegno diretto e indiretto dell'alleanza militare". Un anziano diplomatico della NATO, in forma anonima, ha spiegato alla Cnn che i ribelli sono stati aiutati in particolare dalle "operazioni di intelligence e sorveglianza, intensificatesi nelle ultime settimane di conflitto, grazie all'uso dei velivoli armati senza pilota UAV Predator che hanno individuato, segnalato e colpito occasionalmente gli obiettivi". Secondo i dati forniti dal Pentagono, le sortite degli aerei UAV statunitensi contro le forze terrestri e le difese aeree libiche sono più che raddopiate negli ultimi 18 giorni in comparazione al periodo compreso tra l'1 aprile e il 10 agosto scorso ("1,4 attacchi al giorno contro gli 0,6 antecedenti). Principale base operativa dei Predator USA la stazione aeronavale di Sigonella, in Sicilia.

Alla guerra più o meno occulta dei sofisticatissimi velivoli senza pilota non ha fatto mancare il suo apporto l'Aeronautica militare italiana. Secondo quanto è stato possibile verificare, l'uso dei Predator del modello di ultima generazione "B" avrebbe preso il via tra il 10 e l'11 agosto e sino ad oggi sarebbero state effettutate non meno di tre missioni in Libia. Sotto il controllo del 28° Gruppo "Le Streghe" del 32° Stormo dell'Ami, i Predator sarebbero partiti dalla base di Amendola (Foggia), dove avrebbero fatto rientro a conclusione di missioni di volo durate all'incirca 12 ore ciascuna. "Un velivolo a pilotaggio remoto Predator B è entrato a far parte degli assetti aerei italiani messi a disposizione della NATO per l'operazione Unified Protector congiuntamente ai cacciabombardieri "Tornado" ed "AMX", ai caccia F-16 "Falcon" e agli aerifornitori KC-767A e KC-130J", conferma il ministero della Difesa con un comunicato stampa.

Il possibile schieramento in Libia degli UAV italiani era stato annunciato il 29 giugno da Il Sole 24 Ore. "Per superare lo stallo nelle operazioni militari contro le truppe di Gheddafi la NATO potrebbe mettere in campo i velivoli teleguidati dell'Aeronautica militare già tra due settimane in compiti di sorveglianza, intelligence e ricognizione", riferiva il quotidiano. Fonte autorevole, il colonnello Fabio Giunchi, comandante del 32° Stormo di Amendola, l'unico reparto italiano dotato di velivoli senza pilota (sei Predator modello "A" e due "B"). "Affiancando i due velivoli dello stesso tipo messi in campo dagli statunitensi, che li basano a Sigonella, gli UAS (Unmanmned aerial system) italiani sono in grado di restare in volo sul bersaglio per molte ore esplorando il terreno grazie a telecamere e sensori, individuando i bersagli e "agganciandoli" a favore di missili e bombe dei jet alleati o degli elicotteri da combattimento franco-britannici", annunciava il colonnello. "Stiamo affinando le ultime preparazioni, al momento i Predator B sono impiegati con compiti di ricognizione ma possono volare armati, se si volesse andare su questa strada. Noi ci auguriamo che accada, perché questo darebbe una maggiore flessibilità di impiego".

"Proprio in vista delle operazioni di attacco contro target libici - aggiungeva l'estensore dell'inchiesta de Il Sole 24 Ore - l'Aeronautica militare sta per ricevere dalle forze armate statunitensi i kit necessari a imbarcare bombe a guida laser e Gps e missili, le stesse armi impiegate dai velivoli di questo tipo che gli statunitensi impiegano per colpire le basi talebane e di al-Qaeda in Pakistan. Una vera e propria rivoluzione per l'Aeronautica italiana che finora, per motivi squisitamente politici, aveva potuto utilizzare queste macchine senza sfruttarne le capacità d'attacco". L'"operazione umanitaria" contro l'ex regime alleato di Gheddafi, alla fine, ha consentito di far superare gli ultimi tabù del governo e delle forze politiche di maggioranza e d'opposizione, consentendeno il battesimo di fuoco dei Predator tricolore.

L'MQ-9 Predator B è operativo in Italia dall'estate 2010. Noto negli Stati Uniti come "Reaper", il velivolo è un'evoluzione del Predator A già utilizzato dall'Ami in Iraq ed Afghanistan. Con una lunghezza di 11 metri e un'apertura alare di 20, il "Reaper" assicura maggiori prestazioni in termini di raggio d'azione, autonomia di volo (tra le 24 e le 40 ore), velocità (440 Km/h) e carico trasportabile (quasi 1.800 chili contro i 200 dei Predator A). "L'incremento delle dimensioni e delle prestazioni dell'UAV si rifletterà ovviamente sul carico di armamento trasportabile", segnalano le riviste specializzate in strumenti di morte. "Si tratterà di missili Hellfire, bombe a guida laser Gbu-12 Paveway II e Gbu-38 Jdam (Joint direct attack munition) a guida Gps". Un "gioiello" che la casa produttrice, la General Atomics Aeronautcal Systems Incorporated di San Diego (California), vende a 10,5 milioni di dollari l'uno, contro i 3,2 milioni dell'esemplare di prima generazione. "La manutenzione dei Predator B sarà gestita per ancora due anni ad Amendola da personale americano della General Atomics", specifica il sito web Dedalonews. "Entro un anno gli UAV diverranno sei per modello, consentendo al 32° Stormo dell'Aeronautica di gestire in contemporanea fino a tre velivoli, anche dall'altra parte del pianeta. In attesa di diventare nel 2014 la prima base italiana per i nuovi cacciabombardieri Lockheed Martin F-35A, destinati a sostituire prima gli AMX e poi i Tornado, ad Amendola sono in via di ampliamento gli hangar per gli UAV".

Per consentire ai Predator B di volare in qualsiasi parte del Mediterraneo, il ministero della Difesa ha predisposto la creazione di "corridoi di volo" riservati tra la Puglia, il poligono sperimentale di Salto di Quirra e lo scalo di Decimomannu in Sardegna, le basi di Sigonella e Trapani in Sicilia e l'isola di Pantelleria. Alcuni di questi "corridoi" sono stati messi a disposizione dei velivoli senza pilota Global Hawks e "Reaper" schierati dalle forze armate USA a Sigonella. I decolli e gli atterraggi degli aerei USA, sempre più numerosi negli ultimi mesi, stanno creando gravi difficoltà al traffico del vicino aeroporto civile di Catania-Fontanarossa. Ne sanno qualcosa i passeggeri del volo di linea Alitalia "Venezia-Catania" che la mattina del 18 agosto sono stati dirottati a Palermo - Punta Raisi "a causa di intenso traffico militare nell'aeroporto di Sigonella" e costretti poi ad un interminabile viaggio in pulman tra il capoluogo siciliano e Fontanarossa. Alle ore 11.18 del giorno successivo, i piloti degli aerei in partenza o diretti allo scalo etneo hanno ricevuto un NOTAM, l'informazione sull'efficienza dei sistemi di sicurezza dell'aeroporto, che ha imposto una breve sospensione delle operazioni sullo scalo "a causa delle attività di un aereo senza pilota", presumibilmente un Global Hawk dell'Us Air Force operativo a Sigonella. Fra tre anni gli enormi UAV-spia schierati nella base siciliana potrebbero essere venti. Terribile immaginare cosa accadrà in termini di sicurezza, tenuta delle rotte e puntualità di orari viaggiare da e per la Sicilia orientale

Fonte.

Belìn siamo veramente vergognosi. Abbiamo il bilancio più rappezzato d'Europa (che a breve collasserà), non troviamo un Euro per evitare che il nostro patrimonio artistico - ambientale ci crolli in testa (vedi Pompei) però facciamo i fighi sulla testa di Gheddafi con i Predator.
Ma vaffanculo! 

27/08/2011

La follia del Pd.

Ogni tanto ci sono dei lettori che mi dicono: “Siamo d’accordo con tante cose che dici, ma non quando parli male del Pd!“. Io ribalto sempre questo assunto così: non mi sentirei credibile quando critico la destra, se non fossi altrettanto severo quando critico la sinistra. Anzi, lo sono di più, proprio perché é la parte che mi é vicina, per storia e per cultura politica. Sui giornali di questi giorni ci sono due esempi osceni, e abbastanza eloquenti degli errori fatali e del modo di fare politica che spianano la strada alla vittoria del centrodestra.

La Cgil  della Camusso – grazie alla pressione della Fiom – fa una cosa giusta e proclama uno sciopero generale contro la finanziaria più iniqua del mondo? In un paese normale il principale partito di opposizione dovrebbe applaudire la segretaria della Cgil e sostenerla nella sua battaglia. Ma siccome abbiamo un gruppo dirigente miserabile, pauroso ed autoreferenziale, ecco che nel Pd inizia l’autoflagellazione masochistica: un documento di dirigenti che criticano la Cgil, una intervista di Marini che si dice turbato e sorpreso per lo sciopero (poverino), un segretario che non sapendo che pesci pigliare ritorna al suo atteggiamento classico: il ma-neanche. Morale della favola: il Pd, invece che sostenere lo sciopero lo boicotta. Perché, vi chiederete voi? Sono pazzi? Forse.

Ma la realtà é che quel partito, anzi, i suoi dirigenti, avendo come elemento strutturale il compromesso al ribasso fra anime e correnti, non può permettersi di “turbare” la Cisl e la Uil. Come se questi due sindacati, tanto cari ai dirigenti del Pd, non fossero strutturalmente schierati (é un dato tecnico) a sostegno del governo, e impegnati a fare da stampella a Sacconi.

La seconda follia é la vicenda Penati. Nell’anniversario dell’intervista di Berlinguer sulla questione morale, secondo una sentenza, uno dei principali dirigenti del partito, Filippo Penati, “si é comportato da delinquente” in una vicenda di corruzione che lo vede protagonista di gravi indizi di colpevolezza. In un paese normale un dirigente che si trova in questa condizione e si proclama innocente rinuncia alla prescrizione, e i suoi compagni di partito gli chiedono di fare questo o lo isolano come un lebbroso. In questa Italia di inizio secolo, invece, tutti fanno finta di nulla, e il segretario di quel partito tuona contro “le macchine del fango” dicendo “Abbiamo capito bene“. Pure noi, abbiamo capito. Il dramma della sinistra é questo.

Fonte.

25/08/2011

The meaning of life

La musica è finita.

Ci sono momenti nella Storia di un Paese in cui tutto diventa intollerabile. L'apice è stato raggiunto con il discorso di Morfeo Napolitano a Rimini applaudito da tutto il codazzo dei responsabili della catastrofe economica italiana. Morfeo ha spiegato con il suo linguaggio da burocrate ottocentesco di provincia, quello che in effetti è, che "E' stata nascosta la gravità della crisi". Già da chi è stata nascosta questa gravità? Dal panettiere? Dal benzinaio? Dalla portinaia? Il Quirinale, che costa agli italiani una cifra da paura, non sapeva nulla? In cosa era affaccendato? A firmare ogni legge porcata, tra le quali lo Scudo Fiscale per condonare gli evasori? Chi ha firmato quella legge al primo colpo senza rimandarla alle Camere come avrebbe potuto e soprattutto avrebbe DOVUTO? Forse lui, il presidente nominato dal Parlamento a sua volta nominato da 5 segretari di partito. Quel signore allampanato che non ha mai speso una parola sul debito pubblico fino a quando è scoppiato il bubbone? Che non ha mai menzionato le 350.000 firme raccolte per Parlamento Pulito? E' forse quel tizio che prendeva gli aerei low cost per andare a Bruxelles e non la compagnia di bandiera Alitalia? (video)
E dietro a questo vecchio, che ormai ha fatto il suo tempo e verrà consegnato negli sgabuzzini della Storia, si rifugiano coloro che stanno per essere spazzati via. Tutti insieme, leccaculamente. Cicchitto, piduista della prima ora "Napolitano fa un'analisi severa...". Enrico Letta (detto anche Lecca) "Facciamo nostro l'appello del Capo dello Stato". Moretti, quello delle Ferrovie in disarmo "C'é una forte spinta all'orgoglio di fare". Marchionne, il termodistruttore del sindacato, che dopo gli esaltanti risultati di Borsa e di vendite non è stato ancora messo alla porta: "Napolitano è un uomo che stimo immensamente, un punto di riferimento per il Paese".
Morfeo ha ribadito alla claque di banchieri, confindustriali, politici d'accatto e papalini presenti (mancavano purtroppo operai, disoccupati, casalinghe, cassintegrati e comunisti berlingueriani) "Bisogna parlare il linguaggio della verità come dovrebbero fare tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni". Questo pensiero stupendo detto da chi è al vertice delle istituzioni da cinque anni e sulla più che prevedibile catastrofe economica non si è mai espresso ha scatenato una ola tra i presenti. Da lontano si è sentita anche la voce dell'ex presidente del Consiglio che ha valutato il discorso di Morfeo come "uno sprone". Dietro il palcoscenico funerario c'era la claque che incitava e applaudiva in anticipo: Passera (IntesaSanPaolo), Conti (Enel), Lucchini (Eni). La figlia di Fantozzi, in arte Maurizio Lupi, gridava eccitata come quando vede in privato Formigoni, presidente regionale abusivo e uomo immagine (sic) di CL. La musica è finita. L'ultimo che esce spenga la luce.

Fonte.

Il vomito.

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Non so se mi faccia più schifo l'andamento e lo sviluppo del conflitto libico, oppure la gestione della crisi economica italiana, curata da una classe politica che ha più pezze al culo del triumviro della devastazione Craxi-Andreotti-Forlani (uno è stato debellato dal diabete, gli altri due respirano ancora, mortacci loro!).

24/08/2011

Rocket queen



Questo è l'unico pezzo autenticamente meritevole in tutta la carriera dei Guns N' Roses.

Ascoltalo bene Fely mi raccomando! L'ho messo a posta per te!

23/08/2011

Americani in Afghanistan fino al 2024? Perchè no?!?

Le truppe Usa non si ritireranno dall'Afghanistan entro il 2014, come promesso da Obama: rimarranno per almeno altri dieci anni oltre quella data, fino al 2024. E non solo quelle addette all'addestramento dell'esercito afgano, come largamente previsto, ma anche truppe da combattimento, forze speciali, cacciabombardieri ed elicotteri. In tutto 25mila militari, budget Usa permettendo.
E' l'accordo, ancora segreto, che Washington e Kabul stanno finalizzando e che dovrebbe essere siglato entro la conferenza di Bonn sull'Afghanistan in programma per dicembre. Lo ha rivelato il consigliere per sicurezza di Karzai, Rangin Dadfar Spanta, in un'intervista rilasciata al quotidiano britannico Telegraph.
A quanto pare l'unico nodo ancora da sciogliere è lo status delle basi militari in cui le truppe Usa rimarranno, almeno, per i prossimi tredici anni: per salvare almeno le apparenze, il governo di Kabul vorrebbe che le truppe d'occupazione risultassero 'ospiti' di istallazioni militari afgane. Insomma, cambieranno giusto la targa all'ingresso e la bandiera sul pennone delle attuali basi Usa
Per la stessa ragione, come sta accadendo anche per l'Iraq, la versione ufficiale che verrà data in pasto all'opinione pubblica occidentale sarà che è il governo fantoccio di Kabul a 'chiedere' agli americani di restare e loro, magnanimi, accetteranno di malavoglia.
"L'America ci sta aiutando a combattere la guerra contro il terrorismo - ha spiegato Spanta al Telegraph - ma il terrorismo internazionale non finirà nel 2014 e noi abbiamo il dovere comune di continuare a contrastarlo. Da qui la necessità di un prolungamento della permanenza a lungo termine delle truppe Usa".
La notizia non è stata ben accolta a Mosca, ben consapevole che la presenza militare Usa in Asia ha poco a che vedere con la lotta al terrorismo, e tanto con il posizionamento strategico Usa nella regione in funzione anti-russa e anti-cinese.
"Mi sfugge la logica di questo accordo'', ha dichiarato l'ambasciatore russo a Kabul, Andrey Avetisyan. "Se entro il 2014 il terrorismo sarà sconfitto e tornerà la pace nel Paese, non ci sarà bisogno che gli americani rimangano; altrimenti, come potranno poche migliaia di soldati riuscire laddove hanno fallito 150mila?".

Fonte.


C'è almeno una promessa da campagna elettorale che Obama avrà mantenuto alla fine del proprio mandato? Perché fino ad ora l'hawaiano s'è soltanto dimostrato una faccia di bronzo da primato, degno presidente di una nazione che, con la sua ingombrante presenza, ha letteralmente ammorbato ogni angolo del globo.

Voli una volta e magari muori.

L’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo ha pubblicato il Rapporto informativo sull’attività svolta nell’anno 2010. E i dati non sono rassicuranti. Gli investigatori dell’Ansv tra inconvenienti, inconvenienti gravi ed incidenti hanno ricevuto 2.362 segnalazioni, 526 in più rispetto al 2009.

Nei dodici mesi dello scorso anno i malfunzionamenti e gli incidenti che hanno visto protagonisti gli aerei sono aumentati quasi del 29 per cento. Ma nessuno ha pensato di comunicarlo ai passeggeri, forse credendo che queste informazioni siano irrilevanti o superflue. Infatti, anche in questa occasione, per non smentire il perfetto stile che contraddistingue i protagonisti dell’universo dell’aviazione civile per il quale le informazioni scomode che possono generare domande e osservazioni da parte degli utenti vengono immediatamente ‘addolcite’, si è provveduto subito a rassicurare il lettore.

Così l’Ansv, quando comunica sul sito questi dati scrive:

“Il numero complessivo delle segnalazioni è aumentato rispetto al 2009 (1.836), ma tale incremento – va sottolineato per evitare erronee interpretazioni dei dati forniti – è sostanzialmente riconducibile al miglioramento del sistema relativo alla segnalazione all’ANSV degli eventi in questione”.

Già, ma gli incidenti si sono verificati.

Solamente negli ultimi trenta giorni gli stessi investigatori dell’Agenzia sono dovuti intervenire in undici casi di malfunzionamento e incidenti di cui uno mortale, che hanno coinvolto velivoli sia da trasporto pubblico che da turismo.

Il silenzio che avvolge le attività delle compagnie aeree, dei broker avionici e di coloro che sono chiamati a controllare, è sconvolgente. Nessuno parla, nessuno denuncia quanto accade quotidianamente negli hangar aeroportuali e all’interno delle grandi compagnie aeree. Perché?

“Alcune compagnie aeree non sono molto diverse dalle organizzazioni criminali – scrive Nadia Francalacci in Paura di Volare, libro edito da Chiarelettere – chi parla, denuncia e prova a opporsi alle ‘leggi’ interne che regolano la loro spietata logica del profitto viene licenziato. Tutti sanno come le stesse compagnie siano in grado di occultare prove, di modificare o distruggere file e di distorcere a più livelli, attraverso una ragnatela di complicità, la realtà. E tutti hanno paura”.

Ma proprio tutti. Giornali compresi.

Ecco alcuni stralci tratti dal testo di Nadia Francalacci

La falsa sicurezza

È inutile girarci attorno: ci stanno prendendo in giro. E nessuno di noi lo sa. O almeno, ne ha piena consapevolezza. Nei nostri cieli e negli aeroporti accadono fatti del tutto fuori controllo che sembrerebbero incredibili. Ma è tutto vero. I documenti, le testimonianze degli addetti ai lavori e le rare inchieste della magistratura mostrano uno sconcertante modus operandi, dove la superficialità di chi deve vigilare sempre più spesso si sposa con la spregiudicatezza delle compagnie aeree e dei broker, generando mix pericolosissimi. Perfino gli stessi equipaggi, talvolta, hanno paura di volare.

L’universo dell’aviazione civile costituisce una dimensione a sé, regolata da linguaggi e leggi proprie, dove lobby costituite da politici e cordate imprenditoriali «giocano» indisturbate sulla sicurezza dei passeggeri. Il loro unico obiettivo è quello di trarre il più alto profitto possibile. Ovviamente non importa se per raggiungerlo devono mettere costantemente in pericolo la vita di centinaia di persone alla volta.

Sono sempre questi gruppi di potere che decidono quali aziende del settore devono aggiudicarsi gli appalti, in quale paese dell’Unione europea o del mondo e a quale prezzo. Sono sempre loro che creano i nuovi contatti per le aziende dell’indotto e che decidono quale scalo aeroportuale va potenziato e quale invece soppresso definitivamente. Sono ancora loro che, in un gioco di favori reciproci, continuano a tessere, ogni giorno, una ragnatela dalla quale è quasi impossibile scappare e dove tutti sono vittime e al tempo stesso carnefici; o meglio, dove nessuno è totalmente colpevole e nessuno completamente innocente.

Il risultato finale è quello di rendere lecito e dunque «normale» anche il comportamento più deplorevole. E poiché tutti, in misura più o meno evidente, sono coinvolti in questo meccanismo di profitto, nessuno parla. Nessuno denuncia per paura di essere coinvolto a sua volta, contribuendo così a infittire il velo di silenzi e complicità.

È in questo scenario di inconsapevolezza collettiva, di indifferenza degli investigatori e di omertà che piloti senza scrupoli falsificano o comprano i brevetti, i broker avionici falsificano le certificazioni dei pezzi di ricambio degli aerei di linea e le compagnie aeree falsificano i turni di volo dei propri equipaggi costringendoli a orari massacranti. In sostanza, mentre noi passeggeri siamo minuziosamente ispezionati ai check-in e messi in guardia sull’imminente rischio di attentati terroristici, i falsi piloti truffano indisturbati gli enti di controllo e le compagnie aeree, queste ultime raggirano tranquillamente gli stessi piloti e gli equipaggi mentre i broker deviati fottono proprio tutti: compagnie, piloti e passeggeri. Gli enti nazionali preposti al controllo dell’aviazione civile sembrano non vedere, non sentire e non parlare. È così che il cittadino che utilizza l’aereo rischia di trovarsi ai comandi un falso pilota, spesso molto stanco perché costretto a volare oltre il limite consentito dalla legge, e per di più obbligato a pilotare vettori la cui manutenzione è stata effettuata senza molta cura e con pezzi di ricambio non autentici. In un quadro del genere, l’unica sicurezza che rimane all’utente è il biglietto aereo (pur minimo che possa essere). Che voli in business class o in economy, per salire a bordo deve aver già pagato.

Intrecci d’interessi, anche criminali

Nessuno parla, nessuno vuole denunciare quanto è accaduto e accade quotidianamente negli hangar aeroportuali o all’interno delle grandi compagnie aeree, perché tutti sanno come le stesse compagnie siano in grado di occultare le prove, di modificare o distruggere file e di distorcere a più livelli, attraverso quella ragnatela di complicità, la realtà. Purtroppo da email, documenti e testimonianze che ho avuto modo di confrontare emerge anche un altro aspetto su cui riflettere: persino gli enti internazionali preposti al controllo sicurezza del volo non collaborano tra loro, a differenza di quanto comunicano a noi passeggeri attraverso campagne di stampa architettate appositamente per rassicurarci. E questo atteggiamento non giova certamente alla sicurezza dei voli, e di conseguenza alla sicurezza degli utenti: italiani, francesi, inglesi, giapponesi, americani. Perché se un aereo non è sicuro, il problema non è solo di un paese o di una singola compagnia aerea: è di tutti.

Ad esempio: la Federal Aviation Administration, l’autorità americana per l’aviazione civile, più volte sollecitata a dare spiegazioni e rassicurazioni su alcuni componenti sospetti provenienti da broker statunitensi e scoperti dalla controparte italiana, non ha mai risposto. Perché? La Faa non ha mai dato riscontro all’Enac delle eventuali indagini condotte su aziende statunitensi che hanno esportato in Italia pezzi non idonei, componenti che hanno varcato i confini nazionali dagli aeroporti e dai porti di Napoli e Venezia per essere installati sui vettori nazionali. Perché? La Faa ha mai effettuato approfondimenti su quei broker e sulle ditte americane del settore segnalate dall’Italia come «sospette» e che riforniscono i pezzi di ricambio alle compagnie nostrane? Queste aziende americane riforniscono anche compagnie di altri paesi? E se sì, di quali? Tanto per essere chiari, anche un singolo bullone o un dado non idoneo può essere la causa di un disastro aereo. Come purtroppo è successo nel caso del Concorde precipitato il 25 luglio 2000.

Lo ha dimostrato l’unica inchiesta sui pezzi di ricambio degli aerei di linea condotta dalla magistratura italiana, inchiesta che ha portato alla luce solamente un frammento di questo universo complesso e in continua espansione, sul quale è poi calato il silenzio. Da quel momento, infatti, sembra che tutto sia tornato a svolgersi in modo regolare. In realtà si ha questa percezione solo perché nessuno indaga, e coloro che sono parte integrante e «pulita» dell’«universo aviazione civile» hanno paura di collaborare con gli inquirenti e di portare il problema all’attenzione dei media.

La Procura della Repubblica di un piccolo centro della Sardegna, Tempio Pausania, ha gettato luce sui metodi che rendono vulnerabile il trasporto aereo e che, di conseguenza, mettono a repentaglio la sicurezza del volo. Gli intrecci tra gruppi politici, industriali e broker deviati hanno minato e continuano a minare quotidianamente e silenziosamente la sicurezza di milioni di passeggeri. Gli stessi investigatori americani, interpellati dagli inquirenti italiani, sono stati costretti ad ammetterlo: è difficile, se non impossibile, attribuire le cause di un disastro aereo alla presenza di bogus parts, ovvero di quelle parti sospette o contraffatte installate a bordo dell’aereo. Ed è proprio in questa zona d’ombra, nell’impossibilità di ricostruire con esattezza assoluta le cause di un disastro aereo, che si nascondono le peggiori truffe. Ma anche i maggiori guadagni di compagnie aeree e organizzazioni criminali.

Il mercato aeronautico e la crescita esponenziale degli ultimi decenni del trasporto aereo hanno attirato l’interesse anche della criminalità organizzata italiana oltre a quella colombiana dei narcotrafficanti. L’intelligence italiana lo ha più volte scritto nei suoi report, segnalando collegamenti delle mafie nostrane con organizzazioni malavitose del Nordamerica. Ma a queste segnalazioni non c’è mai stato un seguito.

La turbina di un aereo, un radioaltimetro, un radar o semplicemente i carrelli di atterraggio garantiscono alle organizzazioni mafiose guadagni molto superiori al traffico delle sostanze stupefacenti, e con un rischio pari allo zero. La facilità con la quale anche oggi possono essere falsificate certificazioni o revisioni delle strumentazioni di bordo di un aereo è sconvolgente. È questo che permette alla criminalità organizzata di riciclare facilmente denaro sporco e di minare irreparabilmente la sicurezza del trasporto aereo, immettendo sul mercato pezzi potenzialmente pericolosi che rivende a cifre astronomiche. Proprio come hanno scelto di fare, ormai una decina di anni fa, i narcotrafficanti colombiani, decidendo di abbandonare il traffico degli stupefacenti per potersi dedicare al commercio illegale di parti di ricambio che prelevano in modo incontrollato da vecchi vettori non più funzionanti. A questo occorre associare l’incapacità, la mancanza di controlli e a volte l’incuria dei settori di manutenzione delle compagnie aeree, che sono alla base dei disastri aerei più gravi.

Non è vero che è sempre colpa del pilota. I piloti, e per una forma di rispetto verso la categoria escludiamo quelli «falsi» o che si sono «comprati» il brevetto, sono uomini e donne preparatissimi, con grandi capacità e conoscenze dell’aereo e di tutte quelle problematiche legate ai malfunzionamenti del vettore. Sono esseri umani, certo, e quindi soggetti a compiere degli errori; ma spesso sono tante e tali le avarie che si presentano durante il volo che per loro stessi diventa difficile poter garantire il controllo del mezzo.

Questo libro vuole informare e rendere consapevole il cittadino dei pericoli che corre, del viluppo di interessi e speculazioni perpetrate da persone senza scrupoli nell’indifferenza generale. Solo la denuncia di qualche impiegato e pilota ha consentito di squarciare in parte il velo su fatti tanto importanti e drammatici per noi tutti. A queste persone e a quei pochi magistrati che hanno voluto indagare va il nostro ringraziamento. Che questo sia solo l’inizio di una campagna di sensibilizzazione che coinvolga anche politici e operatori del settore per garantire a tutti trasparenza e sicurezza. Al prezzo giusto.

L’omertà di chi lavora nel settore che crea una cortina impenetrabile capace di nascondere agli occhi dei passeggeri decine di informazioni preziose sulla loro sicurezza e incolumità, si sposa perfettamente con l’indifferenza, spesso voluta, degli organi d’informazione.

I budget pubblicitari milionari stanziati per le promozioni last minute e le amicizie politiche delle cordate imprenditoriali nel settore dell’editoria, ‘blindano’ notizie fondamentali sulla sicurezza degli aerei sui quali siamo costretti a volare per business o solamente per piacere.

Nessun quotidiano racconta la frequenza con la quale accadono incidenti aerei più o meno gravi oppure la facilità con la quale un falso pilota può sedersi all’interno della cabina di pilotaggio di un aereo di linea capace di trasportare centinaia di uomini, donne e bambini alla volta; nessuno spiega come sia possibile comprare per pochi soldi un brevetto di comandante.

Il divo ai comandi

«Ho imparato tutto da solo. Passavo la notte davanti al simulatore di volo: decollavo, atterravo, sfidavo le correnti. Non ho mai sbagliato un test. Mai commesso un errore.» Thomas Harry Salme nasce a Stoccolma il 18 febbraio 1969 e ad ascoltarlo sembra un disco rotto. Per settimane, dopo il suo arresto, sfila nei salotti televisivi delle più importanti e seguite trasmissioni europee e dei talk show statunitensi, raccontando sempre la stessa storia. È soddisfatto ed eccitato dalla situazione. Sembra aver già dimenticato le due settimane trascorse in carcere, in Olanda, per aver volato senza licenza e aver falsificato documenti.

Il suo cellulare squilla in continuazione: sono i reporter, i fotografi, gli amici e soprattutto le donne a cercarlo. Non a caso alcuni dei suoi ex colleghi di AirOne lo avevano soprannominato il «pilota playboy» perché non si sarebbe mai fatto mancare la compagnia femminile in qualsiasi aeroporto del mondo si trovasse a fare scalo. Così scrivono diversi settimanali italiani e stranieri. A vederlo ci si può anche credere.

Si presenta in jeans, camicia firmata, un cappellino in testa che non toglie mai e scarpe da tennis di marca. L’aspetto è tipicamente nordico: occhi azzurri, capelli biondi, alto e slanciato, ma il suo atteggiamento, la parlata e le battute alcune volte un po’ eccessive non hanno molto del classico aplomb scandinavo. Parla in italiano e inglese. Perfettamente.

È deciso a trarre il massimo profitto dalla sua maxitruffa, durata ben oltre un decennio. Comandante di aerei di linea senza brevetto, detiene un vero e proprio primato di abusivismo: in tredici lunghi anni ai comandi di Boeing 737 ha scarrozzato oltre 750.000 passeggeri in giro per il mondo. Il suo primo volo da pilota «professionista» lo ha fatto sulla tratta Milano Linate-Napoli nel 1998 con un velivolo della compagnia aerea italiana AirOne. Quando è stato scoperto aveva al suo attivo oltre 10.000 ore di volo. Non tutte volate però, perché – come ha spiegato ai giornalisti – le aveva un po’ ritoccate. Anche quelle.

Thomas si sente diverso da tutti gli altri colleghi imbroglioni. Non sfugge davanti alle telecamere o ai microfoni come hanno fatto gli altri. Anzi, si mette in posa e racconta. Riuscire a pilotare aerei di compagnie di mezza Europa senza la patente o, meglio, con una licenza falsa confezionata in casa, effettivamente non è da tutti. E lui, Thomas, era riuscito a farlo. Il suo «soggiorno» in un carcere olandese dura solo quattordici giorni e, fin dal momento successivo all’uscita, Thomas non può fare a meno di usare un’agendina per annotare tutti gli appuntamenti in tv. Ha chiamato a fargli da avvocato un amico che spesso tenterebbe, senza riuscirci, di usare anche come segretario; gli dirotta le telefonate e gli impegni. Lo fa contattare dai giornalisti.

«In realtà non l’ho falsificata. Non c’era neanche il timbro. Ho inventato il numero di licenza, un numero che non esisteva» spiega dettagliatamente in un’intervista alla rivista «Volare». E ancora: «Rispetto a una vera licenza svedese la mia, fatta con un computer partendo da un foglio bianco, era diversa, persino con degli errori di spelling». Nelle decine di interviste cerca di minimizzare l’accaduto; non utilizza mai il termine «truffa», ma solamente «ritocco». Tenta persino di spiegare che non si è trattato di un falso.

Eppure con quelli che lui ama definire documenti «ritoccati» è riuscito dal 1998 al 2010 a lavorare presso la compagnia italiana AirOne, l’inglese Jet2.com e la turco-olandese Corendon Airlines. Sono gli stessi documenti falsificati con i quali ha bypassato anche i controlli di tutte le authority di vigilanza di questi paesi. A partire proprio dall’italiana Enac. Li ha esibiti senza suscitare alcun sospetto fino al giorno del suo arresto avvenuto il 2 marzo 2010 all’aeroporto Schiphol di Amsterdam, mentre stava per prendere i comandi di un Boeing 737 della compagnia Corendon diretto in Turchia, ad Ankara.

L’ha fatta franca anche con i tanto reclamizzati controlli antiterrorismo entrati in vigore dopo gli attentati del 2001, a ulteriore riprova di quanto siano blandi e inutili. Incredibile. La sua abilità, mixata a una buona dose di fortuna, si è sposata perfettamente alla superficialità e talvolta all’incompetenza di chi doveva vigilare. In Italia e all’estero.

«Sono sempre stato sicuro di me stesso – dichiara alla rivista di settore – e non ho mai messo a rischio la vita di nessuno. Era una questione di feeling: sentivo la passione per il volo». È abile nel parlare quanto lo è stato ai comandi dei suoi aerei. In pochi anni, in AirOne diventa uno dei pochi comandanti a essere abilitato agli atterraggi considerati difficili per la morfologia delle piste, ovvero quelli presso gli scali di Reggio Calabria e Pantelleria.

Thomas si prende gioco persino dei suoi intervistatori senza che nessuno se ne accorga, infarcendo a suo piacimento il proprio racconto di aneddoti e fatti di volta in volta inediti. Il pilota svedese ha raggiunto popolarità anche sui social network. Su Facebook, in poche settimane, ha ricevuto oltre 5500 richieste di amicizia, la maggior parte delle quali da donne. Quando la giornalista Federica Brunini, al termine dell’intervista per il settimanale «Diva & Donna» nel maggio 2010, chiede se rifarebbe tutto quello che le ha appena raccontato, lui tranquillamente risponde: «Lo rifarei? Probabilmente sì». Salme ha ingannato anche i familiari. Giura davanti ai giornalisti di non aver mai rivelato il suo segreto: «Non ne ho mai parlato a nessuno, non potevo. Ho detto delle bugie a mio padre e persino a mia moglie, che si è arrabbiata». Lei è italiana, di origini calabresi: l’ha conosciuta quando lavorava per la compagnia AirOne. Si sono sposati dopo pochi anni e hanno avuto due bellissimi figli.

Cosa ancora più grave: nessuno parla di come sia possibile che ricambi aerei recuperati da velivoli precipitati o vecchi di almeno cinquant’anni e ormai non funzionanti possano essere istallati nuovamente a bordo di aerei senza i dovuti controlli. Eppure è successo e gli stessi amministratori delegati delle compagnie aeree lo hanno ammesso nei documenti pubblicati all’interno del libro.

Un business emergente che nessuno conosce

Un commercio illecito e pericolosissimo che ha minato in modo irreversibile la sicurezza dei voli. Le indagini giudiziarie italiane e quelle svolte con la collaborazione degli investigatori statunitensi hanno portato alla luce affari e intrecci internazionali tra gruppi politici e imprenditoriali che, attraverso decine di società di brokeraggio, hanno gestito per anni un mercato parallelo di parti non approvate; parti cannibalizzate da relitti e da vecchi aerei di flotte dismesse da decenni, e destinate agli aerei da trasporto pubblico. La gravità di questo commercio si comprende perfettamente leggendo gli atti giudiziari, ormai dimenticati e in buona parte mai divulgati alla collettività, conservati negli archivi di un centro della Sardegna, Tempio Pausania. La facilità con la quale si riesce a immettere sul mercato dei pezzi di ricambio, oggi sempre più famelico, componenti sospetti per gli aerei di linea è agghiacciante. Così come agghiacciante è la semplicità con cui compagnie aeree e imprenditori che fino al giorno prima si sono occupati di altro possono falsificare le certificazioni dei ricambi che vengono installati a bordo dei velivoli.

Le certificazioni sono semplici documenti cartacei che talvolta non vengono neppure controllati dal Settore manutenzione dei singoli operatori aerei. Ciò sta a significare che spesso questi componenti vengono installati direttamente a bordo dei velivoli senza nessuna supervisione. L’International Growth Surveillance ce lo spiega in un’analisi che non lascia spazio all’interpretazione: la domanda mondiale dei ricambi aeronautici è destinata a subire un incremento vertiginoso nei prossimi dieci, quindici anni. E con essa anche il mercato della contraffazione e delle parti di ricambio non approvate. La ricerca è stata pubblicata dal Civil Service Bureau di Hong Kong e spiega dettagliatamente come nei prossimi quattro anni il volume di affari del solo settore dei ricambi passerà dagli attuali 1000 miliardi di dollari a quasi 1500 miliardi di dollari.

«Se consideriamo anche solo il 7 per cento di questi ricambi come non originali o, per meglio definirli in termini aeronautici, di natura non approvata, il loro presunto valore raggiungerà 105 miliardi di dollari.»

A spiegarmelo è il comandante Arturo Radini, esperto di bogus parts. Radini ha tutti i capelli bianchi e uno sguardo di ghiaccio. È un tipo molto affascinante ed estremamente deciso. Ha una risata rumorosa. Quando parla guarda il suo interlocutore piegando la testa a sinistra e socchiudendo leggermente gli occhi. Sembra quasi che lo stia studiando, controllando. Spesso si ferma e interrompe le sue frasi con lunghe pause. Alla mia domanda sul valore di mercato delle bogus, però, mi aveva risposto di getto. Avevo deciso di contattarlo perché è uno dei pochissimi consulenti italiani per gli incidenti aerei ed esperti di ricambi contraffatti che lavora per la magistratura italiana. Per molti anni, prima della pensione, è stato il responsabile dell’Ufficio investigazioni per la prevenzione degli incidenti e del Servizio di sicurezza volo del Gruppo Alitalia. La prima volta ci diamo appuntamento in un bar di un piccolo paese del Piemonte. Mi piace dal primo sguardo: è uno diffidente. Prima di entrare nel vivo della conversazione impiego quasi un’ora. Poi, finalmente, comincia a sciogliersi e mi spiega i meccanismi perversi che quotidianamente minano la nostra sicurezza.

Il mercato dei componenti avionici è estremamente redditizio; il valore unitario di ogni singolo pezzo che viene installato su un aeromobile di linea è elevatissimo e, di conseguenza, permette altissimi guadagni. Dopo la airlines deregulation iniziata negli Usa nel 1978 con il presidente Carter e con la liberalizzazione che in Europa è approdata solo alla fine degli anni Ottanta, il settore dei componenti di ricambio ha visto il fiorire di attività gestite da personaggi che non hanno nessuna conoscenza del mercato aeronautico e delle rigide regole che ne determinano la sicurezza.

Persino i narcotrafficanti colombiani – spiega il ministero dei Trasporti degli Stati Uniti – dopo aver «fiutato» il settore avionico come un business emergente hanno optato per commercializzare turbine, carrelli, pannelli di controllo e radar, abbandonando il traffico delle sostanze stupefacenti in quanto molto meno redditizio. E indubbiamente molto più rischioso. In pochi anni, infatti, sono stati riciclati migliaia e migliaia di bogus parts, quelli non certificati e inefficienti, di cui si sono perse le tracce. Molti di questi pezzi potenzialmente pericolosi sono proprio «decollati» dall’Italia, per essere installati sugli aerei delle più grandi compagnie aeree europee e, molto probabilmente, su quelle di molte società statunitensi. Una parte è invece stata occultata in flotte di paesi non industrializzati che si affacciano oggi, molto lentamente, al settore del traffico aereo. Nei paesi in via di sviluppo sono centinaia le microflotte che «riciclano» gli aerei svenduti da operatori importanti perché considerati da questi ultimi obsoleti, non più idonei al volo. Carrette dell’aria, insomma, che per le aziende sono diventate solamente un costo in quanto hanno bisogno continuo di pezzi di ricambio e di manutenzione. E le microflotte come riescono a far volare queste carrette? Come e dove si procurano i componenti di ricambio necessari per farle decollare?

da Paura di Volare, di Nadia Francalacci, Chiarelettere

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Belìn, fortuna che fino a ieri s'è sempre detto che non esiste mezzo di trasporto più sicuro dell'aereo con cui viaggiare!

22/08/2011

Libia: una guerra senza vincitori.

Ore decisive per la sorte della Libia. I ribelli sono entrati a Tripoli e hanno accerchiato il bunker di Gheddafi. Per rispondere all'offensiva, i carri armati del governo libico hanno bombardato alcune zone della Capitale. Due dei figli del Raìs sono stati catturati dagli insorti, mentre il governo sudafricano ha smentito di voler garantire un salvacondotto al leader libico, il cui nascondiglio rimane ancora sconosciuto.

Una volta caduto il regime di Gheddafi, quale sarà il futuro del Paese in mano agli insorti? Si ristabilirà un equilibrio? Sarà garantita la libertà di religione e la tutela dei migranti?

"Questa è la grossa incognita del dopo Gheddafi. E' difficile dare una risposta a questa domanda perché gli interrogativi aperti sono troppi. Intanto, ci saranno ritorsioni contro i sostenitori del vecchio regime, assisteremo a un nuovo bagno di sangue? Cosa faranno i fedelissimi del raìs? Deporranno definitivamente le armi o si arroccheranno nelle zone dove Gheddafi ha ancora un certo seguito? Insomma, il conflitto è davvero vicino alla fine o la guerra civile continuerà? E poi, se si può parlare sicuramente di una sconfitta di Gheddafi, i vincitori chi sono? Io questo non l'ho ancora capito. Sono i nostalgici del regime feudale di re Idris, deposto da Gheddafi nel '69, o gli islamisti, o i giovani laici che guardano all'Occidente, o gli uomini che erano con Gheddafi fino all'altro ieri e ne hanno preso le distanze solo ieri pomeriggio? E ancora, assisteremo a una transizione verso un regime democratico o si instaurerà una nuova feroce dittatura? E' troppo presto per dire se valeva davvero la pena di imbarcarsi in un'avventura del genere, ed è troppo presto per dire quali saranno le conseguenze che pagheremo anche noi italiani".

L'Italia avrà una parte della "torta" pattuita per l'entrata in guerra, come Lei suggeriva in un articolo precedente, oppure sarà l'ennesimo caso di promesse disattese da parte degli alleati?

"Gheddafi era, a questo punto possiamo tranquillamente dire era, un dittatore sanguinario, ma come ce ne sono tanti in Africa, in Medio Oriente, in Asia e che però nessuno tocca o perché servono o perché non sono ricchi di petrolio. La guerra contro Gheddafi, continuo a pensarlo, è stata anche una guerra contro l'Italia. Aver mandato laggiù i nostri aerei è stato un gravissimo errore che pagheremo caro negli anni a venire. La verità che ci si ostina a nascondere, è che questa è una guerra, una sporca guerra per il petrolio dichiarata da Francia e Inghilterra e fatta combattere dalla Nato. Saranno Londra e Parigi a trarne tutti i vantaggi."

L'intervento militare è stato basato su una serie di "bugie". I Paesi belligeranti non dovrebbero garantire un giusto processo al Raìs da parte della Corte Penale Internazionale, in cui si possa accertare la verità dei fatti?

"Si, questa è stata, è anche una guerra psicologica e di propaganda, combattuta come sempre accade in questi casi anche a colpi di bugie e mezze verità, per far accettare all'opinione pubblica internazionale decisioni altrimenti incomprensibili ed impopolari. Sì, spero che a Gheddafi sia garantito un giusto processo da parte di una corte internazionale e che naturalmente paghi per ciò che eventualmente ha fatto.
In ogni caso, per tornare al punto di partenza, io credo che adesso il grosso problema di fronte all'Europa e all'Occidente sia lo sbocco delle rivoluzioni arabe, da Tunisi a Damasco passando per Tripoli e Il Cairo. Si formeranno regimi laici e democratici? Io lo spero tanto. Ma temo, ahimé, che la situazione in questo scacchiere sia destinata a complicarsi. I problemi, credo, sono appena cominciati".

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20/08/2011

L'altra verità sul golpe di Mosca.

Vent'anni fa, il 19 agosto 1991, i carri armati occupavano il centro di Mosca e circondavano la 'Casa Bianca', il grande palazzo del Parlamento, mentre il presidente dell'Unione Sovietica Michail Gorbacev veniva costretto nella sua dacia in Crimea dov'era in vacanza. Il vicepresidente Gennadij Janaev annunciava alla televisione lo stato d'emergenza e il passaggio dei poteri a una giunta militare guidata dal capo del Kgb, il generale Vladimir Kryuchkov.
I mass media presentarono il colpo di Stato come il tentativo dei 'conservatori' sovietici di bloccare in extremis il processo di dissoluzione istituzionale dell'Urss che Gorbacev si apprestava a formalizzare concedendo l'indipendenza alle repubbliche dell'Unione. Questa è rimasta la 'versione ufficiale' fino a oggi.
Ma nuovi studi aprono scenari completamente diversi.
Inchieste giornalistiche e giudiziarie dimostrerebbero infatti che il fallito golpe del 1991 - che offrì a uno sconosciuto Boris Eltsin l'occasione di presentarsi al mondo come 'difensore della democrazia' e di prendere di lì a poco il posto di Gorbacev - fosse in realtà un 'falso golpe' che faceva parte di un più ampio piano 'made in Usa' volto ad accelerare il collasso politico ed economico dell'Urss e a saccheggiare le sue ricchezze finanziarie ed energetiche.
Gli architetti di questa operazione segreta, nome in codice Project Hammer (Progetto Martello), volta a sconfiggere il nemico della guerra fredda ed impossessarsi delle sue ricchezze, sarebbero stati l'allora presidente George Bush senior e i suoi più stretti collaboratori (Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Colin Powell, Paul Wolfowitz, Richard Armitage e Condoleezza Rice), ovviamente la Cia e l'alta finanza americana (Allan Greenspan, Jacob Rothschild, George Soros e Leo Wanta), d'accordo con alti dirigenti del Kgb (tra cui lo stesso direttore golpista, Vladimir Kryuchkov) e con gli stessi Eltsin e Gorbacev.
Nelle sue memorie, Elstin scrisse come il fallito golpe fosse stato in realtà una manovra per avvantaggiarlo. Il putsch di agosto sarebbe stato al centro di un colloquio privato tra lui e lo stesso Bush nel giugno 1991. Anche alcuni ex ufficiali sovietici protagonisti del colpo di stato riconobbero negli anni successivi che si era trattato di "un intricato piano orchestrato da agenti stranieri occidentali". Agenti, come il britannico Robert Maxwell, con cui il generale Kruchkov era in contatto fin dal 1990 e che alla vigilia del golpe mise a sua disposizione 780 milioni di dollari.
La collaborazione di questi ultimi fu fondamentale fin dalla prima fase di attuazione del piano: destabilizzare l'economia sovietica svuotando le riserve auree dell'Urss e le casse del Partito comunista. Nei cinque mesi precedenti il golpe furono trafugati all'estero 3mila tonnellate d'oro (che all'epoca valevano 35 miliardi di dollari) e 435 milioni di rubli del partito (pari a 240 miliardi di dollari).
Finanziariamente dissanguata, e destabilizzata dal successivo golpe di agosto, l'Urss non sarebbe più stata in grado di difendersi dal poderoso attacco speculativo contro il rublo cui venne sottoposta nei mesi successivi, a cavallo tra il 1991 e il 1992: il colpo di grazia che portò al collasso l'economia sovietica e al suo successivo saccheggio da parte dell'Occidente.
Il principale bottino della più grande rapina della storia furono le privatizzazioni del settore energetico (petrolio e gas) che faceva capo al colosso statale Gazprom. L'acquisizione fu operata da un gruppo di spregiudicati oligarchi russi (Mikhail Khordokovsky, Alexander Konanykhine, Boris Berezovsky, Roman Abramovich) protetti da Eltsin e legati, attraverso una complessa rete di banche e società appositamente create, agli ambienti finanziari che avevano preso parte al Project Hammer. Legami successivamente emersi alla luce del sole, come nel caso di Khordokovsky, che prima di essere messo in galera da Putin nel 2003 lasciò la Yukos al suo 'socio ombra' Jacob Rothschild.

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Dreams Of The Carrion Kind

Dopo aver messo la propria sei corde al servizio di band come Death, Obituary e Cancer, il talentuoso James Murphy decide nel 1992 di dare vita alla sua band personale, nella quale fosse libero di esprimersi liberamente senza condizionamentid i sorta. Dopo le registrazioni di "Cause Of Death" infatti il chitarrista inizia a comporre del materiale più orientato verso una visione tecnica del death metal e fonda quindi i Disincarnate, accompagnato dai misconosciuti Bryan Cegon alla chitarra, Tommy Viator alla batteria e Jason Carman alla voce. Visto l'enorme momento di popolarità che il death metal godeva ad inizio anni Novanta e grazie alla fama che Murphy si era conquistato sul campo, la band ci mette poco ad ottenere un deal dalla Roadrunner Records e volare in Inghilterra per registrare il loro unico album "Dreams Of The Carrion Kind" assieme al produttore Colin Richardson: l'album poggia su solide basi death metal ma si caratterizza per una venatura progressiva e tecnica ai tempi ancora inedita, dove Murphy mostra le sue enormi qualità sia come chitarrista che come songwriter, occupandosi anche delle registrazioni delle parti di basso. Esemplari in questo senso l'opener "Stench of Paradise Burning", dal ritornello doomeggiante, "Beyond The Flesh", "Monarch Of The Sleeping Marches", "Deadspawn" o "Soul Erosion", dove a farla da padrone è il growl cavernoso di Carman, talento criminosamente passato inosservato, tra riff vorticosi, rallentamenti oscuri e doomeggianti, accelerazioni repentine e cambi di tempo al cardiopalma. Impossibile non menzionare il lavoro in fase solistica di Murphy, capace di proporre assoli dal gusto spiccatamente melodico e dall'elevato tasso tecnico, a rafforzare lo status di deus ex machina che il riccioluto chitarrista si era ai tempi guadagnato. "Dreams Of The Carrion Kind" può inoltre vantare alcune guest appearances di tutto rispetto, come Aaron dei My Dying Bride o John Walker dei Cancer che prestarono la propria voce rispettivamente su "Monarch Of The Sleeping Marches" e "Beyond The Flesh".
Nonostante l'assoluto valore del disco, l'album dei Disincarnate non ottenne le attenzioni che meritava, risultato che di certo non soddisfò l'etichetta, la quale ben presto scaricò definitivamente la band. L'impossibilità di portare in tour la musica della band inoltre causò l'abbandono da parte dei compagni di viaggio di Murphy, portando allo sciolgimento definitivo del gruppo e facendo confluire il talentuoso chitarrista nei thrasher Testament. Solamente svariati anni dopo, grazie anche a un'aura di culto che lo circondava, "Dreams Of The Carrion Kind" iniziò a riscuotere i giusti consensi all'interno dei fan del death metal, tanto che la Displeased Records ottenne dalla Roadrunner la licenza per ristampare il disco.
Spesso etichettato come "capolavoro minore del death metal", questo disco rappresenta in realtà uno dei picchi più alti mai raggiunti dal genere e pertanto merita decisamente più attenzione di quanta non gliene sia mai stata data. Immancabile nella collezione di dischi di ogni deathster che si rispetti.



Fonte.

19/08/2011

Slaughter in the Vatican

Odio il merdoso pietismo della gente di fede, quella che ti tende una mano giusto per osservarti meglio dall'alto.
Ma andate a fare in culo!


18/08/2011

Contro-finanza.

Rendere i titoli del debito pubblico carta straccia e ripartire con un'Europa “vera”: una ricetta per abbattere la speculazione.
 
Nel tentativo di arginare la speculazione finanziaria, l'Esma, l'Autorità europea di vigilanza sui mercati, ha cercato nei giorni scorsi di bloccare le "vendite allo scoperto" sulle piazze di Italia, Spagna, Francia e Belgio, cioè quelle "scommesse al ribasso" che polverizzano titoli del debito e pacchetti azionari e che di fatto ricattano governi e interi sistemi-Paese.
Se l'Esecutivo italiano appare "commissariato" dall'Europa, è tutta la politica che sembra ormai alla mercè dei mercati finanziari, spesso invocati come arbitro imparziale di qualsiasi politica economica. Ma è davvero così? Detta altrimenti: la speculazione finanziaria è un fatto naturale e inevitabile?
Ne parliamo con Andrea Fumagalli, che insegna Economia Politica all'Università di Pavia, fa ricerca militante presso il Collettivo UniNomade e partecipa alla Rete di San Precario.

La crisi in corso è il nuovo modo con cui il grande capitale finanziario mette le mani nelle nostre tasche?
Sì, secondo modalità che sono in corso da almeno 15 anni. I mercati finanziari sono estremamente concentrati: una piramide, che vede, al vertice, pochi operatori in grado di controllare oltre il 70 per cento dei flussi finanziari globali e di indirizzare e condizionare i mercati. Alla base, c'è una miriade di piccoli risparmiatori che svolgono una funzione meramente passiva. I grandi operatori sono i cosiddetti investitori istituzionali, cioè una decina di società tra banche e Sim (società di intermediazione mobiliare): J.P Morgan, Bank of America, Citybank, Goldman Sachs, Hsbc, Deutsche Bank, Ubs, Credit Suisse, Citycorp-Merrill Lynch, Bnp-Parisbas.
Ci si accorse per la prima volta della loro potenza quando ci fu la sollevazione del Chiapas, diciassette anni fa: era il 2 gennaio 1994. Si stava per firmare il trattato di libero scambio tra Usa, Canada e Messico (Nafta): parità delle valute e libero scambio di merci e servizi, ma non di manodopera (un po' come l'Europa con Schengen). Si erano create molte aspettative e i titoli di Stato messicani ne avevano tratto vantaggio. Scoppia la sollevazione zapatista e nel giro di pochissimi giorni milioni di dollari vengono stornati verso i Paesi del Sudest asiatico, creando quell'accumulo di liquidità che in seguito provocherà la crisi del Baht nel 1996-97. In una settimana il Peso messicano si svaluta del 30 per cento, la Federal Reserve comincia a comprarne per tenerne alto il valore, però dopo un paio di settimane deve arrendersi: la speculazione al ribasso non ha fine e il Nafta salta. È il primo caso della storia in cui la banca centrale più forte del mondo (a quei tempi lo era) non detta più legge. Da allora, la Fed attua politiche monetarie subordinate ai mercati finanziari, cioè alle banche d'affari.
 
Perché avviene questo?
Perché la speculazione finanziaria è nella natura di questi investitori. Loro si fanno prestare titoli da fondi d'investimento o fondi pensione, li vendono sul mercato a dodici scommettendo sul ribasso e contribuendo con la vendita al ribasso stesso. Poi li ricomprano a dieci: guadagnano dalle plusvalenze, cioè dalle variazioni di valore. È il meccanismo delle "vendite allo scoperto". In pratica non si guadagna più sui dividendi o sugli interessi dei titoli di Stato, ma sulla pura speculazione. Chiaramente può farlo chi dispone di enorme liquidità e Goldman Sachs, per fare un esempio, ne ha più della Federal Reserve.
Tutto ciò è consentito da due cose: primo, la liberalizzazione totale dei movimenti di capitale, per cui spostare soldi da un Paese all'altro non ti costa niente e non ha vincoli di sorta; secondo, l'assenza di un'unità di misura della moneta. Finché erano in vigore gli accordi di Bretton Woods, cioè fino al 1971, il dollaro aveva un rapporto di parità fissa con l'oro che corrispondeva a 35 dollari per un'oncia d'oro. Il dollaro era ancorato a una merce. Dopo la fine di quel sistema, il valore delle monete è determinato in maniera puramente virtuale che viene deciso dai mercati finanziari, cioè da chi detiene così tanto denaro da poterli influenzare. Così si determina il valore di dollaro, euro, yen, e anche il valore dei titoli espressi in quelle valute.
Queste plusvalenze creano valore: si stima per esempio che il 35 per cento dei lavoratori Usa tragga una parte del proprio reddito da questi meccanismi finanziari. Stesso discorso per quei pensionati che dipendono dai fondi pensione. Quindi i mercati finanziari svolgono lo stesso ruolo che un tempo svolgeva lo Stato. Il welfare si è privatizzato e dipende dai mercati finanziari.
È chiaro che per guadagnare, questi mercati devono puntare sui settori in cui possono generare plusvalenze. Negli anni Novanta furono le imprese delle nuove tecnologie; negli anni 2000 erano i titoli immobiliari; poi l'ingresso della Cina nel Wto ha aumentato di molto la liquidità in circolazione; con la crisi del 2008-2009 e il crollo dell'immobiliare, si è speculato sulle materie prime (grano, petrolio, etc); adesso si sono spostati sui debiti pubblici, cioè sui sistemi di welfare.
Nel giro di sei mesi, Deutsche Bank vende l'88 per cento dei titoli italiani in suo possesso, il valore del titolo crolla e lei ricompra a meno prezzo: alla fine, si ritrova con i gli stessi titoli di prima e con le plusvalenze.
Voglio anche aggiungere che questo è normale. Smettiamola però di dire che i mercati finanziari sono neutrali: sono una istituzione economica che fa i propri interessi come è naturale in una società capitalistica. Io non ce l'ho con la Goldman Sachs, che fa il proprio sporco lavoro; ce l'ho con quelli che la presentano come un arbitro imparziale. Sono loro i truffatori.

Cosa avviene sui sistemi di welfare?
Vengono distrutti. Tutti i Paesi sono costretti a prendere misure di contenimento del debito attraverso lo smantellamento del welfare. In pratica, quando aumenta il deficit di un Paese, questo deve vendere i titoli offrendo maggiori interessi. Ma l'aumento degli interessi da pagare non fa che aumentare il deficit e quindi l'unico modo per uscirne è tagliare la spesa, cioè il welfare. In Italia, dove nessuno vuole aumentare le tasse, si tagliano 6 miliardi di euro agli enti locali, che sono costretti ad aumentare il prezzo del biglietto del tram e a introdurre l'addizionale Irpef, mettendo le mani nelle tasche dei cittadini.

Come si fa a interrompere questo meccanismo?
Bisogna colpire alla radice, ovvero al cuore del sistema finanziario. Oggi le istituzioni finanziarie guadagnano sui titoli di Stato europei, pubblici. Benissimo, bisogna rendere effettivamente questi titoli pubblici carta straccia, così da creare loro perdite elevate in conto patrimoniale. È quello che ha fatto l'Islanda. La Deutsche Bank ha venduto i titoli italiani e si è presa quelli tedeschi, in pratica ha sostituito dei titoli con altri, indirizzando la speculazione da un territorio a un altro territorio. Se tu azzeri i titoli pubblici, se cioè il governo italiano dichiara che non paga più gli interessi, diventano spazzatura e tutti li vendono. È quello che è successo a Lehman Brothers con i mutui subprime, quando si è trovata con una parte consistente del proprio patrimonio azzerato.
L'Europa può sostituire i titoli dei singoli Stati con Eurobond, perché ha diritto di signoraggio, cioè stampa moneta. Li piazza a un tasso d'interesse che non è superiore di sei volte a quello dei bund tedeschi ma, metti, due volte superiore. Per lo spread viene fissato un limite di duecento punti. Alle famiglie, che in Italia possiedono ormai solo il 13,6 per cento dei titoli di Stato, si garantisce in caso di default un rendimento pari a quello che avevano sottoscritto al momento dell'acquisto, metti il 2 per cento. Il rimanente 86 per cento dei titoli vale carta straccia. Le banche falliscono? Bene, allora contrattiamo. Perché bisogna tenere presente che queste istituzioni speculano sul default, però poi sono le prime che hanno paura del default, perché i titoli di Stato sono la loro gallina dalle uova d'oro.
Se invece di comprare titoli di Stato per tenerne alto il prezzo - come ha fatto per l'Italia - la Bce li ignora e li sostituisce con Eurobond, salvaguardando il piccolo risparmiatore, ecco che taglia fuori lo speculatore. Tecnicamente si può fare, ma mancano le condizioni politiche, perché presupporrebbe la creazione di un solo budget e di un solo sistema fiscale europeo, un'unica politica economica e sociale: un'unica legge Finanziaria.
Questo è l'impasse dell'Europa.

A proposito di Europa: come si inserisce in questo quadro il commissariamento del governo italiano da parte della Bce, emerso chiaramente con la roadmap calata da Draghi e Trichet sulla testa dell'Esecutivo?
C'è stato il patetico tentativo di Berlusconi di fare una Finanziaria da 80 miliardi, una cosa mai vista, rimandandola tutta al futuro, cioè quando lui probabilmente non sarà più Presidente del consiglio. A quel punto i mercati hanno detto: "Ci state prendendo in giro?", ed è cominciata la speculazione sul nostro debito pubblico. La Bce allora è intervenuta piuttosto drasticamente: "Voi fate la Finanziaria 'lacrime & sangue' come la Grecia e la Spagna". In Spagna, Zapatero è addirittura andato a elezioni anticipate con un atteggiamento molto coerente, da politico vero: non posso fare una Finanziaria del genere, mi sottometto al giudizio degli elettori. Dato che i nostri non hanno questo senso dello Stato e il governo vuole salvarsi a tutti i costi, allora Trichet e Draghi hanno imposto le linee guida: "Voi adesso fate così". Privatizzazioni selvagge, flessibilizzazione totale del mercato del lavoro (non si sa che cosa vogliano flessibilizzare ancora), totale libertà di licenziamento, un pizzico di libertà d'impresa e, visto che bisogna anticipare le entrate, si toccheranno le pensioni sperando che gli anziani a una certa età si suicidino. Non so se questo si può chiamare commissariamento: rivela però una subordinazione del nostro governo ai diktat imposti da mercati finanziari e Bce.

L'intervento di Draghi e Trichet può contrastare la speculazione?
Secondo me invece l'aiuta. La speculazione gioca al ribasso su alcuni titoli. Per evitare che questi titoli diventino spazzatura, interviene la Bce e i titoli riprendono a salire. Quello è l'obiettivo degli speculatori stessi: hanno venduto nominalmente i titoli a 100, li ricomprano a 90 e, grazie all'intervento Bce, se li ritrovano a 110.

Fonte.

Beyond the black

16/08/2011

The American way.

Non in riferimento al disco dei Sacred Reich, ma alle disfunzioni strutturali degli Stati Uniti, nel cui merito non capita spesso di leggere critiche.


Con la crisi del debito, anche gli Stati Uniti si sono rivelati una nazione fragile e vulnerabile. L'amministrazione Obama non solo sta spendendo soldi che non ha, ma sta spendendo in settori dove gli investimenti non sono redditizi. O sono addirittura enormi sprechi. Un'interessante quadro dell situazione lo fornisce il sito di inchiesta americano Truth Out, che individua quattro aree critiche nelle quali Washington letteralmente butta via quattrini: la difesa, il sistema sanitario, l'energia e i trasporti.
Difesa. Gli Stati Uniti spendono in armamenti quanto il totale dei primi venti Paesi del mondo (700 miliardi di dollari nel 2010, secondo il Sipri). L'autore dello studio si chiede se tali spese siano giustificate per garantire la sicurezza nazionale e la stabilità economica e globale. La risposta è no.
Le gerarchie militari americane concordano nel ritenere i sistemi d'arma acquistati dal Pentagono obsoleti o inutili per le attuali necessità della difesa. In particolare, un analista militare il cui nome non è menzionato, sostiene che, nonostante i maggiori rischi provengano da insurrezioni locali e non da Stati-nazione (come in Iraq, Afghanistan, Pakistan), gli Usa hanno 760 basi militari nel mondo, 11 unità da guerra supportate da portaerei e altro harware senescente, "come se dovessero affrontare la Marina imperiale giapponese", spiega la fonte.
In realtà, gran parte del budget non è destinato alla difesa, ma a sostenere il giro di occupazione e di affari da cui dipendone tutta una classe politica che sfrutta la necessità di spese militari in funzione di propaganda elettorale. Combinando questo aspetto con le pressioni interne delle lobby della difesa, la conclusione è che l'economia Usa è agganciata come un tossicodipendente allo stimolo fiscale derivante dagli investimenti militari.
Eppure, dicono a TruthOut, è uno stimolo inefficace, perchè il milione e più di soldati Usa all'estero spendono i loro stipendi in altri Paesi, annullando l'effetto moltiplicatore': l'economia gira se il dollaro è speso in infrastrutture fisiche - la manutenzione di ponti, autostrade, porti, per esempio - che non in armi e soldati. A dispetto di tutti i miliardi di dollari spesi, gli Stati Uniti non hanno più il primato militare, e la loro sicurezza è minacciata in ognuno dei 'distaccamenti' militari all'estero.
Sistema sanitario. Gli Stati Uniti spendono il doppio, pro-capite, di qualsiasi Paese industrializzato, quasi il 17 percento del Pil. Ma il sistema è peggiore che in tutti questi Paesi. Dai 45 ai 50 milioni di americani non hanno assistenza sanitaria. Non è obbligatorio per l'azienda pagare la malattia al lavoratore. La competitività si riduce e così i profitti, mentre gli impiegati spendono dalle due alle tre volte di più di un loro collega europeo per i contributi. La sanità americana è costosissima perché legata ai profitti. Stipendi e bonus di amministratori delle compagnie sanitarie sono una delle voci che obbligano la sanità statunitense a restare privata.
Uso dell'energia e trasporti. L'americano medio consuma due volte l'elettricità di un europeo. Un'automobile statunitense consuma tra il 40 e il 50 percento in più di una vettura media europea. Come per la sanità, le compagnie americane spendono molto di più in energia e trasporti di quelle d'oltreoceano. La domanda di TruthOut è: il deficit Usa è causato dagli investimenti o dagli sprechi?
Nessun'altra nazione al mondo ha un budget militare così ipertrofico, sprechi così elevati nella sanità e un'abulia cronica nell'energia e nei trasporti. Di fronte a questi problemi, così radicati e interconnessi tra loro, difficilmente un rimedio potrà essere quello prospettato dai membri del Congresso con il loro sterile dibattito sull'innalzamento del tetto del debito.

Fonte.

Google piglia tutto.

Dodici miliardi e mezzo. Tanto è costata l’acquisizione di Motorola Mobility da parte del colosso informatico Google. A darne notizia le due società in una nota congiunta. Secondo i dati a disposizione di Bloomberg si tratta della più grande operazione nel settore almeno nell’ultimo decennio.

Google e Motorola Mobility, si legge nella nota, annunciano di aver firmato un accordo definitivo in base al quale il gruppo di Mountain View rileverà il produttore di telefoni cellulari al prezzo di 40 euro ad azione, per un controvalore complessivo di circa 12,5 miliardi di dollari, il 63% in più rispetto al prezzo di chiusura del titolo Motorola venerdì scorso.

L’acquisto di Motorola Solutions, il ramo di Motorola che produce Smartphone, telefoni cellulari e tablet, permetterà a Google di diventare un concorrente di tutti i produttori di dispositivi mobili, inclusa la Apple di Steve Jobs.

“L’acquisizione di Motorola Mobility, già partner di Android – si legge nella nota – permetterà a Google di sviluppare ulteriormente l’ecosistema di Android (il sistema operativo per dispostivi mobili di Google, ndr) che resterà comunque un sistema aperto”, a cui potranno quindi continuare ad avere accesso gli altri produttori di smartphone e telefoni mobili. Motorola Mobility resterà “un business separato” all’interno del gruppo di Mountain View.

Secondo l’amministratore delegato di Google, Larry Page, che parla di “una naturale complementarietà” tra Google e Motorola, lo sviluppo del sistema Android porterà “beneficio ai consumatori, ai partner e agli sviluppatori”. “Non vedo l’ora – ha aggiunto – di dare il benvenuto ai ‘Motorolans’ nella nostra famiglia di ‘Googlers’”. Inoltre, “l’acquisizione di Motorola aumenterà la competizione rafforzando il portafoglio di brevetti di Google, fatto che ci permetterà di proteggere meglio Android dalle minacce anti concorrenziali di Microsoft, Apple e altri gruppi”. “La combinazione di Google e Motorola – ha detto ancora Page – non solo migliorerà Android ma rafforzerà anche la competizione e offrirà ai consumatori una maggiore innovazione, più scelta e meravigliose esperienze di uso”.

“L’operazione – ha spiegato Sanjay Jha, amministratore delegato di Motorola Mobility – offre una valutazione significativa per gli azionisti e nuove stimolanti opportunità per i nostri azionisti, clienti e partners nel mondo. Abbiamo condiviso una proficua partnership con Google per migliorare la piattaforma Android e adesso attraverso questa unione saremo in grado di fare ancora di più per realizzare straordinarie soluzioni mobili”.

L’operazione resta soggetta alle ordinarie condizioni sospensive, tra cui l’approvazione delle autorità competenti negli Usa, in unione Europea e in altre giurisdizioni. La transazione dovrebbe chiudersi definitivamente “entro la fine del 2011 o all’inizio del 2012”.

Fonte.

E' curioso (e si presterebbe a numerose speculazioni) constatare come, a fronte della peggiore crisi finanziario - economica dagli anni 30 del '900 a oggi, le multinazionali possiedono comunque la liquidità per operare gigantesche acquisizioni.
Di recente era già successo con Microsoft nei confronti di Skype, ieri invece è stato il turno di Google, che portandosi a casa la divisione mobile di Motorola ha probabilmente fatto il colpo più grande del settore, quanto meno a livello d'immagine visto che sì porta a casa parte dell'azienda che ha inventato le comunicazioni cellulari.
A livello teorico l'operazione dovrebbe segnare il definitivo rilancio del marchio Motorola nel settore mobile, sarà interessante vedere come reagiranno gli altri pezzi da 90 del mercato, non tanto Apple che è ormai un oracolo tecnologico difficile da scalfire, quanto Samsung e l'agonizzante Nokia che se non si riprende alla svelta, rischia di mandare a ramengo una fetta consistente di occupazione (di prima qualità) europea a cui per altro abbiamo contribuito tutti noi con i finanziamenti comunitari dello scorso anno.

15/08/2011

Fastidio senza pessimismo.

Quando attraverso la mia città (ma pure le altre) la sensazione più intensa che provo è lo schifo.
Schifo per l'ambiente cementificato e lurido, per la gente cafona, svaccata in ogni dove e lercia come i selciati su cui si accascia (madonna che umanità di merda!), schifo per i servizi sempre più carenti e qualitativamente scarsi.
L'unico piacere viene dalla constatazione che alcuni pezzi che fungevano da valvola di sfogo in passato ricoprono ancora alla perfezione il proprio ruolo, come questo



Peccato mi prenda male a pensare come s'è rincoglionito Kasparek in tempi recenti.

Ferragosto in mìande.

Apro la finestra e trovo il grigiore indefinito e pallido del cielo. Il quartiere è silenzioso nonostante le auto e di conseguenza la gente sia rimasta tutta a casa, alla faccia dei milioni di vacanzieri sulle autostrade, mi sa che a sto giro Benetton incasserà poco.
In lontananza ma nemmeno troppo, odo lo scampanare della chiesa che rompe i coglioni annunciando l'ennesima funzione in cui si imbucheranno i timorati della domenica.
Il resto è solo noiosa precarietà che sì può palpare costantemente nel corso della giornata; è l'assenza di vita, la fiacchezza dell'intera città a trasmetterla in continuazione. La situazione palesa chiaramente le propri dimensioni la sera quando pare scenda il coprifuoco. Esco di casa alle 22 e non incontro un'anima nemmeno a pagare, impresa titanica trovare anche un bar o una gelateria aperta. Mancano solo i figuri in mimetica e fucile d'assalto agli angoli delle strade, poi il quadretto cileno da "emergenza nazionale" sarebbe perfetto.
In un anno, la vita è peggiorata in maniera allarmante.

14/08/2011

One night love affair



Ennesimo singolo da enciclopedia.

I tagli che non s'hanno da fare.

Che la nuova manovra economica votata in Consiglio dei Ministri ed emanata a tempo di record da Napolitano (sempre solerte quando si tratta di metterlo nel culo alla gente onesta) sia una farsa, dovrebbe essere chiaro a ogni persona dotata d'un briciolo di buon senso. Identico discorso per le condizioni che hanno dato il via a questa ennesima purga seguita al salasso varato a luglio che già mungeva dalle tasche del Paese 70 miliardi di €. In un mese abbondante di speculazione finanziaria ai danni dell'Italia non s'è levata nemmeno una voce di un qualsivoglia commentatore che sottolineasse l'anomalia insita nella finanzia internazionale che si sostituisce ai popoli nel determinare le scelte di una Nazione. Roba da colpo di stato senza fucili, ma ovviamente nessuno ne parla, sarà perché il 99% della stampa è al soldo di corporazioni e multinazionali, mentre il restante 1% è troppo impegnata a fare prevalentemente campagna contro Berlusconi che a sto giro non è certo il maggior responsabile dello sfascio che, come successe nel 1992 (la maxi manovra Amato), aveva origini completamente foreste.
Ammettiamo, comunque, per un istante che la situazione attuale non sia causata da una precisa scelta della finanza internazionale, determinata a spolpare quanto resta del patrimonio italiano (a cominciare dalle municipalizzate la cui privatizzazione è stata rigettata dal referendum di giugno), ma piuttosto dal perdurare di criticità sistemiche, quelle che tutti menzionano ma nessuno ha mai i coglioni di sanare per ovvi motivi di convenienza politica.
Il buon senso imporrebbe prima l'analisi di tutto quanto fa acqua e successivamente lo studio delle misure da prendere per recuperare credito inizialmente sul breve termine (così rassicuriamo sti cazzo di mercati) e poi sul medio - lungo al fine di chiudere definitivamente quelle falle che hanno affondato la nave Italia.
Per identificare le falle non serve essere super ministri dell'economia, ma è sufficiente gettare un occhio a libri come Soldi rubati di Nunzia Penelope per ricavare un computo preciso dell'oceano di risorse che ogni anno lo Stato Italiano perde. A quel punto, sarebbe chiaro che "limitandosi" a combattere seriamente l'evasione fiscale, la corruzione e il lavoro nero l'Italia sarebbe in grado di contare su un gettito "extra" superiore ai 150 miliardi di € l'anno, una cifra che fa impallidire qualsiasi manovra del Tremonti di turno.
Va da se che le strategie da mettere in campo per riportare nelle casse dello Stato quello che finisce in conti all'estero o cemento sulle nostre coste non garantirebbe immediato effetto, sorge quindi il problema della monetizzazione istantanea per dare il contentino ai mercati degli avvoltoi. Anche in questo caso il salasso ai soliti noti si potrebbe tranquillamente e comodamente evitare tagliando la spesa più inutile che ogni anno sosteniamo: quella militare. Azzerando dall'oggi al domani ogni nuovo acquisto a partire dai 131 Lockeed F-35 e ritirando immediatamente le nostre truppe da ogni teatro operativo in cui sono coinvolte, sì potrebbe agevolmente sfondare il tetto dei 17 miliardi di € risparmiati, ma nessuno ne parla, a parte rare eccezioni che purtroppo non riescono a fare la differenza. Nel frattempo, la politica si dimostra sempre estremamente compatta nel sostenere l'interesse di armaioli e alleati NATO di cui siamo lo zerbino da 60 anni, salvo pretendere i sacrifici da chi giornalmente tira la cinghia per arrivare alla prossima busta paga, sempre ammesso che ce ne sia una.

13/08/2011

La crisi si sconfigge sfasciando il mondo del lavoro.

Un governo allo sfascio, morale e materiale, dopo aver approvato una finanziaria da 70 miliardi un mese fa ne ha approvata un'altra da 45 miliardi come pensiero di ferragosto.
Complessivamente si tratta di un mese di manovra da 120 miliardi di euro circa. Il più grande colpo all'economia del paese che un governo in Italia, non a caso commissariato dalla Bce, abbia mai assestato alla popolazione.
Nel decreto, che andrà analizzato nel dettaglio nei prossimi giorni, c'è di tutto. Tasse ai lavoratori autonomi, congelamento delle tredicesime, privatizzazione dei servizi locali (che così costeranno di più e non saranno controllati dalla popolazione), azzeramento dei servizi sociali tramite il mancato trasferimento di fondi a regioni, province, comuni.
Inoltre tra le pieghe del decreto emerge l'attacco più pesante che un governo abbia mai portato a chi lavora.
Come conferma Sacconi, il decreto liquida in un colpo solo contratto nazionale di lavoro e statuto dei lavoratori. Introduce infatti il modello giuridico Marchionne, la deroga ai contratti nazionali, come norma e prassi.
Siccome l'arroganza inqualificabile di questo governo non ha limiti oltre all'abolizione, di fatto, del contratto nazionale il prossimo 25 aprile non sarà festa. E neanche il primo maggio. Per la prima volta dal governo Mussolini.
Una norma voluta, viste gli scarsissimi effetti sull'economia del provvedimento, per azzerare culturamente ogni tradizione di sinistra di questo paese.
Il bello, si fa per dire, è che queste norme rischiano di non servire a nulla. I mercati finanziari promettono ulteriori bagni di sangue. Sull'opposizione istituzionale, politica e sindacale, inutile parlare. Stiamo parlando di relitti che non fanno nemmeno ridere. Un mese fa il PD aveva fatto approvare la manovra finanziaria da 70 miliardi, Napolitano aveva parlato di "miracolo". Bel miracolo, impoverire il paese e dare fiato ad un governo che ha liquidato decenni di diritti in una serata di metà agosto. Con quello che tecnicamente è un golpe, come conseguenza del commissariamento della maggioranza da parte della Bce.
L'auspicio è che, appena possibile, il paese ruggisca.
Questo ceto politico di disperati, che ha agganciato il proprio destino al delirio dei mercati finanziari, è capace di portarci al medioevo. (red) 13 agosto 2011
agenzia asca.it, dichiarazioni di Sacconi

MANOVRA BIS: SACCONI, CONTRATTAZIONE DIVENTA AZIENDALE E TERRITORIALE

(ASCA) - Roma, 12 ago - ''Le norme approvate in materia di lavoro contengono il cuore dello Statuto dei lavori in quanto attribuiscono ai contratti aziendali o territoriali la capacita' di regolare tutto cio' che attiene all'organizzazione del lavoro e della produzione anche in deroga i contratti collettivi e alle disposizioni di legge quando non attengano ai diritti fondamentali nel lavoro che in quanto tali sono inderogabili e universali''. E' quanto afferma in un comunicato il ministro del lavoro Maurizio Sacconi sottolineando che ''come si e gia' fatto nei Paesi che hanno piu' intense relazioni industriali il cuore della contrattazione diventa l'azienda o il territorio''.

Missing in Canada

Il Canada, oltre ad essere terra (splendida) di grizzly e querce rosse, negli ultimi 3 decenni è stata anche la patria di diverse formazioni metal di notevole caratura.

Dei migliori, cioè i Voivod, parlammo in passato (parte prima, parte seconda), questa volta tocca agli Annihilator.

Rispetto a tutti gli altri nomi che si potrebbero tirare in ballo (dai Rush ai Gorguts), il gruppo diretto da Jeff Waters è senza dubbio quello che più facilmente salta fuori quando ci sì avvicina alla musica pesa canadese.

A dispetto di quanto si potrebbe pensare, gli Annihilator si guadagnarono questo merito sul campo, pubblicando quello che probabilmente è il miglior disco d'esordio, quanto meno nell'ambito del thrash metal, che sì sia mai visto. Parlo ovviamente di Alice In Hell, un album di caratura superiore, che nell'89 riuscì ad emergere in un panorama thrash già ampiamente spremuto dal mercato e prossimo al collasso. Prima del fattaccio, gli Annihilator piazzeranno un'altra perla intitolata Never, Neverland, che in buona sostanza riprende e perfeziona a livello maniacale lo stile presentato appena un anno prima, uno stile in cui la tecnica non è mai il fine ma il mezzo, per altro padroneggiato con maestria sopraffina, per costruire brani carichi di coinvolgimento in cui la banalità non è mai contemplata. In ambito schiettamente thrash, ai tempi, solo i Megadeth erano in grado di fare altrettanto.

Tanta roba insomma, peccato sia durata poco. A partire dal successivo Set the World on Fire il gruppo sì concede una serie di aperture stilistiche che, a seconda dei punti di vista, sì possono interpretare con l'esigenza di allargare gli orizzonti artistici oppure il conto in banca della Roadrunner. Sta di fatto che il thrash che rese famoso Waters e compagni è andato completamente a farsi benedire, a favore di composizioni il cui intento pare sia quello di dar battaglia nelle classifiche del rock più o meno melodico. Il trend non sarà invertito dal successivo King Of The Kill in cui a discapito del nome si salva (per altro benissmo) solo la traccia che da nome al disco, il resto merita considerazione giusto se vi garbano la melodia che sfocia ogni tre per due nel melenso.

Sì capisce abbastanza chiaramente che gli annientatori di Ottawa sono ormai alla frutta, situazione che non sarà smentita dai successivi Refresh The Demon e Remains, senza dubbio i punti più bassi toccati dall'estro di Waters (per capirci, paragonabili a cagate stile Load/Reload, Risk o Jugulator). Un parziale ritorno alla luce sì verifica solo nel 1999 con la pubblicazione di Criteria for a Black Widow che merita un ascolto se non altro perché al microfono ritorna Randy Rampage. Una permanenza nuovamente breve la sua, a conclusione del toru promozionale dell'album, infatti, il suo posto verrà rilevato da Joe Comeau, già chitarrista negli Overkill che inaspettatamente fornisce una prova di tutto rispetto sia su Carnival Diablos (che non è nulla di che) sia sul successivo Waking the Fury probabilmente il miglior album pubblicato da Waters dopo Never, Neverland.

Delle uscite successive si può giusto apprezzare il tentativo del gruppo di tornare "in carreggiata", i risultati tuttavia sono stati ampiamente sotto la decenza, rendendo gli Annihilator una formazione sostanzialmente priva di un perché, il cui limite sta tutto in quel Waters che 20 anni era invece il valore aggiunto.
Meglio ricordarli così: