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21/06/2010

Il fascino della disperazione



Il libero pensiero di oggi è figlio diretta del convivio che ho consumato in serata.
Oggetto della discussione a conclusione della cena, le lettere d'amore che l'inglese John Keats scrisse nei suoi ultimi anni di vita (la tisi lo stroncò appena ventiseienne nel 1821) all'amante Fanny Brawne. Sì discuteva dello spettro a tutto tondo con cui il poeta mise a nudo i propri sentimenti nei confronti della donna amata, passioni descritte con toni che si dipanano tra il sadismo e la remissione, tra l'istrionico e il grottesco.
La corrispondenza, così morbosamente autentica, di Keats mise a nudo il vero aspetto dell'amore in una società (quella vittoriana di fine '800) incapace di concepire le camaleontiche sfumature d'un sentimento che, vissuto nella sua forma più autentica e devastante, plasma sotto il proprio potere ogni realtà che lo circonda, trovando come unico sfogo alla propria frenesia l'epilogo lugubre.
Non è, infatti, un caso se i poeti romantici maggiormente quotati, e più in generale gli autori che hanno cantato in grande l'amore, abbiano conosciuto il lato più annichilente a volte del solo sentimento, spesso dell'esistenza intera.
Probabilmente, nasce da ciò l'indissolubile quanto attanagliante fascino dell'amore che sì lega alla disperazione, il cui punto d'arrivo può essere solo la morte.
L'incapacità di concepire lo svilupparsi nel tempo di un sentimento tanto bruciante come l'amore, è sia enorme limite, sia grande pregio dell'essere umano.
La musica ha più volte esposto con i propri mezzi queste dissertazioni. Nei generi che ascolto, il tema è sempre stato trattato con una notevole dose di superficialità, anche perché gli anni in cui sì moriva cantando d'amore al posto di farci soldi sono finiti da un pezzo, tuttavia molto di valido è stato fatto. Di seguito un piccolo assaggio.
Buon ascolto.







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